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I “marcatori”

Il mio ultimo preside era una persona amante del quieto vivere. Ma quando cominciarono a presentargli dei piani di lavoro zeppi di errori d’ortografia, sia pure con evidente imbarazzo, non poté tacere. La fatidica goccia era stata una “a” con l’acca che non ci voleva, un classico. Un collega replicò che non ci vedeva nulla di scandaloso, un momento di distrazione...

Eh, no! Certi svarioni, a chi abbia fatto 15 o 20 anni di scuola, non si possono perdonare: dimostrano che il colpevole è un somaro. Sarebbe come sbagliarsi a scrivere il proprio nome e cognome. Esistono, insomma, come in un’analisi del sangue, dei “marcatori”, delle parole, sbagliando le quali - nello scrivere come nel parlare - ci si rivela irrimediabilmente delle persone incolte. L’”a” con l’acca, si diceva, nello scrivere; e qui siamo al vertice. Poi, in una scala decrescente di gravità, potremmo citare areoporto, metereologico, fino al meno imperdonabile avvallare (nel senso di confermare; con tutt’altro significato è corretto).

I “marcatori” valgono naturalmente anche nel parlare, e qui, in una analoga classifica dal più al meno grave, elencherei édile, pùdico, Frìuli, sàlubre e Nuòro, tanto per citare castronerie spesso sbagliate da sedicenti giornalisti televisivi. A complicare le cose, certe mode che intervengono nella pronuncia dei toponimi. Per decenni si è detto Hiroshìma, ma da qualche anno è subentrato Hiròshima. La Tanzània sta diventando Tanzanìa, da scandìnavo si sta passando a scandinàvo, e secondo qualcuno anche l’inesistente Padània sarebbe più giusto chiamarla Padanìa. Da sempre, poi, nei notiziari regionali, Brùnico e Brunìco si alternano allegramente. Sono tutti dilemmi sui quali il dibattito è in corso, un dibattito in cui le opposte scuole di pensiero sembrano vantare entrambe buoni argomenti. Insomma, diciamo pure come ci pare, Brùnico o Brunìco, ma all’édile e all’avvallo, per favore, stiamoci attenti.