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Tunisia: parlano i blogger

Da “L’altrapagina”, mensile di Città di Castello

Jacopo Granci
il suicidio di Mohamed Bouazizi

Dopo l’immolazione di Mohamed Bouazizi (il giovane che si bruciò vivo il 17 dicembre 2010) e i conseguenti sollevamenti di Sidi Bouzid, Kasserine e Théla, gli echi della repressione governativa (circa 300 morti e oltre 1000 feriti al 14 gennaio 2011, secondo fonti Onu) hanno varcato i confini tunisini, mentre la protesta sfociava nelle piazze dei principali centri urbani, fino a conquistare le prime pagine dei media internazionali.

In quei giorni, per la prima volta dall’inizio dell’era Ben Ali, cadde il muro di paura e silenzio con cui il regime aveva protetto per oltre vent’anni l’accaparramento di potere e risorse. Blogger e cyber-dissidenti riuscirono ad aggirare la censura e a far conoscere gli ultimi sanguinari colpi di coda di una dittatura la cui efficienza e brutalità era rimasta sconosciuta, fino a quel momento, alla gran parte dei lettori e degli spettatori occidentali.

le manifestazioni dopo il suicidio di Mohamed Bouazizi

“Bisognava mostrare cosa stava succedendo, la violenza della repressione, le carneficine. Le televisioni e i giornali nazionali, fedeli alle direttive di palazzo, tacevano sulle rivolte e sui massacri, come era già accaduto durante le proteste di Gafsa nel 2008, mentre i giornalisti stranieri, a cui era vietato l’ingresso nel territorio, avevano bisogno di contatti e fonti attendibili” - ricorda il blogger Houssem Hajlaoui, tecnico informatico membro del collettivo Nawaat.

Dal 17 dicembre al 14 gennaio, data della fuga di Ben Ali, il lavoro del collettivo si concentrò sulla raccolta e sulla diffusione di rapporti, dati e testimonianze, “un’intensa attività di selezione e verifica delle notizie, traduzione dei testi in francese e in inglese, possibile solo grazie al contributo dei protagonisti della ribellione che ogni giorno riuscivano a inviarci materiale o a pubblicarlo su Facebook”.

Risultato, il “Dossier Sidi Bouzid”, disponibile sul sito Nawaat.org e aggiornato in tempo reale, si è subito affermato come una fonte di informazione primaria, necessaria per conoscere l’evoluzione della primavera tunisina, in quei giorni lontana dalla capitale e dai riflettori mediatici. “Al-Jazeera e France 24, i primi a interessarsi a quanto accadeva - spiega Houssem - prendevano i nostri post come notizie ufficiali, ci consideravano una sorta di agenzia stampa”.

Sami Ben Garbia

Per Sami Ben Gharbia, cofondatore del collettivo e membro della piattaforma “Global Voices”, serviva un anello di congiunzione tra gli attivisti e l’opinione pubblica internazionale. “Abbiamo capito che c’era un vuoto tra la documentazione prodotta dai testimoni degli eventi e la fruibilità della stessa documentazione da parte dei mezzi di informazione. Il nostro sito era ancora oscurato in Tunisia, ma visibile fuori dai confini nazionali. Era arrivato il momento di sfruttare il capitale di credibilità costruito da Nawaat per superare il blocco mediatico imposto dal regime”.

Dopo il “Netizen Price” e il “Pioneer Award” attribuiti ai blogger di Nawaat nel 2011 dalle ong Reporters sans frontières e The Electronic Frontier Foundation, anche il “World Summit Award” (concorso mondiale allestito dal Summit della società dell’informazione che ogni due anni premia i migliori contenuti digitali) ha assegnato un riconoscimento - l’”Arab eContent Award” - ai cyber-attivisti tunisini per il prezioso lavoro svolto nel documentare e raccontare la rivolta. Tuttavia, il gruppo ha rifiutato il premio e disertato l’evento. “La cerimonia per la consegna dei premi è avvenuta in Bahrein, uno Stato che viola apertamente le libertà fondamentali dei suoi cittadini, prima fra tutte la libertà di espressione. Il nostro rifiuto è un atto di protesta conforme ai principi per cui ci siamo battuti” - è il commento di Houssem Hajlaoui.

Cos’è Nawaat?

Malek Khadhraoui

“Nawaat.org è un blog collettivo che offre la parola a coloro che, attraverso il loro impegno, la prendono e la diffondono. Cosciente che la conquista della libertà di espressione è una lotta quotidiana da condurre in totale indipendenza, Nawaat non riceve finanziamenti da partiti e non accetta sovvenzioni pubbliche”. Così si autodefiniscono sul web gli stessi blogger. L’idea del blog collettivo prende forma nel 2004, dopo che altre esperienze di cyber-dissidenza - come per esempio il sito TuneZine - avevano aperto la strada alla “disobbedienza informatica”. Sono un pugno di tunisini in esilio - Sami Ben Gharbia in Olanda, Astrubal (Riadh Guerfali) e Malek Khadhraoui in Francia, Centrist in Quebec - a lanciare Nawaat, “il fulcro della resistenza alla dittatura”, come spiegano alcuni dei protagonisti. “Abbiamo deciso di aprire uno spazio per dare la possibilità ai cittadini di esprimersi, tuttavia - a un mese dalla creazione - Nawaat era già censurato e l’accesso al sito vietato in Tunisia” - racconta Sami Ben Gharbia, in esilio dal 1998. Per aggirare la censura, Sami e compagni utilizzano le mailing list per diffondere gli articoli, e le piattaforme Youtube e Dailymotion per divulgare i contenuti video, ma “Ammar 404” (gioco di parole sul messaggio “Error 404” che appariva sullo schermo dei siti oscurati) arriva a bloccare anche queste soluzioni.

“Si era instaurato un braccio di ferro con la polizia informatica, ma ad ogni stop riuscivamo a trovare nuove scappatoie. Per esempio, attraverso l’aggregazione per RSS (che consiste nell’iscriversi a un blog e ricevere contenuti senza accedervi direttamente), e poi, due anni fa, abbiamo pubblicato una guida tecnica al servizio dell’utente per eludere i filtri”, continua la spiegazione Sami. I blogger che fino al 14 gennaio 2011 inviano contributi dall’interno del paese lo fanno clandestinamente e sotto pseudonimo, servendosi di programmi di navigazione anonima come Tor.

Nonostante queste difficoltà, Nawaat diventa una piattaforma di riferimento a cui partecipano vittime e perseguitati del regime di ogni colore politico, dalla sinistra radicale agli islamisti. “Era un mezzo per opporsi alla dittatura e denunciarne le violazioni - riferisce Houssem - ma anche per alimentare il dibattito interno al fronte dissidente, dando spazio alle differenti posizioni e al confronto, una dinamica impossibile nella Tunisia di Ben Ali”.

In poco tempo un centinaio di blogger esterni affiancano lo zoccolo duro di Nawaat, una sorta di redazione incaricata della gestione del sito, composta dai fondatori e dai collaboratori più assidui, una decina in totale. “Non esiste una linea editoriale, i soli limiti imposti dagli amministratori sono il rispetto delle libertà fondamentali, dei diritti umani e delle regole del funzionamento democratico nella stesura dei post. Per il resto, non siamo noi a selezionare i contributors, sono loro a scegliere la nostra piattaforma - chiarisce Sami Ben Gharbia - e il contenuto degli articoli rispecchia il punto di vista dei singoli autori, non dell’intero collettivo”.

TuniLeaks: il re è nudo

Riadh Guerfali

Tra i contributi di maggior impatto diffusi da Nawaat prima dello scoppio della rivoluzione, bisogna menzionare il dossier TuniLeaks, ancora disponibile nella homepage del sito, dove la redazione ha raccolto e tradotto tutti i cablogrammi messi a disposizione da Wikileaks in merito al regime di Ben Ali. Il contenuto dei cabli ha svelato la corruzione nascosta dietro il “miracolo tunisino” e il ruolo giocato dal clan Trabelsi nel controllo dell’economia. Inoltre, è servito a smentire l’idea che il governo fosse sostenuto in maniera incondizionata dall’amministrazione statunitense. I dispacci inviati dalla diplomazia americana mostrano infatti come Washington, pur continuando ad appoggiare l’ex presidente nella sua strenua “lotta al terrorismo”, ritenesse Ben Ali una carta bruciata e che il suo modello - un feroce stato di polizia - era divenuto insostenibile.

Per Sami Ben Gharbia, “la diffusione di questi documenti ha provocato uno choc positivo all’interno del paese. Dire che abbia contribuito al sollevamento è troppo, ma se non altro è servito a far capire che Ben Ali non godeva più del pieno supporto americano. Grazie a TuniLeaks si è fatta strada l’idea che, eccezion fatta per il governo francese, il re era nudo e poteva essere attaccato”.

“Non credo che ci sia un legame diretto con la rivoluzione, di certo non c’è nessun rapporto con le rivolte di Sidi Bouzid, Kasserine e Théla - aggiunge Houssem - ma TuniLeaks ha avuto la sua incidenza, almeno in certe fasce della popolazione. Alcuni oppositori, dopo essere venuti a conoscenza di questa situazione, si sono dimostrati più intraprendenti, mentre all’interno dell’establishment alcuni hanno cominciato a riflettere sulla possibilità di smarcarsi dal regime, come poi è avvenuto nel caso del generale Ammar e delle forze armate ai suoi ordini”.