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QT n. 6, giugno 2017 L’editoriale

Il Trentino che cambia

All’interno delle notizie di questi giorni, e delle inchieste che il lettore può trovare in questo numero di Qt, si può intravedere un elemento che le collega: e che ci parla di un Trentino che cambia, e forse in meglio.

La prima notizia non è positiva: la nostra provincia sta perdendo, come spieghiamo a pagina 14, la sua storica Mutua, costruita attraverso una storia plurisecolare. A meno di ribaltoni soprattutto giudiziari, Itas è passata in mano a un disinvolto politicante di Pordenone, che ora gestisce la società con i suoi sodali e si appresta a sganciarsi dal Trentino, poco controllabile. È una brutta perdita: pesante perché Itas è una prospera realtà di grandi dimensioni; e grave per il metodo, la società ce la hanno sfilata sotto il naso. La hanno sfilata soprattutto a Isa, la potente finanziaria della Curia, da sempre sodale di Itas, negli intrecci societari e nelle intraprese comuni.

Il fatto dovrà far riflettere la finanziaria, evidentemente poco accorta, ma che paga, assieme agli altri potentati trentini, eccessi di furbizia: aver avallato prima, e non controllato poi, una presidenza come quella di Giovanni Di Benedetto - già in carcere per truffa ed altri analoghi reati - mostra quell’indifferenza etica che noi più volte avevamo denunciato, e che si è rivelata gravemente autolesionista.

Resta il dato complessivo: si è sfaldato il più grosso gruppo di potere trentino – Isa-Itas-Fondazione Caritro – i cosiddetti “poteri forti”, intrecciati nelle governance e compatti nel condizionare la politica e le sue decisioni. Prima se ne è andata Fondazione Caritro, che doveva sostenere cultura, ricerca, istruzione, territorio, e che era invece finita, aggregandosi ad Isa-Itas, a supportare operazioni finanziarie e speculazioni immobiliari, peraltro poco brillanti come quella alle Albere. Un salutare ribaltone interno la ha distaccata dalle altre, e reindirizzata verso la vera mission, con esiti decisamente positivi, a quanto abbiamo potuto constatare. E ora a meno di sorprese si stacca, e malamente, Itas. È lo stesso concetto di “potere forte”, e di come lo si può esercitare nel 2000, che va evidentemente, da tutti, rivisto.

Il secondo spunto lo ricaviamo dalla nostra inchiesta sull’agricoltura trentina. All’interno della quale è ormai evidente una grande spinta al rinnovamento, una riconversione dalla qualità alla quantità. Un cambiamento di paradigma, da anni da noi auspicato (il che conta poco) come pure dagli studiosi del settore (e doveva contare di più) che producevano ponderosi studi rapidamente inabissati nei cassetti se non nei cestini (qualcuno ricorda il mitico “Piano Pedron” per la viticoltura, commissionato dalla Federazione Cooperative di Schelfi?). Ora questo cambiamento viene praticato, con un sempre più significativo, anche se non semplice, passaggio alle coltivazioni biologiche: e non solo dalle piccole aziende di nicchia, o da quelle medie di eccellenza come Cantine Ferrari, ma anche dagli stessi colossi come Cavit e Mezzacorona, in passato ferventi sostenitori della strada opposta, e che ora si rendono conto di come il Trentino, anche per i grandi volumi di vendita, deve riciclarsi verso qualità e sostenibilità. Più lento, ma analogo, il discorso nel settore frutticolo, dove peraltro è pressante la protesta contro i pesticidi da parte degli abitanti: anche qui sono partiti piccoli produttori, poi una realtà come la Società Frutticoltori Trento (che al suo interno ha eliminato la disastrosa presidenza di un boss, Mauro Coser, processato per truffa e frode e tuttavia sostenuto dai vertici cooperativi, e ora rimpiazzato da un giovane presidente innovativo ed entusiasta); e ora perfino il colosso Melinda, pur con le difficoltà e lentezze che hanno i galeoni nel virare, inizia a riposizionarsi.

È a nostro avviso la società trentina che, al di là delle istituzioni pubbliche (in questo processo spicca il ruolo passivo, o addirittura di freno, giocato dalla Fondazione Mach) sta dimostrando di saper prendere le contromisure per adeguarsi a nuove realtà.

Ultimo argomento, che avevamo già trattato alcuni mesi orsono, e che ci ripromettiamo di approfondire: Cassa Centrale Banca che diventa capofila del secondo gruppo nazionale del credito cooperativo. Un grande progetto, nato per l’arrogante ingordigia del gruppo romano Iccrea che pretendeva di fagocitare le (probabilmente) più efficienti società di servizi trentine (Phoenx, Ibt ecc) e poi sviluppatosi grazie all’adesione a Trento di un centinaio di altre banche cooperative in tutta Italia. Tra Ccb e Iccrea è stata, ed è tuttora, una lotta senza esclusione di colpi, in cui il gruppo romano ha goduto, per evidenti ragioni, di sostanziosi appoggi. Non vogliamo qui tirare giudizi definitivi che oggi potrebbero essere superficiali ed errati. Ci sembra comunque di poter dire che un’operazione di tale portata, nata a Trento, centrata su società trentine (come quelle appunto di informatica bancaria) può essere sintomatica di un territorio che riesce – e bene – a stare al passo con i tempi.