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Beato Josef Mayr–Nusser, testimone di tempi di tenebra

Disse no ai totalitarismi e all’idolatria nazionalsocialista

Josef Mayr–Nusser

Il Sudtirolo ha un nuovo santo. Oltre 2.000 persone, fra invitati e fedeli, hanno presenziato, il 18 marzo nel Duomo di Bolzano, alla proclamazione di Josef Mayr-Nusser a “martire della fede nei tempi bui della dittatura nazista e della seconda guerra mondiale”. Le sue spoglie sono state trasferite dalla località periferica di Stella/Lichtenstern del Renon al Duomo del capoluogo, la sua città, nella nuova tomba-monumento realizzata dallo scultore Eduard Habicher.

Una celebrazione fastosa, con undici vescovi, 160 sacerdoti, 16 diaconi e il cardinale Angelo Amato, che ha letto la lettera apostolica di papa Francesco che fissa il 3 ottobre come il giorno in cui ogni anno verrà celebrata la sua festa.

Non è un santo “comodo”, ha detto il suo postulatore. È un santo che porterà inquietudine nella chiesa locale e la farà cambiare, se non ora, almeno in futuro, osserva lo storico Hannes Obermair, direttore dell’Archivio Città di Bolzano. “Era scomodo per la Chiesa - ha detto il figlio Albert Mayr-Nusser - perché il suo esempio la obbligava a riconoscere il diritto di un uomo ad agire secondo coscienza contro l’autorità, se questa è totalitaria e assassina. A riconoscere la libertà dell’individuo di dire ‘no’. Un salto culturale molto difficile in un mondo ancorato al principio della cieca obbedienza”.

Nonostante il fumo dell’incenso sparso a piene mani, il nuovo santo già fa riflettere sui comportamenti al tempo delle dittature e sul silenzio del dopoguerra, quando in nome dell’unità etnica si evitò la questione morale. “La Curia era completamente disinteressata….. - dice Albert. - Mia madre ci stava male. Io ero più pragmatico: che vuoi fare - le dicevo - siamo circondati da nazisti! Ma a lei pesava che la Chiesa non facesse nessun passo ufficiale. Come Dableiber, poi, eravamo una minoranza nella minoranza. E dall’altra parte non c’era nessuna volontà di dire: ‘Scusate, è vero, abbiamo sbagliato’”.

Josef Mayr-Nusser scrisse negli anni Trenta: “Intorno a noi regna l’oscurità. L’oscurità della miscredenza, dell’indifferenza, del disprezzo, forse della persecuzione. Noi siamo chiamati a dare testimonianza e a superare l’oscurità attraverso la luce di Cristo, nonostante tutti gli attacchi, nonostante non ci diano ascolto e considerazione. Rendere testimonianza: è questa oggi la nostra unica, potente arma. Davvero strano. Non la spada, non la violenza, non il denaro e nemmeno il sapere intellettuale, il potere spirituale, nulla di tutto ciò ci è richiesto per edificare il regno di Dio sulla terra. Il Signore ci esorta invece ad un atto molto più umile eppure molto più importante: essere testimoni. Essere testimoni in modo semplice, naturale, è questa la testimonianza più grande” (traduzione di Donatella Trevisan).

Quando fu il suo momento, a 33 anni, ebbe la forza di testimoniare. Solo. Consapevole che non lo appoggiavano né i suoi camerati, che non cercò di convincere a seguirlo, né tantomeno la Chiesa, di cui si sentiva parte, e il cui vescovo aveva segnalato, con la clamorosa pubblica opzione a favore del Terzo Reich, una condiscendenza incredibile verso un regime razzista e uno stato criminale.

Alexander Langer, anch’egli da giovanissimo attivista nella Chiesa, fu colpito dalla figura di Mayr-Nusser, che pochi conoscevano e nel 1965 (aveva 19 anni) ne scrisse. L’articolo di Alexander è stato ripubblicato in questi giorni sul Tageszeitung del suo grande amico Arnold Tribus. Descrive Mayr-Nusser come un esempio per i giovani cattolici impegnati, e come stimolo di riflessione sul passato e sulla responsabilità personale di ognuno.

Il postulatore demandato dall’autorità ecclesiastica, Josef Innerhofer, ha dichiarato invece di avere scoperto Mayr-Nusser solo nel 1980 - probabilmente in seguito alla pubblicazione del libro o alla messa in onda del film del gesuita bavarese Reinhold Iblacker “Keinen Eid auf diesem Führer. Josef Mayr-Nusser - Ein Zeuge der Gewissensfreiheit in der NS-Zeit”, Tyrolia Verlag, 1979.

Il bellissimo libro fu tradotto in italiano dal figlio Albert Mayr nel 1990 con il titolo “Non giuro a questo Führer”. Innerhofer ha raccontato dell’ostilità dei tanti che erano andati in guerra e avevano giurato a Hitler e che ancora molti anni dopo parlavano di “dovere”.

Una testimonianza controcorrente

Sono tanti i sudtirolesi che non amano Mayr-Nusser. Davanti alla tomba qualcuno ha scritto sul volantino della preghiera: “Arme Religion mit solchen Heiligen” (Povera religione con simili santi).

Perché tanto risentimento? Josef Mayr-Nusser (ci sono tanti “Mayr” in Sudtirolo e per distinguerli si aggiungeva il nome del maso, in questo caso il Nusserhof, ai Piani di Bolzano), non era pacifista. Era stato nell’esercito italiano nel 1931. Il 7 settembre 1944 come altri Dableiber, optanti per l’Italia, pur essendo cittadino italiano, venne arruolato forzatamente e illegalmente dall’esercito germanico occupante. Quando a Konitz, in Prussia, oggi Polonia, presso una caserma di addestramento delle SS, il 4 ottobre doveva giurare al Führer, disse: non posso. Come dirigente cittadino dell’Azione Cattolica e poi della San Vincenzo, aveva denunciato la natura idolatrica del regime di Hitler e la sua incompatibilità con i principi morali del cattolicesimo, contrapponendosi alla propaganda del Völkischer Kampfring Südtirols, organizzazione nazionalsocialista, che attirava moltissimi giovani. Conosceva, come tutti, che cosa stavano facendo i tedeschi, soprattutto le SS, i delitti di massa in Polonia, le deportazioni, i campi di sterminio. Fu incriminato per disfattismo. La guerra era alla fine. Stavano arrivando i russi. I prigionieri vennero messi sui carri bestiame diretti a Dachau.

Il viaggio di Mayr-Nusser finì a Erlangen, dove il treno si fermò per 8 giorni, al freddo, senza cibo né acqua. Morì e lì fu sepolto. Solamente nel 1963 le sue spoglie vennero portate al Renon.

Nella sua decisione di non giurare al Führer, presa in terribile solitudine, fu sostenuto dalla famiglia e in particolare dalla moglie Hildegard. E alla moglie, con cui era sposato da poco e con cui aveva un figlio piccolo, scrisse: “Carissima Hildegard! L’impellenza di tale testimonianza è ormai ineluttabile, perché due mondi si stanno scontrando. I miei superiori hanno mostrato fin troppo chiaramente di rifiutare e odiare quanto per noi cattolici vi è di sacro e intangibile. Prega per me, Hildegard, affinché nell’ora della prova io agisca senza timore e senza esitare, lo devo a Dio e alla mia coscienza” (lettera da Konitz, Prussia orientale, 27 settembre 1944). Il carteggio fu pubblicato nel libro di Iblacker (vedi sopra).

Alexander Langer scrisse: “Josef Mayr si rifiutò di prestare giuramento alle SS... Si trattò di una ribellione all’autorità costituita oppure di un atto di libertà di coscienza e di rifiuto giustificato a compiere crimini? Le SS - come del resto tutto lo stato hitleriano - non rappresentavano più (per lo meno a partire dal 1939) un’autorità legittima. E in base alla morale cristiana e al diritto naturale ci si deve rifiutare di compiere dei crimini”.

Il figlio Albert Mayr-Nusser, consapevole dell’eredità morale e spirituale del padre, considera la beatificazione un passo avanti nel riconoscimento dei valori del padre, ma nelle numerose interviste di questi giorni emerge la preoccupazione che il padre venga messo “su un piedestallo”, per non affrontare le questioni morali che il suo sacrificio pone alla storia, alla politica e alla chiesa cattolica.

Albert racconta di avere avuto uno scontro con il presidente Kompatscher per la manifestazione del 2015, “Autonomia e Resistenza” (vedi: QT, rubrica Dal Sudtirolo, ottobre 2015). Egli fa notare che è riduttivo dire, come si è fatto in quell’occasione, che senza la Resistenza non ci sarebbe stata l’autonomia: si tratta di un “approccio utilitaristico” alla Resistenza, che invece pone ben altre questioni, di carattere civile e morale. La beatificazione di suo padre ha nuovamente tralasciato due aspetti fondamentali che stavano a cuore al beato, e che furono poste già nel Cinquecento da Tommaso Moro, assassinato per questo nel 1535, un personaggio da lui venerato: la coscienza individuale e il rapporto fra la religione (la Chiesa) e il potere statale. Quando finiscono le cerimonie, “il cristiano che fa? Se lo mandano a combattere in Iraq…che fa? Se in Germania gli fanno costruire le armi da mandare nelle zone di guerra, violando la Costituzione, che fa? Che dice? Obbedisco?

E sul rapporto fra Chiesa e potere, Albert dice ancora: “Per la Chiesa dell’epoca è stato davvero difficile mettersi contro il potere politico imperante in tutto il mondo sudtirolese. Un potere che aveva deciso di dimenticare ed obnubilare tutta la resistenza sudtirolese…. La Volkspartei aveva deciso di mettere in primo piano il Volkstumskampf (la lotta nazionale) ponendo l’attenzione sugli italiani che opprimevano. Cosa vera, ma di fatto nell’heiligen Land Tirol (sacro Tirolo) è stata dimenticata la dimensione etica”.