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QT n. 5, maggio 2016 L’editoriale

Quando il problema era Grisenti

“Abbiamo dei problemi”. Il Trentino, l’Autonomia, hanno serie difficoltà. E non abbiamo neanche Houston cui rivolgerci: se chiamiamo Roma, giustamente temiamo che la risposta possa essere una spoliazione più che un aiuto.

Il primo problema si chiama Ugo Rossi. Nella sua rubrica, Piergiorgio Cattani illustra una serie di criticità dell’azione del Presidente della Giunta. Qui riprendiamo il caso Telemedika: un appalto riaperto per far concorrere – e vincere – l’azienda di un familiare, che l’aveva supportato in campagna elettorale, un’aziendina appena nata che sbaraglia le multinazionali del settore, per adempiere a compiti sanitari (la telemedicina) che erano (forse) nella testa dell’assessore (Rossi appunto) ma non nei programmi dell’Azienda Sanitaria, che poi difatti non ha perseguito. È lecito ritagliare un appalto giusto per un familiare, senza che ne venga alcuna pubblica utilità? Mah. Ricordiamo quanto con gli appalti fosse disinvolto il vecchio Silvano Grisenti, ma lui – le strade e gallerie - le realizzava. Qui invece i soldi evaporano in progetti a priori strampalati.

Ancora Rossi nel caso LaVis: dopo anni di malagestione la Cantina sta per fallire, Rossi interviene con un’iniezione di ben 10 milioni, silura l’Ad Zanoni e lo sostituisce con il commissario Girardi. Poi va in assemblea e di fronte ai contadini attoniti tesse le lodi di Zanoni. Ma allora, perché lo hai cacciato? E perché hai dovuto prelevare 10 milioni dalle casse dei contribuenti? In altro articolo diamo alcune letture di questo comportamento, tra cui quella per cui Zanoni è uomo di ISA e ha favorito la spoliazione della Cantina a favore della finanziaria del vescovo. In ogni caso: è questo il comportamento di un Presidente della Provincia?

Il problema Ugo Rossi non rimane circoscritto, si amplia subito, e diventa il problema PATT, il problema PD, il problema Dellai. L’insperata presidenza Rossi ha proiettato nell’orbita del potere il suo partito, il PATT, che si è rivelato particolarmente inadatto. Sul carro sono saltati opportunisti vecchi e nuovi, senza alcuno spessore o cultura, non parliamo neanche di senso delle istituzioni. Solo così si spiega come possa essere diventato presidente (anche se solo per un giorno) del partito un personaggio come Pedergnana per cui è ammissibile essere contemporaneamente autonomisti e fascisti; o capogruppo in Provincia uno come Baratter, che pensa di poter sottoscrivere accordi per scambiare voti con soldi. Ancor più inquietante il senatore Panizza, che l’ultimo arrivato non è, e che bolla come “macchina del fango” la censura di tali comportamenti.

Il PD? Qualcosa dice sugli svarioni istituzionali di Pedergnana o Baratter, ci mancherebbe, ma sul resto è muto. O, quando qualcosa mugugna, lo fa nell’ottica di indebolire\sostituire Rossi, non in quella di proporre un altro metodo di governo. Quello va bene, rappresenta “la coalizione”, che è il bene supremo. Perché si scrive coalizione, ma si legge poltrone, e quello sì, senza dubbio, è il fine ultimo.

Il punto è che tutti, da Rossi (che non a caso si avvale come consulenti di vecchi arnesi della DC dorotea) al PD, al centro-destra, hanno come orizzonte la politica di Dellai. Che era clientela e spesa pubblica. Anche quando era ammantata dietro le “intuizioni” (come esaltano i retori dell’establishment) quali la ricerca – troppe volte franata nello sperpero e nello scandalo, da non far pensare che dietro non ci fosse del metodo, e Rossi (con Deloitte e con Keynet) ha seguito pari pari – o come l’università, addomesticata ed imbolsita dalle troppe consulenze.

E allora qui il problema diventa il Trentino.

Se poi allarghiamo l’orizzonte e guardiamo al mondo cooperativo e alla sua crisi, comprendiamo come sia tutta una cultura, tutto un modo di concepire i poteri e i rapporti sociali a non essere più adeguato.

I soci che si fidano ciecamente dei dirigenti perché è più comodo, perché non saprebbero fare altrimenti, perché tanto finora le hanno imbroccate quasi tutte, sono un capitale sociale del tutto inadeguato, ormai obsoleto. E i dirigenti che sempre si chiudono a riccio, in un’autodifesa di casta, sono inutili a qualsiasi rinnovamento, e quindi profondamente dannosi. Questa è la realtà che emerge dopo gli anni di Schelfi, il quarto suo ridicolo mandato, la farsa della presidenza Fracalossi, il suo devastante abbandono.

La cooperazione conta 270.000 soci, non dimentichiamolo: se non ha una cultura all’altezza dell’oggi, è tutto il Trentino che non è all’altezza..