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QT n. 3, marzo 2019 L’editoriale

Abbiamo bisogno di più Storia

Bisognerebbe migliorare l’insegnamento invece di eliminare la traccia di Storia dall’esame di maturità

È di questi giorni la campagna avviata da Repubblica contro l’abolizione della traccia di Storia negli esami di maturità voluta dal ministro dell’istruzione Marco Bussetti (area Lega).

Inconsistente la difesa del ministro, giocata sui soliti argomenti ipocriti di chi tira il sasso e nasconde la mano: “Nessuna cancellazione della Storia... diverse tracce potranno essere pervase dalla storia...” ecc; il tema del ruolo della storia nella nostra cultura, istruzione, società è di grande rilevanza.

Anche per esperienza personale: la formazione storica ricevuta prima dalle mie insegnanti alle medie e poi dai prof. Monteleone e Betta al liceo è stata un momento fondante della mia cultura, di più, della mia identità. E così per i miei compagni di classe. Quando il quarto anno delle superiori l’ho frequentato presso una High School americana, dove l’insegnamento della Storia era poca cosa, mi veniva da compatire i miei classmates americani, che nemmeno sapevano cosa si perdevano.

La Storia è vita. Ti fa vedere il passato, le altre società, come si sono evolute o dissolte; le alternative che i popoli avevano di fronte; quelle che, per scelta o più spesso per forza maggiore, hanno imboccato. Gli esiti, luminosi o tragici.

La Storia è un grandioso spettacolo. Sarebbe anche una grande maestra, ma non è mai facile saper metterne a frutto gli insegnamenti. Eppure, chi la ignora sarà un cieco, destinato a brancolare.

Per questo l’istruzione storica è parte cospicua del capitale umano di una nazione. Soprattutto in una democrazia.

Certo, il ministro Bussetti ha ragione nel denunciare l’esiguità del 3% di studenti che negli ultimi dieci anni hanno svolto la traccia storica. Ma il dato evidenzia il problema: la Storia non è insegnata in maniera adeguata. Il ministro il problema non lo affronta, lo rimuove: non miglioriamo l’insegnamento, depotenziamo la materia.

In effetti anche per un cultore, un appassionato come chi scrive, molti testi di Storia, scolastici e non, sono semplicemente improponibili. Di più, sono degli imbrogli. Elenchi interminabili di nomi, date, battaglie. Non sono solo mortalmente noiosi, sono inutili. Il punto è che è più semplice riempire le pagine ricopiando sterminati elenchi, che non invece cercare il senso degli avvenimenti: significherebbe studiare di più e meglio, individuare correlazioni e motivazioni, esporsi con idee che, al contrario degli elenchi, sono sempre opinabili.

Di qui un appannarsi della Storia, troppo spesso recepita come studio alieno e noioso. Oppure una sua ritirata nelle casematte ad essa dedicate. Ricordiamo ad esempio come al Mart si sia sì tenuta un’ampia mostra sulla Grande guerra, in cui giocoforza si parlava di Storia; ma che quando si era allestita una mostra sull’architettura razionalista degli anni ‘30, nelle didascalie e nei cataloghi non era comparsa nemmeno una volta (e il fatto era stato notato e stroncato dai critici francesi) la parola “fascismo”, pur essendo il regime il committente, l’ispiratore di quell’architettura. Appunto l’arte che vive a mezz’aria, in un mondo staccato dal reale, dalla politica, dalla Storia.

Eppure in Trentino ci sono anche vistosi segni positivi. Oltre al grande lavoro dei musei più propriamente storici (quello di Trento, il Museo della Guerra di Rovereto, ma anche il Diocesano) e la continua produzione di istituti di ricerca e associazioni, non possiamo non segnalare l’approccio a suo tempo radicalmente innovativo alla materia portato dal gruppo di Materiali di Lavoro/Archivio della scrittura popolare, che ha sistematizzato la ricerca storica su sentimenti, pensieri, cultura della gente, attraverso lo studio di lettere, diari, poesie, canzoni. La Storia come vissuta dal basso, dall’alpino al fronte, dalla moglie sola a casa con i figli... La Storia come vita, appunto. Che spiega come mai i popoli accettino tante imposizioni, e come mai poi, di colpo, si rivoltino.

La Storia come evolversi della cultura della gente. Quando abbiamo presentato la nostra ricerca sui valori e i miti del ‘68, e su come i giovani di oggi li giudicano, abbiamo trovato studenti attentissimi, che rimanevano in classe anche dopo il suono del campanello; come pure i metalmeccanici, quando questa ricerca l’abbiamo illustrata al congresso della Fiom, e l’avevamo sintetizzata per non prendere troppo tempo, ma dall’attenzione che c’era avremmo potuto parlare il doppio.

Ci sembra di poter dire che abbiamo tutti bisogno di più Storia. Forse per questo c’è il boom di un consumo di prodotti che potremmo definire para-storici: serie tv, film, romanzi storici, talora appassionanti e (quasi) rigorosi, talaltra sbracati e pasticcioni. Che però ci confermano come lo studio della Storia può essere tutt’altro che sinonimo di noia. Dovremmo darci tutti da fare perché, a prescindere da questo o quel ministro, la Storia, nella nostra scuola e nella nostra cultura, abbia il posto che le spetta in una società che si vuole evoluta.