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QT n. 9, settembre 2018 Monitor: Libri

Stefano Guarnieri, Il torto di essere vittime.

Dopo l’incidente... Firenze, Associazione Lorenzo Guarnieri / Giunti, 2018, pp. 128, euro 14.

Due giugno 2010: Lorenzo Guarnieri, studente fiorentino diciassettenne, sta tornando a casa in motorino quando un altro motociclista, che viaggia in senso contrario, invade la sua corsia di marcia e lo travolge, uccidendolo sul colpo. Responsabile della tragedia è un uomo di 45 anni, ubriaco e “fumato”, che dopo un lungo iter processuale fino alla Cassazione, viene condannato alla sospensione della patente per 3 anni, e a 2 anni e 8 mesi di carcere; meno di 3 anni, e quindi non sconterà neanche un giorno di galera.

Poco dopo, nel nome di Lorenzo, i genitori promuovono un’associazione che ha come obiettivo “l’assistenza socio-sanitaria e il sostegno psicologico di coloro che sono sopravvissuti ad incidenti stradali e dei familiari di vittime di incidenti stradali e la tutela dei loro diritti”. Ma l’obiettivo più ambizioso e immediato è l’istituzione di una nuova ipotesi di reato, l’omicidio stradale, e a questo scopo, in collaborazione con altre associazioni e col Comune di Firenze, nel 2011 avviano una raccolta di firme e s’impegnano in una incessante serie di contatti che porterà, nel marzo 2016, alla realizzazione del loro intento.

Il nuovo reato, che prevede pene più pesanti rispetto all’omicidio colposo, si basa sull’idea – scrive Guarnieri – che “molti degli omicidi che il nostro Codice chiama ‘colposi’ sono assolutamente prevedibili: se vado a 120 km/h dove il limite è 70 o se mi metto alla guida dopo aver bevuto, è prevedibile che qualcosa di grave possa accadere”. Non semplici, casuali incidenti, dunque.

Una vittoria importante, ma c’è molto altro da fare, ed è da qui che il libro incomincia, giustificando il suo titolo e illustrando il percorso che devono affrontare i congiunti di un ragazzo che ha perso la vita sulla strada: “Un sentiero oscuro, tortuoso...”.

Tutti abbiamo sperimentato quanto sia faticoso, quando ci si sente depressi anche per i motivi più futili, affrontare qualche adempimento burocratico; ma se ti muore qualcuno in maniera violenta e improvvisa, sono mille le cose che sei costretto a fare, scontrandoti spesso con normative assurde e la scarsa sensibilità di chi dovrebbe invece capire e agevolarti. Il risultato è un sentimento di solitudine, di isolamento, di invisibilità, che si intensifica man mano che procede l’incontro-scontro con le varie istituzioni.

Guarnieri passa in rassegna, con passione e al contempo con freddezza e finezza psicologica, i vari passaggi di questo percorso.

Stefano Guarnieri, Il torto di essere vittime. Firenze, Associazione Lorenzo Guarnieri / Giunti, 2018, pp. 128, euro 14.

C’è la burbera insensibilità del poliziotto che davanti al corpo senza vita del ragazzo sull’asfalto esordisce con un “Riconosce lei il corpo? Mi dà un documento?

C’è l’indifferenza della scuola, che si limita a un minuto di silenzio, quando “una morte come quella di Lorenzo, cioè un omicidio stradale dovuto ad alcol e droga, è una circostanza irripetibile per parlare di sicurezza, di stili di vita, di regole e di rispetto

C’è la restituzione degli effetti personali, avvenuta con burocratico distacco, cui si aggiunge la beffa: per quanto riguarda i mezzi incidentati, mentre quello dell’incolpevole vittima costa per il deposito qualche centinaio di euro, il motorino dell’investitore viene riconsegnato gratis, in quanto sequestrato dall’autorità giudiziaria e dunque a carico dell’erario.

C’è la lunghezza ma anche la scarsa accuratezza delle indagini (perché “è solo un incidente!”), e almeno qui qualcosa sta cambiando: dati gli aumenti di pena previsti dal nuovo reato, la polizia si dimostra ora più scrupolosa.

C’è soprattutto lo sconfortante rapporto con la Giustizia, dalla mancanza di informazioni sull’andamento delle indagini all’impossibilità di far sentire la propria voce nel corso del processo; fino a un tocco finale di inconsapevole crudeltà quando il processo in Cassazione si è appena concluso: in vista del ritorno in treno da Roma a Firenze, “i nostri avvocati e quello della difesa cominciano a socializzare... Vorrebbero mettere mia moglie accanto all’avvocato che fino a un momento prima ha detto una serie di bugie su Lorenzo per difendere l’omicida. Mia moglie si mette a piangere”.

Considerazione finale: “Tutto il sistema giustizia, sulla base della nostra esperienza, ignora lo stato di vittima e la sua sensibilità”.

Ecco dunque un nuovo obiettivo su cui puntare, ancor più difficile da conseguire di un aggiornamento legislativo. La prima cosa da fare è verificare come vanno le cose in altri Paesi. Si scopre così che in Inghilterra esiste la figura del Family Liaison Officer, un poliziotto che opera nei casi di morte violenta e il cui compito è seguire la famiglia nei rapporti con la stampa, col medico legale, di informarla sulle indagini, registrare eventuali lagnanze, ecc; che funge, insomma, da intermediario fra la famiglia e le diverse istituzioni che entrano in gioco in questi casi, in modo da attenuare l’impatto con un evento tragico come la morte improvvisa di una persona cara. Esiste inoltre la possibilità per i familiari di leggere durante il processo una propria testimonianza, il cosiddetto “Victim Personal Statement”, dove non solo riferire i fatti strettamente relativi al tragico evento, ma anche le conseguenze che ne sono derivate nella vita quotidiana, le sofferenze, i sentimenti.

In sintesi, una normativa che considera importante il rapporto con le vittime e i loro familiari

Mi viene così l’idea – scrive Guarnieri – di accompagnare la Polizia Stradale a Sheffield, dove ho dei contatti e dove ero già stato, a vedere con i propri occhi come viene garantito supporto alle vittime”. Da quel viaggio è nato il Progetto Chirone, ispirato alla normativa inglese, col relativo manuale che oggi fa parte delle procedure di lavoro della polizia stradale, ferroviaria e postale.

Un primo passo importante.

* * *

Per contatti: www.lorenzoguarnieri.com

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