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Acqua: e ora cosa cambia?

Le ragioni dello straordinario risultato referendario; e le sue conseguenze.

Passati i referendum, cosa cambia? Nell’editoriale parliamo delle più ampie conseguenze politiche e sociali, qui invece entriamo nel merito di questioni più puntuali. Da una parte i nuovi soggetti e le inaspettate caratteristiche della mobilitazione che, del tutto esterna ai partiti, ha organizzato e propagandato l’appuntamento, convincendo e portando la gente al voto. Dall’altra vediamo le conseguenze dell’esito referendario sulla gestione dell’acqua in Trentino: la situazione attuale, cosa deve cambiare, cosa è auspicabile che cambi. Una partita complessa, che coinvolge significativi interessi e che qui illustriamo nei suoi dati essenziali.

Laurina Paperina (classe 1980) è la più “emergente” degli artisti trentini, con all’attivo mostre da New York a Shangai. È una artista molto “generazionale”, creatrice di immagini radicate dentro l’immaginario collettivo giovanile, che si confrontano con il fumetto, col graffitismo e soprattutto con le immagini digitali che corrono nella rete. Come a confermare la mobilitazione giovanile per questi referendum, l’abbiamo trovata – senza che nessun comitato glielo avesse chiesto – per le strade di Rovereto a distribuire un proprio “volantino d’autore”, firmato (con una impronta digitale) e numerato (ma in migliaia di copie!). Vera arte militante.

Quando durante la campagna referendaria qualcuno mi chiedeva “Allora, secondo te come va?”, io rispondevo: “La costruzione della rete va bene, quanto poi questo sia in grado di contrastare davvero la disinformazione televisiva, questo non lo so dire, vedremo dagli esiti”. Il dubbio ha cominciato a sciogliersi già a mezzogiorno di domenica, quando s’è visto che alle 12 l’affluenza alle urne aveva decisamente superato il 10%, la soglia critica. E si cominciava a delineare il clamoroso risultato della prima campagna elettorale nazionale che il controllo televisivo è riuscita proprio a rovesciarlo. Una debacle non tanto - come ha giustamente detto Vendola - per Berlusconi, quanto per il berlusconismo, inteso come sistema di potere incardinato sul controllo dell’informazione soprattutto televisiva, schierato “militarmente” a presidio di un programma neoliberista per il nostro paese.

La inconsistente presa sugli ascoltatori della campagna televisiva contro i referendum (rovesciata da una mobilitazione informativa militante sui social-network) è davvero un dato nuovo e sorprendente. Questa volta siamo arrivati ai telegiornali nazionali che davano ripetutamente la data sbagliata dell’appuntamento con le urne, e alla RAI (1 e 2) che falsificava il primo quesito sull’acqua, dicendo che si trattava di cancellare la legge che dava la possibilità di affidare la gestione ai privati, quando invece il Decreto Ronchi avrebbe fatto decadere obbligatoriamente le gestioni dirette (dei comuni) entro la fine dell’anno. Ma tutto questo inutilmente!

Non solo non è andata sempre così, ma solo pochi anni fa, durante la campagna elettorale per le politiche del 2006, una presenza ossessiva e urlante del Berlusca, su tutte le reti e in tutti i programmi, ha rovesciato un vantaggio iniziale di Prodi del 7-8%, e ha ridotto l’avversario al lumicino, a vincere solo con l’apporto minimale del voto estero, creando fin dall’inizio le condizioni per il suo fallimento. Adesso la maggioranza assoluta del centro-destra implode da sola di fronte ad una mobilitazione di tipo nuovo, prima alle comunali, poi ai referendum.

La cosa che ha caratterizzato questa mobilitazione referendaria con il vento in poppa, prima nella raccolta delle firme, poi nel raggiungimento del quorum, è stata la dimensione non prevalentemente ma esclusivamente virtuale del movimento referendario. Dietro alla proposta referendaria non sono mai comparse, né a livello nazionale, né a quello locale, strutture: sedi, segreterie, uffici stampa professionali, finanziamenti stabili. Ma solo la forzatura soggettiva iniziale di una rete militante (molto ridotta ma coesa) per far partire la proposta referendaria e la raccolta-firme, poi una spontanea adesione di cittadini, associazioni, gruppi vari. Ed una straordinaria mobilitazione sui social-network, che ha raggiunto le nuove generazioni, proprio quelle più difficili da raggiungere nelle campagne elettorali tradizionali.

Qui in Trentino la campagna sull’acqua (dietro gli altri referendum c’era, com’è noto, l’Idv di Di Pietro) ha poggiato in fondo su 3 comitati diciamo così “storici” (presenti fin dal momento della raccolta-firme, ma in qualche modo attivi anche prima) a Trento, Rovereto e nelle Giudicarie (tutti e tre nel Trentino occidentale). Più, per quello che riguarda la Valdi Non, nell’apporto iniziale di un gruppo direttamente politico, la “Casa della sinistra e degli ecologisti” di Cles, che ha generato via via gruppi referendari anche nelle valli del Noce. Anche qui da noi comitati senza sedi né strutture, autofinanziati, ma con tre blog molto funzionali a consolidare contatti, far circolare informazione e dibattito, organizzare (acquabenecomunetrento@blogspot.com; nonsoloacqua@blogspot.com; www.acquabenecomune.giudicarie.com).

Il paradosso della situazione trentina: da capofila a retroguardia

Nella scheda sotto la situazione attuale in provincia: quali società, con quali caratteristiche gestiscono l’acqua, e cosa cambia con il referendum.

In realtà, dopo il voto, si apre tutta una serie di problemi, innanzitutto giuridici, nel senso di quali norme sono da considerarsi abrogate, quali rimangono e quali vanno modificate. Ma soprattutto problemi politici: la volontà popolare è stata chiara, non si vuole il privato nella gestione dei cosiddetti “beni comuni”; cosa si deve fare ora per rispettarne il senso profondo, oltre la lettera delle leggi?

“Con le norme nella finanziaria 2011 (chiamate “legge Gilmozzi”, nome improprio ma chiaro, n.d.r) avevamo salvaguardato la possibilità dei Comuni che già l’avevano, di mantenere la gestione diretta dell’acqua, a prescindere dalla legge nazionale” rivendica Michele Nardelli (Pd) che sull’argomento si era molto speso.

“Non basta. Se nella gestione dell’acqua i privati sono un disastro, come sostenuto dai referendari - replica con una certa provocatorietà Rodolfo Borga, del Pdl - dobbiamo modificare la Gilmozzi. Che prevede la possibilità di affidamento del servizio acqua a società a capitale misto pubblico-privato. Non solo: mentre la normativa nazionale prevede che la proprietà delle reti, cioè gli acquedotti, sia pubblica, quella provinciale contempla anche qui la possibilità di privatizzare. Se i privati sono un disastro, dobbiamo scongiurare queste possibilità, abrogandole”.

Insomma, il Pdl è diventato più realista del re, più pro-pubblico del centro sinistra. Che difatti è rimasto spiazzato e dapprima ha farfugliato (si sa che le società pubblico-private sono sempre nel cuore della casta); poi si è adeguato e l’assessore Mauro Gilmozzi ha dichiarato di voler togliere la possibilità dell’ingresso dei privati.

Il discorso però non può non investire Dolomiti Energia. “Credo occorra procedere a uno scorporo: affidando la gestione dell’acqua e dei rifiuti a una società pubblica” - afferma Nardelli, e questo è l’orientamento del centrosinistra.

Ma anche qui Borga rilancia: “È una presa in giro inaccettabile. L’attività che rende poco e che comporta cospicui investimenti viene scaricata sul pubblico, mentre quella (l’idroelettrico, n.d.r.) che è una macchinetta da soldi, dove gli investimenti - le centrali - sono già stati fatti e ammortizzati, rimane alla società con dentro i privati. Che poi non hanno vinto nessuna gara, sono stati scelti da Dellai, e infatti sono i soliti noti” (Isa, Lunelli, Marangoni, Cooperazione ecc).

“Credo che lo scorporo, cioè la ripubblicizzazione del servizio idrico, sia un passaggio epocale, quanto la ripubblicizzazione dell’acquedotto di Parigi - ribatte Nardelli - E non è vero che per i grossi comuni l’acqua sia una rogna. Poi, se si vuole pubblicizzare anche l’energia idroelettrica non ho niente in contrario. Solo lo vedo complicato, i privati andrebbero risarciti e non sarebbe semplice tirare fuori i soldi”.

Questo il dibattito attuale. Per parte nostra sottolineiamo un altro aspetto: nello spirito del referendum va posto a tutti gli organismi che gestiscono gli acquedotti il problema del diritto di informazione per il cittadino; per realizzare una vera trasparenza anche su temi delicati come contratti di servizio, affidamenti, verbali delle sedute dei cda, patti parasociali ecc.

Le conosciamo bene le Spa anche totalmente pubbliche: se non si fanno decisivi passi avanti sul loro controllo, rimangono carrozzoni solo formalmente pubblici perchè soggetti non al controllo dei cittadini, ma della politica intesa come ceto (attraverso le telefonate riservate fra il Dellai di turno e i suoi uomini piazzati nei Cda), e quindi alla riproduzione all’infinito dei meccanismi clientelari in grado di distorcere l’efficienza della gestione pubblica.

Meglio sarebbe pensare a forme giuridiche diverse (consorzi?) maggiormente in grado di ostacolare l’opacità delle gestioni clientelari. Su questo a nostro avviso dovrebbe ora concentrarsi la discussione. ?

I servizi idrici in Trentino

Gestioni dirette. Il 54% delle utenze trentine è servito da gestioni dirette (comuni o consorzi, municipalizzata di Tione molto ben funzionante). Sono presenti soprattutto nelle valli, mentre nella Valle dell’Adige si è affermata soprattutto Dolomiti Energia (DE). Per il decreto Ronchi dovevano decadere entro il2011. In Trentino erano già state salvate dalla finanziaria provinciale 2011, che ha recepito il decreto Ronchi cassando però la decadenza delle gestioni dirette. Dopo il referendum, non decadono più neanche nel resto d’Italia.

Società per azioni miste pubblico/privato

Dolomiti Energia gestisce gli acquedotti di Trento e Rovereto, e di altri 15 comuni (Ala, Albiano, Aldeno, Borgo Vals., Calliano, Civezzano, Fornace, Grigno, Lavis, Mori, Nave S.Rocco, Nomi, Roverè della Luna, Volano, Zambana), il che rappresenta un altro 40% delle utenze trentine. DE è al 61% pubblica: FinDolomiti Energia (paritariamente Comune di Trento, Comune di Rovereto, e Tecnofin) al 47%; Comune di Trento da solo al 5,8%; Comune di Rovereto da solo al 4,3%; Ft Energia (privati) al 11,8%; A2A 7,9%; Fondazione Caritro al 5,3%; ISA al 4,1%

Alto Garda Servizi gestisce gli acquedotti del Basso Sarca e della val di Ledro.

Società per azioni rimaste completamente pubbliche

Azienda intercomunale rotaliana

Servizi territoriali Est-Trentino (Pergine e dintorni)

Il grosso del mercato trentino dei servizi idrici è appannaggio di DE e delle gestioni dirette; alle altre Spa rimane solo il 6%.

Le Spa dovevano, per il Decreto Ronchi, aprirsi ad almeno il 40% di capitale privato. Questo passaggio è stato recepito dalla Pat tramite la finanziaria 2011, che non è stata tagliata dal referendum. Ci troviamo ora assurdamente con questa norma cancellata a livello nazionale ma non in Trentino, dove era stata autonomamente recepita. Dovrebbe essere, per analogia, tagliata anche dalla legislazione provinciale, ma questo deve avvenire con una decisione del Consiglio provinciale.

Idem per il criterio della “adeguata remunerazione del capitale investito”, analogamente tagliato dal referendum.