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La democrazia ha detto Hamas

Il clima umano e le prospettive politiche dopo l’inatteso risultato del voto palestinese.

Hebron, 27 gennaio 2006. Non ho mai visto Hebron cosi’ in fermento. I giorni precedenti alle elezioni sono trascorsi veloci e immersi in una viva campagna elettorale, dall’alto e dal basso: tutti avevano qualcosa da dire, perfino i bambini distribuivano volantini per l’una o per l’altra parte. Si facevano proiezioni immaginando numeri e vincitori. Ma nessuno si sarebbe aspettato questo risultato, o per lo meno non in queste proporzioni.

Il giorno delle elezioni.

Il giorno delle elezioni la gente è andata a votare fin dalla mattina presto, tra centinaia di osservatori internazionali e locali. Entrare al seggio è stato impressionante. Fuori dalla scuola, una delle 35 in cui gli abitanti di Hebron hanno espresso le loro preferenze, il delirio: volantini, falafel, musica a tutto volume e bandiere. Nel cortile, in direzione dell’entrata, due file di persone schierate in modo poco composto: a sinistra uomini con cappelli e fazzoletti verdi, appartenenti al movimento di Hamas, e a destra sciarpe e bandane bianche e nere di Fatah. Nonostante la propaganda dovesse concludersi il 23 a mezzanotte, in molti cercavano di strappare voti fino all’ultimo minuto, fin quasi dentro al seggio. Una forte pressione che ho sentito anch’io, spintonata tra la gente, trovandomi nelle mani e in tasca decine di volantini.

L’afflusso dei votanti è stato di circa il 72%, anche se non è chiaro se siano stati il 72% dell’intera popolazione o solo degli iscritti ai registri elettorali. Comunque sia, una partecipazione leggermente più bassa della media palestinese. In diversi non sono andati a votare, convinti che senza uno Stato non abbia senso fare delle elezioni o che comunque nulla cambierà.

La città è restata attiva per tutto il giorno, e anche la sera, dopo la chiusura delle urne. Le schede sono state scortate dalla polizia palestinese e dalle squadre armate di sicurezza di Hamas. Di notte moltissima gente per strada, e ancora una volta musica, accompagnata da fuochi d’artificio e qualche sparo. Tutti commentavano la giornata, e ognuno aveva una propria idea sui risultati. Hamas 58%, Fatah 66%?

E il 26 mattina, ecco i dati semi- ufficiali, a sancire una schiacciante vittoria di Hamas, soprattutto ad Hebron, dove ha ottenuto 9 seggi su 9.

Nel primo pomeriggio i risultati si fanno più chiari, e arrivano i primi commenti dall’estero. Ecco Berlusconi, citato da Haaretz, uno dei principali giornali israeliani progressisti, "The victory of Hamas is very, very, very bad" (sic). Bush ripete che Hamas è un’organizzazione terroristica con la quale non si può trattare, mentre Netanyahu sostiene che un ‘Hamastan’ è stato creato davanti ai nostri occhi. Intanto una bambina viene uccisa dai soldati israeliani a Gaza. E la notte è di nuovo affollata, con cortei di macchine strapiene di bandiere e persone, "Allah akbar", clacson e fuochi d’artificio sullo sfondo, tutto improvvisamente verde. Non riconosco Hebron fino a questa mattina, questo venerdì mattina con i negozi chiusi e la calma per strada.

E’ presto per capire cosa succederà ora. Diversi scenari, i più disparati, si profilano all’orizzonte. Quel che mi sorprende è però lo stupore delle persone che incontro oggi. Nessuno si aspettava questi risultati, in molti hanno votato Hamas per vendicarsi di Fatah e della corruzione dei suoi leader. Non un voto ideologico, ma un voto di protesta quindi, non per Hamas ma contro la dirigenza palestinese o contro Israele e gli Stati Uniti. Hamas infatti ufficialmente non piace a nessuno dei due… ma ora che Hamas è al potere, ora che ha vinto, la gente non se ne capacita. Gli stessi capi del movimento paiono stupiti. Mentre sono proprio Israele e gli Stati Uniti a capacitarsene, come se questo risultato fosse una cosa prevista e scontata.

Hebron, 29 gennaio. Sempre un gran movimento in città, cambiano però i soggetti.

Alla gente vittoriosa di Hamas si è sostituita quella di di Fatah, furiosa, a protestare contro i leader della vecchia guardia, accusati di essere la causa della sconfitta elettorale. Vogliono un cambiamento ai vertici, vogliono un’altra opportunità. In molti a manifestare lungo Ein Sarah, la via principale di Hebron. Si bruciano un po’ di copertoni, quel che basta per convincere la stampa, e si marcia, con pochi spari di sottofondo. Ma la rabbia è vera e diffusa. Membri di Fatah entrano a protestare nel parlamento palestinese a Ramallah, si organizzano a Nablus e Jenin, bruciano alcune macchine della dirigenza del partito a Gaza. E’ di nuovo mobilitazione, mentre i primi scontri al vertice si avranno proprio sulle questioni della sicurezza e della polizia.

E tutti a discutere del futuro. La sera nel negozio di Jawad, un amico palestinese, si avvicendano persone e pareri diversi, nonostante l’apparteneza a uno stesso gruppo di pensiero. "The hell of Hamas is better than the paradise of Fatah", (l’inferno di Hamas è meglio del paradiso di Fatah)ed è tutto dire.

Fra castagne e vino - ora ancora più gustoso - sembrano profilarsi due scenari con varie ramificazioni.

Il primo, dove Hamas non riconosce Israele, continua la sua lotta, e non viene accettata come partner con cui trattare. In questo caso Israele potrebbe invadere i Territori già occupati, visto che più di una volta la mancanza di un partner palestinese è stata la ragione per distruzioni e attacchi militari: questa la paura di molti. O all’opposto, le cose potrebbero andare meglio, con un’uscita dal cosidetto "processo di pace" di Oslo e un nuovo inizio: questa la speranza di qualcuno.

Nel secondo scenario Hamas accetta di trattare con Israele, viene riconosciuta dalla comunità internazionale e avvia un governo di unità nazionale (modello Hezbollah in Libano), o si spacca al suo interno (modello IRA in Iralanda), perdendo la fiducia di molti di quelli che hanno votato per essa. In questo caso la gestione della politica interna diventerebbe la questione principale.

La conversazione prosegue, ma neanche sul tempo che bisognerà aspettare per capire si trova un accordo.

Aspettare. Hamas non pensava di doversi confrontare con questo livello di vittoria, e ora, sia una trappola o meno, è costretta a farlo, e con lei tutti i palestinesi.

Sarà in grado di trasformarsi in partito capace di governare? Hamas conosce la sua gente, ha lavorato per anni con una strategia di vicinanza alla popolazione, fornendo quei servizi e il supporto che l’Autorità palestinese non ha mai saputo garantire. Resta da vedere se riuscirà a mantenere l’unità nazionale evitando scoppi di violenza interna ed estera, che darebbero il via libera alle reazioni da parte di Israele e della comunità internazionale.

Poi succede la cosa strana che spesso accade qui. Tutti si prodigano per rassicurare me e con me gli "internazionali" amici della Palestina: non abbiate paura, è solo un periodo di prova. C’e’ una gran voglia di comunicare con il mondo e spiegare la situazione dall’interno, affinché non venga fraintesa.

Qualcuno ha scritto delle mail, qualcuno tenta di convincermi che Hamas è composta da palestinesi, e in fondo la situazione non potrà peggiorare molto… se si pensa poi che perfino dei cristiani di Betlemme e Ramallah hanno votato per Hamas! – quasi questa fosse una garanzia.

Il punto è che sono orgogliosi di queste elezioni, "free and fair" come non è mai avvenuto in altri paesi arabi, e non ne temono troppo il risultato. Elezioni libere e corrette, anche se nessuno pare darci peso all’estero. Elezioni che andrebbero quindi rispettate, senza interferenze o pressioni da parte della comunita’internazionale.

Jawad mi dice che "il" giorno della democrazia gli è piaciuto, e proveranno a ripeterlo.