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Una donna speciale

... e il suo rapporto con l’automobile.

Non mi è mai piaciuto guidare l’automobile e da ragazza ho preso la patente un po’ controvoglia, per non dispiacere al mio moroso che aveva insistito molto: "Vedrai che sarai contenta un giorno; altrimenti ti pentiresti. Sono cose che o si fanno subito o mai più, se aspetti". Alla fine mi sono convinta: l’amore fa questo ed altro. Era una sfida in fondo. Un altro pezzetto che s’incastrava in quel puzzle chiamato vita. E poi non mi mancava niente: avevo intelligenza e determinazione sufficienti per prendere anche la patente nautica, avessi solo voluto.

Mi sono presentata da privatista; facevo le guide con lui che era molto paziente. Ma un po’ di tensione l’avevo e tutto ero meno che sciolta, perché quando una cosa non la senti, rimarrà sempre ostile. Un pomeriggio, sfinita dalla doppietta che non mi veniva, ho parcheggiato e mi sono rifugiata su una panchina dei giardini a piangere sconsolata: "

Disegni di Paolo Dalponte.
Basta, lasciamo perdere, non sono portata per la guida; si può vivere anche senza!"

Nonostante qualche crisi, a diciannove anni avevo la patente in tasca, ma, pur sapendo tutto in teoria ed anche in pratica, mi mancava la cosa più importante: il gusto di guidare. Da non confondere come resistenza all’autonomia. Anche perché la prima donna italiana ottenne la patente nel 1907 e da allora ne abbiamo fatti di chilometri! Stiamo molto meglio delle nostre colleghe islamiche alle quali è ancora vietato guidare. Ci siamo emancipate sicuramente, ma non al punto di considerare il nostro valore in base alla cilindrata: le automobili non sono il nostro specchio! Alziamo ancora gli occhi al cielo davanti alla solita pubblicità di automobili con ragazza desnuda. Il cliché donna al volante pericolo costante ormai non ci fa più né caldo né freddo e hanno un bel dire gli uomini che sì, le donne fanno meno incidenti, ma che sono loro a provocarli! Sicuramente non ci verrà un infarto per una mancata precedenza o perché ci graffiano la carrozzeria del Suv.

Che stia diventando acida? Ditemelo … rifletterò sulla cosa. Mi lasciassero la bacchetta magica per qualche ora, eliminerei tutto il traffico e le automobili che circolano in città. Ma dove vanno, avanti e indietro senza sosta? S’investono miliardi per strade, gallerie, ponti, viadotti, parcheggi, automobili sofisticate, ma non mi sembra un’eredità da lasciare con orgoglio ai posteri. "Vi lasciamo la galleria di Martignano e qualche migliaio di rotatorie. Sì, il petrolio è finito, ma resteranno a perpetua memoria del lavoro dell’uomo".

Fu papà a regalarmi, a sorpresa, la prima macchina. Non mi sapevo decidere, anche se scaracollavo tutto il giorno avanti e indietro con due bambini piccoli fra casa lavoro autobus scuola materna nido pediatra supermercato. Era una centoventisei bianca che ricordava una lavatrice industriale. Si rivelò ben presto utilissima. In breve diventai esperta di guida in città con bambini a bordo da intrattenere durante il tragitto raccontando storie o cantando. La piccola parlava appena, ma cantilenava intonata i miei coretti, con il ciuccio che le dondolava in bocca e sembrava cadere da un momento all’altro. Il grande conosceva buona parte del repertorio di Battisti e De Andrè… Man mano che crescevano erano loro a scegliere cosa cantare, magari a suggerire la sequenza della Fiera dell’Est di Branduardi.

Cantare era l’unica libertà che mi portavo come retaggio dell’adolescenza. Nella casa dove abitavo una vicina cantava a gran voce. Spesso le faceva eco da un altro appartamento qualche canzone messa a tutto volume, il che presupponeva rimettere lo stesso disco continuamente. Adamo e la Cinquetti imperavano in quel periodo. Al terzo piano, con timidezza all’inizio, poi sempre più sicura, cantavo anch’io e la mia voce si alzava cristallina. Libera come solo si può essere quando la propria vita è ancora in divenire.

Quel paio di utilitarie avute dopo non mi hanno portata molto lontana, l’indispensabile per spostarsi in città; l’ultima ha raggiunto il minimo storico di 2.500 chilometri l’anno. A me è sempre piaciuto fare il passeggero, viaggiare rilassata e godermi il paesaggio, magari dal finestrino di un treno. E fantasticare perché ero e sono rimasta una sognatrice. Come divisa tra ragione e sentimento, realtà e fantasia, assente e presente nello stesso tempo.

Per prendere la patente speciale mi sono preparata con il mio solito impegno austro-ungarico, e non è facile prendere confidenza con acceleratore e freno applicati sul volante. Praticamente è come scrivere con la sinistra senza esser mancini. Anche questa pare sia un’altra sfida e gli sponsor sono i grilli parlanti che mi vogliono bene: "Guidare ancora la macchina vuol dire autonomia, finché ce la fai è tutta salute".

Una volta presa dimestichezza con i comandi, ho iniziato, rotatoria dopo rotatoria, a percorrere la città da nord a sud. Non credevo fossero così tante: che sia la famosa quadratura del cerchio? Dopo due ore di guida avevo la nausea come fossi incinta. Erano più di trent’anni che non mi sentivo come una scolaretta di prima elementare; il codice stradale non è cambiato granché, ma sicuramente cambia la voglia di rimettersi in gioco.

Disegni di Paolo Dalponte.

Però mi sono impegnata e con l’istruttore più volte abbiamo imboccato tutti i possibili percorsi cittadini, le rotatorie in ogni senso, fatto parcheggi, inversioni di marcia, partenze in salita. La sera prima dell’esame mi sentivo sicura e ripassavo a memoria i vari consigli: mettere le cinture, girarsi e guardare indietro, ricordarsi delle frecce, niente occhiali da sole, guardare nello specchietto, non andare né troppo piano né troppo veloce. Ripercorrevo a memoria tutti i vari incroci con precedenze, semafori, sensi unici, strisce, uscita improvvisa di pedoni … tutto quello che poteva capitare insomma. Ma poi mi sono addormentata con la coscienza tranquilla; alla mia età ci mancherebbe.

La mattina dell’esame l’attesa mi rendeva nervosa, avevo un bel dirmi: "Stai tranquilla puoi farcela, i riflessi ci sono e anche la forza nelle braccia. Vedrai, ti faranno i complimenti e per la guida sciolta e per la determinazione; non tutti hanno il coraggio di rialzarsi, quando la vita ti mette in ginocchio". Ho poi chiesto all’istruttore se potevo partire per prima, ma non per fare la spavalda, per lasciare spazio agli altri, visto che gli adattamenti erano solo per me.

Poi l’esaminatore è salito in macchina e non so come sia stato, quali combinazioni astrali si fossero date appuntamento, ma non sono nemmeno riuscita a partire. Bloccata dalla marcia che non entrava, il segnale acustico che suonava impazzito ed io lì, imbarazzata come una bambina che si fa cogliere con le dita nel barattolo della marmellata … Sì, una metafora dolce ci voleva. Mi mancava tanto la panchina dove piangere sconsolata!

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