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Lettera dal Mozambico

Dalla siccità alla guerra “a bassa intensità”.

Andrea Facchetti
Di ritorno da Chimoio, sopra 15 materassi. Dopo 300 km, a 120 km da Chemba.

“Mbwenye pang’ono” è l’espressione della gente quando i convenevoli della conversazione, dopo avere toccato i primi due pilastri della vita (la salute e la famiglia), scivolano sul terzo: la campagna, che è il sostentamento primario della vita. “Mbwenye pang’ono”, vale a dire “un po’ meglio”, rispetto all’anno scorso», sottinteso. Diversamente non poteva essere. Il 2016 sarà ricordato come anno di sofferenza, a causa della siccità e della fame.

Incontrando le nostre 75 comunità, ci rendevamo conto che alcune erano più che dimezzate, altre addirittura scomparse. Molte famiglie si erano infatti trasferite nelle isole del grande Zambesi per tentare di produrre qualcosa.

Distanti fino a 50 chilometri da casa, costruivano là la loro capanna nella speranza di un minimo di raccolto.

A partire da ottobre erano intervenute anche le Nazioni Unite che, attraverso il programma mondiale per l’alimentazione, hanno distribuito in maniera massiccia mais e fagioli. E pare che la distribuzione sia stata piuttosto oculata, dato che ne hanno beneficiato anche i nuclei familiari che appartengono all’opposizione. Dettaglio non automatico in tempi di guerra.

Chimoio prima della pioggia

Pioggia. Attesa, sperata, implorata, pregata. Quante mani hanno battuto quanti tamburi per quante notti, per invocarla come si invocano gli spiriti degli antenati. Quando una notte di dicembre, la prima pioggia ha deciso di cominciare a scendere, non poteva non apparire in forma di visione. Come una visione è venuta e come una visione se n’è andata. E poche altre volte si è fatta vedere. Visioni sospese. Film che termina, ma senza epilogo, senza la parola “fine”. Spettatori contenti a metà. Però, nonostante tutto, “Mbwenye pang’ono”, dice la gente.

In viaggio

Gli esami sono finiti ai primi di dicembre, mentre il nuovo anno scolastico è cominciato alla fine di gennaio. In mezzo c’è il tempo delle ferie che coincide con il culmine del grande caldo e della stagione delle piogge.

Ogni tanto mi telefona uno dei ragazzi per raccontare dov’è, cosa sta facendo, oppure per chiedere come va. Marino, che ora sta frequentando l’ultima classe del ciclo di studi, mi chiama in un pomeriggio torrido di gennaio per raccontarmi che si trova a Beira, la seconda città del Paese, dallo zio. La famiglia di Marino vive a Cado, villaggio di poche capanne sparse dove le capre sono più degli umani. È la prima volta che Marino va in città. Gli chiedo come si trova, se gli piace. Risponde: “Certo, padre. Qui è tutto strano. Ad esempio, le case stanno una sopra l’altra”.

Ai primi di gennaio, constato che il mulino elettrico con il quale i ragazzi ogni giorno macinano il mais necessita di manutenzione. Inoltre, servono una quindicina di materassi in più. Quest’anno saranno infatti cento i ragazzi e le ragazze ospitati nelle due case di accoglienza per gli studenti, quindici in più rispetto all’anno scorso. Decido così di andare a Chimoio per comprare i ricambi del mulino e i materassi.

È il tempo delle piogge e devo percorrere circa 150 km di foresta. In questi casi è bene non viaggiare da soli. Provvidenzialmente Ezequiel deve passare per Chimoio per andare a trovare il fratello. Gli do volentieri un passaggio. Non incontriamo pioggia nel cammino e riusciamo a percorrere senza difficoltà il tragitto in circa tre ore. Mentre guido, Ezequiel si agita sul sedile e si guarda attorno, quasi fosse disorientato o avesse perso qualcosa. “Magari sta pensando che abbiamo sbagliato direzione”, rifletto tra me. Poi mi accorgo che, dal finestrino laterale, guarda incuriosito la strada. “Ezequiel, è la prima volta che vedi l’asfalto?”. Ezequiel mi guarda stralunato e mi risponde con un’altra domanda: “Padre, cos’è l’asfalto?”.

Tra Frelimo e Renamo

Chimoio, la sede dalla Renamo devastata

Chimoio è una piccola città, capoluogo di regione. Nel tempo coloniale era il granaio del paese. Terra fertile e produttiva che riforniva il Mozambico di cereali, bestiame, frutta e verdura. Oggi continua la sua tradizione, ma in maniera ridimensionata.

Nei mesi scorsi, televisione e stampa avevano parlato di Chimoio perché nel giro di poche settimane era stata devastata per due volte la sede della Renamo, il principale partito di opposizione. La seconda volta era stata fatale: le fiamme avevano bruciato documenti, computer, archivio e materiale elettorale. Si era pensato agli squadroni della morte al soldo della Frelimo, il partito ininterrottamente al potere da ormai 42 anni: eseguono il lavoro sporco in questa guerra a bassa intensità, iniziata quattro anni fa.

Rapimenti, omicidi e intimidazioni a membri dell’opposizione, a giornalisti e a magistrati con l’obiettivo di bloccare la parte sana della società e reprimere qualsiasi tentativo di costruire un’alternativa.

È metà mattina e, dopo qualche mese in mezzo alla savana, mi trovo in una città. Ci sono abitudini dure a scomparire. Così, cerco un caffè. Sarà che la città è piccola, o sarà una coincidenza, trovo un parcheggio proprio davanti alla sede della Renamo devastata. Attraverso le inferriate della finestra, do una occhiata dentro e faccio qualche foto. Due giorni dopo quelle foto e quel caffè, sarebbe iniziata l’ennesima tregua congiunta dichiarata dai due contendenti. La tregua è ancora in vigore e stavolta sembra che regga.

Lo Zambesi

La radice di questa violenza sta nella concentrazione sproporzionata di potere che la Costituzione attribuisce al partito che vince le elezioni, senza ottemperare al principio dell’indipendenza dei poteri, messo in discussione da ingerenze dell’esecutivo nei confronti del legislativo e del giudiziario. E senza tenere conto che a livello regionale e locale si possono avere maggioranze differenti da quella che ha vinto a livello nazionale.

Ad esempio, sia nella nostra regione di Sofala che nel nostro distretto di Chemba, la Renamo ha vinto le elezioni di tre anni fa. Eppure, sia la regione che il distretto sono governati da un presidente e da un amministratore di distretto della Frelimo, entrambi non eletti dalla popolazione, ma nominati dal governo centrale.

La cosa si complica ancora di più, perché la Renamo non riconosce il risultato di quelle elezioni a seguito di ben documentate testimonianze di brogli sistematici. Il superamento dell’impasse sta allora nella riforma della Costituzione. Che si gioca in Parlamento, dove però la Frelimo ha la maggioranza assoluta e ci penserà bene prima di approvare una riforma che farebbe vacillare un sistema di potere tanto granitico.