Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Il costo del lavoro

Truffe, balzelli e ricatti per l’immigrato che vuole mettersi in regola

Leonardo Tancredi

"Metti che io ho un fratello che insiste per venire a lavorare in Italia: mi tocca cercare un datore di lavoro disposto a fargli un contratto. Lo trovo, lui accetta e mi chiede circa 3.000 euro. Allora devo compilare i moduli per la richiesta e mi rivolgo a un’agenzia; se sono fortunato spendo 50 euro, se sono sfortunato 1.000. Metti che mi va bene sono 3.050 e mio fratello è ancora in Marocco".

Drisc, operaio marocchino in Italia dal 1999, comincia così a scandire le tappe di una "regolarizzazione modello", fondata sulla speculazione ai danni dei lavoratore,migrante.

"Se la risposta alla richiesta di permesso è positiva, - continua Drisc - il lavoratore dévo convalidare le prime tre pagine del passaporto al consolato italiano a Casablanca: sono 50 euro a pagina e con i 3.050 siamo a 3.200. Poi bisogna tradurre queste pagine in italiano, 20 euro a pagina, e fanno 3.260…".

L’elenco di Drisc continua sommando spese come nella pubblicità di una nota carta di credito. "Prima di partire per l’Italia, il mio ipotetico fratello deve passare la visita medica al consolato: costa 150 euro, e così arriviamo a 3.410. Quando ha tutti i documenti pronti, deve andare a uno sportello dell’ambasciata, ma sono sempre affollatissimi proprio come le questure italiane, allora questo servizio è stato affidato ad agenzie private. Quindi bisogna andare un po’ in giro e trovare un intermediario che per 150 euro ti fa anticipare l’appuntamento di qualche mese per riuscire a partire prima. La somma fa più di 3.500 euro, e a questo punto bisogna comprare un biglietto per l’Italia, e facciamo 4000 euro tondi".

LM’ipotetico fratello di Drisc in Marocco non dispone di questa somma, sarà quindi lui a mandare alla famiglia i suoi risparmi per consentire al fratello di raggiungerlo nel Bel Paese, dove arriverà già con un debito di 4.000 euro in media. Ma il bello deve ancora venire, perché all’inizio della storia c’è un contratto fittizio che un datore di lavoro ha venduto per 3000 euro, al quale spesso non corrisponde la reale possibilità di lavorare. Quindi, il fratello di Drisc potrebbe trovarsi in Italia indebitato e senza lavoro, costretto a indebitarsi ulteriormente per avere il tempo di cercare una vera occupazione.

Storie come questa sono molto comuni. Drisc, attivo con alcuni associazioni di immigrati in provincia di Bologna e con il Coordinamento Migranti, ne è stato testimone sia in Italia sia nel suo paese d’origine. Ci racconta che a volte sono gli stessi immigrati ad approfittarsi dei loro connazionali.

"Altri lavoratori arrivano invece con i contratti stagionali venduti in Marocco come contratti di lavoro a tempo indeterminato. Con il contratto stagionale puoi lavorare per un periodo di tempo preciso, dopo di che devi tornare al tuo Paese. So che ci sono immigrati che si procurano contratti di lavoro da aziende agricole italiane, a volte aziende fantasma, e poi li rivendono a Casablanca a 4-5.000 euro. Il marocchino in Italia ha un suo intermediario in Marocco, che ci guadagna a sua volta 1.000-2.000 euro, ma che non sa neanche che tipo di contratto è quello. Così il lavoratore parte dal Marocco con un contratto per un’azienda agricola di Caserta, ma in quella città non troverà mai la persona che gli ha fatto il contratto".

Q uella delle speculazioni è una pratica nata insieme alle leggi sull’immigrazione; tutti i sistemi di rilascio di permessi di soggiorno hanno dato la possibilità di guadagnare soldi a chi volesse approfittare della situazione. La pensa così Babakar, senegalese d’origine e membro del Coordinamento Migranti di Bologna e provincia. Con la prima sanatoria nascosta dei primi mesi dell’ultimo governo Berlusconi i datori di lavoro dovevano pagare 800 euro di contributi per sanare il "nero" degli ultimi tre mesi dei lavoratore immigrato. Questa somma, insieme alle spese postali, sarebbe dovuta essere a carico di chi assumeva, ma nei fatti è stata pagata dagli stranieri. "Così - dice Babakarr - lo Stato italiano ha regolarizzato 700.000 persone. Era necessario trovare un padrone pronto a farti un contratto e molti hanno trovato aziende fantasma disposte a fare finti contratti. Inoltre nel periodo in cui il lavoratore era in attesa del permesso, doveva dimostrare di continuare a lavorare, così era costretto a farlo in nero per versare i soldi all’Inps e il datore di lavoro non chiedeva solo i soldi dei contributi: invece di 200 euro ogni due mesi ne chiedeva 600. Infine, con quella sanatoria, chi aveva commesso reati non poteva regolarizzarsi e doveva lasciare il Paese, ma i controlli li hanno fatti dopo un anno, così chi aveva già cominciato a lavorare e pagava le tasse, finiva in cpt (Centro di permanenza temporaneo, n.d.r.) perché scoprivano che in passato aveva campato vendendo cd per strada. Quell’anno lì, i cpt erano pieni…".

Dopo la prima ondata di regolarizzazioni è partito il sistema dei flussi. Anche in quel caso le richieste di permesso di soggiorno devono essere inoltrate dai datori di lavoro, ma com’è noto, gli stranieri regolarizzati con questo metodo erano già tutti in Italia impiegati in nero. La storia non cambia: a pagare sono i migranti, che stavolta però rischiano di non rientrare nel numero chiuso previsto dal decreto flussi e di restare irregolari dopo aver comprato un contratto di lavoro.

"Noi abbiamo saputo che migliaia di domande restavano nel corridoi della Questura. - continua Babakarr - Abbiamo discusso di questi ritardi con la Prefettura e con la Questura, ma a sentire loro erano state consegnate già 10.000 domande e gliene restavano solo 5.000, ma non avevano personale sufficiente per accelerare i tempi".

La denuncia di Babakarr investe anche gli scarsi controlli sulla reale esistenza delle aziende che fanno richiesta del permesso per manodopera immigrata. Un caso eclatante è venuto alla luce a Parma, l’anno scorso, dopo il decreto flussi del 2006, e riguardava una ditta di pulizie gestita da imprenditori stranieri. "Si trattava di una piccola ditta che aveva fatto richieste per 50 lavoratori, il che era davvero poco credibile, ma nessuno è intervenuto finché queste persone si sono ritrovate senza documenti dopo aver pagato 2.500- 3.000 euro alla ditta per regolarizzarsi. Anche da Bologna partivano per andare a cercare questa ditta. E’ dovuta intervenire l’associazione dei senegalesi di Parma che ha fatto accordi con la Prefettura per avere permessi di soggiorno ai lavoratori truffati in quel modo".

U ltima arrivata è la regolarizzazione telematica, il famoso click day scaglionato a seconda della tipologia di lavoro, che ha permesso di inviare le richieste al ministeri attraverso Internet. Le file alle poste di notte al freddo sono finalmente un ricordo, ma i disagi non sono mancati: "C’è stato il caos per questo sistema telematico, non c’era la necessaria preparazione - sostiene Drisc - Si cominciava alle 8 e alle 8.30 si era già bloccato tutto. E poi, se hai Internet a casa puoi fare da solo, altrimenti devi rivolgerti ad associazioni, sindacati, Internet point o altri intermediari che finiscono per chiederti dei soldi".

A quanto pare, la speculazione è connaturata a questo sistema di assegnazione dei permessi di soggiorno, troppo forte è il vincolo con il mercato del lavoro che genera lo stato di ricattabilità dei lavoratori immigrati. Su questo punto Drisc e Babakarr sono d’accordo, diverse invece le soluzioni che propongono. Secondo il primo, importante sarebbe una maggiore presenza di istituzioni italiane nei Paesi di provenienza per monitorare la regolarità del processo migratorio.

Babakarr invece ritiene indispensabile svincolare del tutto la possibilità di circolare liberamente dalla titolarità di un contratto di lavoro. "Se così fosse, - dice - i migranti potrebbero scegliere dove lavorare, quando e con chi. Ma così sarebbero liberi dal ricatto. Oggi, quando ci sono rivendicazioni sul posto di lavoro, lo straniero non partecipa allo sciopero e viene visto come un traditore dai colleghi italiani, e questo indebolisce il potere contrattuale dei lavoratori e anche dei sindacato".