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QT n. 3, marzo 2011 L’editoriale

La primavera araba

14 gennaio 2011: è la data che segna la svolta tanto agognata dalle moltitudini dei paesi arabi in cui il despota Ben Ali è fuggito. Il tiranno che ha tenuto in ostaggio la Tunisia per 23 anni non c’è più.

25 gennaio 2011: è il giorno in cui in Egitto la gioventù ha accolto l’invito del movimento giovanile 6 aprile a manifestare per porre fine allo strapotere di un altro dittatore che ha fatto delle leggi di emergenza una prassi di governo, trasformando un Paese di 80 milioni di cittadini in una tenuta di famiglia.

Queste due date indicano una rottura con decenni di stagnazione che rischiavano di diventare un aspetto peculiare delle società arabe. Le proteste, l’insurrezione, la sollevazione e la rivoluzione che stanno attraversando l’intera area araba, dalla Mauritania fino allo Yemen, evidenziano il desidero di una primavera di rinascita delle popolazioni e la volontà di riscatto oltre che di rinnovamento. Questi accadimenti avvengono dopo un lunghissimo periodo caratterizzato da infinite angherie, repressioni, persecuzioni, impoverimento generale della società, ad eccezione di una ristretta cerchia di familiari e cortigiani. Sono stati anni di arretramento politico e socioculturale, di pesanti sconfitte sul piano della politica estera e della perdita di sovranità. L’intero mondo arabo si è ritrovato a subire dei condizionamenti che rimandano alla memoria l’epoca coloniale.

Grazie ai movimenti giovanili milioni di abitanti dell’area araba cominciano in questi giorni a scorgere la fine del tunnel e a intravedere la luce di un nuovo e necessario risveglio.

Gli avvenimenti che scuotono le società arabe dimostrano:

  1. che le popolazione hanno superato la paura che le ha paralizzate per decenni e hanno trovato la forza di sconfiggere la cultura dell’intimidazione e del terrore che i tiranni hanno usato per governare;
  2. che le élite, spesso secolari, non sono altro che combriccole familistiche di stampo mafioso;
  3. che i poteri dell’occidente democratico hanno sostenuto regimi corrotti e violenti mettendo in primo piano i propri interessi materiali e dimenticando la cultura dei diritti umani, della quale fanno uso, non di rado, in termini strumentali;
  4. una maturità e una consapevolezza politica delle fasce giovanili smarcata da riferimenti ideologici novecenteschi;
  5. che ci sono larghi settori che assumono la nonviolenza e la disobbedienza civile come prassi per rivendicare i propri diritti e la propria dignità, smentendo il luogo comune che vuole che le società arabe siano imbevute di violenza e di fanatismo religioso. Insomma, appiattendo l’immagine degli arabi sulla figura di Ben Laden;
  6. l’assenza di retorica anti-occidentale (non sono stati presi di mira né interessi né persone né simboli occidentali) e il sapere parlare un linguaggio in grado di comunicare un mondo di differenze e di molteplicità; ad esempio, le parole d’ordine sono: dignità, libertà e giustizia.

In molti si chiedono quali saranno le conseguenze di queste sollevazioni. Tento sommariamente di indicare due plausibili cambiamenti. Relativamente alla realtà interna, a mio parere si avvierà un corso politico caratterizzato dal riconoscimento di soggetti politici diversi che dapprima tenderanno a posizionarsi nel nuovo scenario e poi competeranno per l’acquisizione del consenso popolare. In questo panorama le variegate visioni di stampo islamico giocheranno un ruolo significativo, tuttavia non si tratterà di un ruolo totalizzante ed egemonico, a differenza di quello che sostengono alcuni analisti. Anche se qualche formazione islamica occuperà una posizione determinante, sarà comunque vicina all’esperienza dell’attuale compagine turca democratico-islamica e quindi avrà delle similitudini con alcune delle esperienze democratiche cristiane in Europa. Quanto a un aspetto esterno, i cambiamenti saranno, a mio avviso, più lenti e si svilupperanno con una certa cautela. Un cambiamento prevedibile riguarderà un ripensamento delle relazioni interarabe in funzione di una maggiore collaborazione al fine di ripristinare un qualche ruolo sulla scena mondiale e acquisire un peso politico rispetto ad alcuni temi caldi, come per esempio la questione palestinese, la situazione della Somalia e i rapporti con l’Iran. Inoltre si cercherà di smarcarsi da alcune scelte della politica statunitense e di trovare una voce autonoma, senza doversi appiattire su scelte già decise a Washington com’è avvenuto negli ultimi decenni (vedi la partecipazione alla guerra contro l’Iraq, l’appoggio alla guerra contro l’Afghanistan e l’adesione ad un eventuale attacco contro l’Iran).

Quel che è certo è che le genti arabe hanno già conquistato un ruolo determinante nell’agenda politica sia nazionale che internazionale, avendo consapevolezza del proprio ruolo, dei propri diritti e della propria dignità.