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QT n. 4, 24 febbraio 2007 Monitor

Lo spazio in pittura a Palazzo Trentini

"L'uomo e lo spazio", mostra con notevole dispiegamento dei grandi nomi della pittura soprattutto italiana dagli anni '20 ai '50. E con avarizia di spiegazioni per il visitatore.

Il senso e la nozione dello spazio sono elementi costitutivi dell'opera pittorica, tanto impliciti che lo spettatore tende talvolta a non averne immediata e chiara consapevolezza, colpito in prima istanza da altri fattori.

Virgilio Guidi, “Mulino Stucky” (1927)

Si tratta invece di una leva preziosa e decisiva in mano all'autore come strumento linguistico. La mostra "L'uomo e lo spazio. Estetiche della percezione" (a cura di Vittoria Coen e Graziella Martinelli Braglia; progetto espositivo di Maddalena Tomasi) in corso in questi giorni a palazzo Trentini, affronta questa problematica con un dispiegamento piuttosto impressionante di grandi nomi della pittura, soprattutto ma non solo italiana, e opere che si distribuiscono (con poche eccezioni) tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta del secolo scorso.

Troviamo, tra gli altri, De Chirico, Morandi, Carra, Sironi? solo qualche nome per dare un idea; Kandinskij, Magritte, Hartung, Matta, per dire di qualche straniero. Sarebbe stato bello e opportuno che la mostra rendesse più espliciti i criteri con i quali sono state operate le scelte, anche temporali, accompagnando inoltre in modo meno avaro di spiegazioni il percorso del visitatore, proponendo consonanze e distinzioni che andassero un po' più dentro, o oltre, i raggruppamenti convenzionali di paesaggio, figura, astrazione. Del resto, le acute osservazioni che Braglia e Silingardi dedicano, nel catalogo, alle singole opere in ordine al trattamento del fattore spaziale, potevano offrire utili spunti in questo senso.

Nel percorso della mostra non sono incluse le rotture radicali della tradizionale concezione dello spazio tridimensionale prodotte dalle avanguardie cubiste e futuriste agli inizi del '900. L'opera di Balla del 1918, ormai oltre lo stato nascente del futurismo, e comunque la rappresentazione di uno spazio naturale in chiave ritmico-geometrica, ma ancora memore di una veduta reale e della sua profondità.

Massimo Campigli, “Gli innamorati al caffè” (1931)

Si può dire che, da lì in poi, le scelte della mostra si orientano soprattutto sui grandi della pittura italiana nell'epoca passata alla storia come quella del "ritorno all'ordine". E' del 1920 la prima delle opere qui esposte di Giorgio De Chirico, ideatore della pittura metafisica, uno spazio "squisitamente mentale", che sarà riferimento essenziale per le successive poetiche surrealiste e le loro varie declinazioni dello spazio come dimensione onirica, qui rappresentate da opere di Savinio e, tra gli alcuni non italiani, Magritte, Masson, Matta.

Negli anni Venti il modo di concepire lo spazio e trattare la solidità degli oggetti assume in Carlo Carrà (1923 e 1927) le suggestioni della rilettura di Giotto e di memorie post cubiste, e sembra operare delle infrazioni alla visione naturale dello spazio per ottenere il senso di un tempo che si ferma. Ecco un esempio, molto interessante, di come in pittura lo spazio possa essere usato per influire sul sentimento del tempo.

L'opera qui esposta di Massimo Campigli (1931) e invece un bellissimo esempio, nel suo linguaggio primitivista, di accostamento di diverse prospettive e assenza di prospettiva, gioco raffinato sulla concezione spaziale capace di astrarre dal contingente anche una comune scena di innamorati al caffè.

Di Sironi, maggior esponente di Novecento Italiano, un'opera di figura e una composizione che e forse lo studio per una decorazione murale (mancano invece le sue famose periferie) rivelano la sensibilità "architettonica". Al contrario, uno spazio trasfigurato e reso tutt'uno con un evento luminoso e immateriale, e una delle prime marine di Virgilio Guidi. E i due paesaggi di Morandi ci dicono di un mondo gia tutto interiorizzato, insieme amato e decantato dal contingente.

Non faremo l'elenco dei molti altri autori presenti, in una successione molto fitta.

La seconda rottura della concezione dello spazio nel corso del secolo, in questo caso portata alle estreme conseguenze, e quella di Lucio Fontana, presente con alcuni dei suoi "Concetti Spaziali" (dal 1949), i buchi nella tela con i quali nega lo spazio rappresentato e illusorio, che peraltro vari astrattisti e informali continuano invece a frequentare, come vediamo nella pregnante ricerca sulla spazialità di autori come Crippa o Nigro.

Su altre scelte si rimane perplessi (vengono in mente opere di Burri, di Afro, di Mathieu), non per la loro qualità o perché non possano ovviamente essere lette anche nella chiave della mostra, ma perché non sembrano aggiungere qualcosa di saliente e specifico all'ambito della riflessione spaziale.

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