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QT n. 4, 24 febbraio 2007 Servizi

La sussidiarietà che fa male

Si prevede un Trentino spezzettato in una ventina di modelli di sviluppo, progettati e gestiti dalle Comunità di Valle. In pratica, da ristretti gruppi di interesse. Un’intervista al prof. Silvio Goglio.

“Saranno i territori, dotati di competenze, fondi, personale, a decidere il proprio modello di sviluppo e a gestirlo. Con il nuovo PUP, come con le Comunità di Valle, abbiamo attuato un radicale decentramento delle decisioni”. Queste le parole di Giorgio Casagranda, capogruppo provinciale della Margherita, in un’intervista sull’ultimo numero di QT. Concetto poi ripreso in altre sedi; e – quel che più conta – realizzato nelle nuove leggi.

Gli ambientalisti, come argomenta Walter Micheli nell’articolo precedente, hanno colto il punto, e ne hanno fatto la base per la loro contestazione al nuovo PUP. La storia di questi anni ha dimostrato – sostengono – che i territori non sono in grado di gestire il proprio ambiente, di fronte all’odierna invasività degli interessi speculativi. Arduo dargli torto.

Qui però affrontiamo lo stesso tema da un punto di vista ancor più generale: ha senso un Trentino spezzettato in 15-20 modelli di sviluppo? E i mitici territori, ossia le costruende Comunità di valle, possono avere le capacità, la forza politica, per elaborare e poi gestire lo sviluppo? Non è che con queste ultime leggi la Provincia finisce per abdicare al proprio ruolo primario, quello di fornire un indirizzo complessivo? La realtà è nota: negli ambiti territoriali limitati, facilmente si formano dei gruppi di potere ristretti, che tutto controllano; e che sono portati a considerare come unica possibile la propria visione, e a far coincidere gli interessi propri con quelli del territorio. Insomma, la sussidiarietà, indirizzo di fondo delle ultime leggi, è una gran bella cosa; ma se applicata oltre misura, non rischia di essere controproducente? Di spezzettare l’indirizzo politico? Di disperdere le risorse? Di affidare decisioni strategiche ad asfittici gruppi di interesse?

Ci proponiamo, su questo tema, di aprire un dibattito. Qui intanto sentiamo l’opinione del prof. Silvio Goglio, docente di Economia Politica all’Università di Trento: “Capisco la sussidiarietà a certi livelli; ma ad un certo punto i problemi vanno risolti a livello alto. E che capacità analitiche e programmatorie possono mai avere comunità di qualche migliaio di abitanti? Che finora – ricordiamolo – non sono state capaci di fare il primo passo doveroso: unirsi in un unico Comune per razionalizzare le spese e sfruttare le competenze”.

Walter Micheli, sulle pagine di QT, porta ad esempio della limitatezza di visione e interessi delle leadership delle piccole comunità, l’abnorme sviluppo edilizio nelle località soprattutto turistiche…

“Sono d’accordo. Un modello di sviluppo fondato su tali basi è un meccanismo perverso, basato su una speculazione distruttiva. E’ un caso da manuale. E proprio per questo le decisioni sugli indirizzi di fondo non dovrebbero essere lasciati in valle, dove la politica è in mano a questi interessi”.

Il prof: Silvio Goglio, docente di Economia Politica.

Per comunità più grandi – 60-70.000 abitanti – ha un senso costruire differenti modelli di sviluppo?

“Ha un senso: ci sono risorse umane e territoriali differenziate, ci possono essere nicchie di sviluppo diverse. Credo sia doveroso cercare una certa differenziazione tra i territori, e coinvolgerne le forze. Ma fino a un certo punto: non è che dal basso venga sempre la risposta giusta, sia per le influenze degli interessi spiccioli, sia magari per carenze di elaborazione”.

Abbiamo sentito anche i sindacati; i quali, su un punto specifico – il decentramento del welfare – si dichiarano favorevoli in teoria; ma molto preoccupati perché tutto è demandato a entità ancora futuribili come le Comunità di Valle, dalla sconosciuta efficienza.

“Che le Comunità funzioneranno, oggi possiamo solo sperarlo. Comunque concordo con i sindacati, il decentramento dell’assistenza è positivo, è l’ambito pubblico che è bene sia gestito il più possibile vicino al cittadino. Anche qui però c’è un limite: l’efficienza. A voler decentrare troppo si ha un aumento dei costi; in alcuni casi con un aumento di qualità dei servizi; in altri con una diminuzione della stessa qualità: basti pensare agli ospedali periferici, dove fatalmente lavorano medici che trattano pochi casi, e che quindi sono poco qualificati”.

Torniamo alla definizione dei modelli di sviluppo…

“A livello di progettualità politica arranca anche la Provincia. Perché le persone intelligenti, preparate, disposte a spendersi per il bene pubblico sono una percentuale limitata della popolazione. E ci sono voluti decenni per creare una classe di funzionari all’altezza del ruolo. E’ impensabile che ci sia oggi una classe politica e una amministrativa locale adeguata. Il fatto è che il Trentino è una provincia, che però pensa di essere uno Stato, e vuole articolarsi in Regioni e Comuni. Ma è ridicolo, sembra il Paese dei Campanelli.”

Il motivo di tutto questo forse sono le difficoltà politiche della Margherita, che pensa di superarle spingendo oltre misura una sua caratteristica peculiare, l’articolazione nei territori.

“Dal punto di vista politico è una risposta che ha una sua logica: un mezzo per tentare il recupero di consenso nelle valli. Ma svendendo il territorio. Correndo dietro ai voti, intesi come pacchetti in mano a ras locali”.

In tutto questo la sinistra…

“Non parliamone neanche. Non vale la pena”.