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Rush

Quando contavano i piloti

Da adolescente, diciamo tra il ‘69 e il ‘74, avevo molte passioni sbagliate nel periodo sbagliato. Per la politica, nell’esplosione dei deleteri, ideologizzati, settari gruppetti extraparlamentari. Per la musica, nel periodo decadente del prog rock e soprattutto in quello dell’assenza di concerti in Italia per le contestazioni e autoriduzioni politiche. La passione per le ragazze, che saranno state tanto disinibite nel mondo, ma a Trento, tra cattolicesimo e femminismo, farsi una storia con una coetanea era un calvario. E per l’automobilismo, dove da ferrarista avevo poco da gioire, visto che l’ultimo campionato del mondo vinto da una rossa risaliva al 1964.

Poi, quando nel ‘75 vinse Niki Lauda, per me già un po’ fuori tempo massimo; quando nel ‘76 vinse James Hunt per il ritiro di Lauda per incidente io ero a fare il viaggio dei miei sogni negli Stati Uniti. Infine nel ‘77, quando vinse di nuovo Lauda, ero all’università di Bologna e la realtà era molto più appassionante dei motori in televisione.

Ma le passioni non si dissolvono poi così facilmente. Soprattutto per uno come me: coerente, metodico e dedito alle mie passioni come Niki Lauda era dedito alla sua; uno come me che poi sognava una vita come James Hunt, pilota scatenato, bello, pieno di soldi e donne e soprattutto inglese, che vuol dire che poteva andare a vedere tutti i concerti che voleva, se avesse voluto.

Insomma, quei miti mi erano dentro e anche dopo mi sono rimasti addosso.

Quindi ora mi chiedo: a chi può interessare e piacere oggi un film come “Rush” di Ron Howard, costruito proprio sulla rivalità tra Niki Lauda e James Hunt nel triennio ‘75-’77?

Oltre a me, voglio dire.

Un adolescente Iphone-dipendente di oggi lo può vedere come un giovincello del ‘75? Credo proprio di no, ma a guardare il risultato degli incassi sembra che invece le macchine pre-cibernetiche e la componente umana, per una volta, vincano sul mondo virtuale.

In mano ad un buon professionista come Howard il film non manca di pregio formale, buon ritmo, perfetta ricostruzione d’epoca e spettacolari riprese di gare. Siamo vicini ai classici del genere del passato (“Grand Prix”), ma si capisce che ai dettagli tecnici il regista preferisce il lato emotivo e questa è la carta vincente.

Evidentemente la storia vera della rivalità fra due campioni del mondo, ma soprattutto di due stili di vita opposti, riesce a restituire il fascino vitale di un confronto appassionato in cui soldi, sponsor, pneumatici, tecnologia, che pure allora contavano, non tolgono la sensazione che veramente importanti fossero i piloti e le macchine, che molto dipendesse ancora dalla passione.

La rivalità di due temperamenti opposti, competitivi, ambedue vincenti e se non proprio amici per lo meno rispettosi reciprocamente. Che storia nobile.

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