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Educare alla politica

La paura degli stranieri che spinge anche molti cattolici a votare per chi promette respingimenti

Al mio singolare cartello “Grazie Lega !!…?? Questotrentino ha già dato un rilievo inatteso. La domanda “Cosa toglie ai migranti stranieri il mio biglietto gratis sul bus?” nella Parrocchia S. Antonio è stato (quasi) ignorato da chi entrava in chiesa una domenica a messa, e addirittura proibito al “Circolo Anziani” e al “Gruppo della Parola”. È stata un’esperienza che mi ha indotto al pessimismo.

Una sera d’aprile però, all’assemblea sui “Migranti”, ad ascoltare e ad applaudire Vincenzo Passerini, Camilla Pontalti e Mario Cossali, è una folla di 150 persone. Lo stesso cartello è apprezzato da (quasi) tutti, e sollecita la sottoscrizione per i biglietti ai migranti.

Certo, mi dico, questo è un pubblico auto-selezionato che si incontra per ragionare.

Gli argomenti dei relatori sul “Decreto sicurezza” sono macigni.

I molti cristiani presenti conoscono il significato del comandamento biblico: “Ricordatevi che siete stati stranieri in Egitto”. Io aggiungo le obiezioni della Società psicoanalitica italiana: “È proprio l’esperienza quotidiana di contatto con il disagio psichico profondo e con la sofferenza legata a traumi, sradicamento e lutto migratorio che ci spinge ad assumere una posizione critica”. Il mio cuore si apre alla speranza.

Allora decido di fare un passo avanti. Leggo all’assemblea, da Vita Trentina, la domanda di un giornalista a un uomo di Chiesa: “Perché da voi le elezioni sono andate così male?”, a cui il teologo risponde: “La responsabilità è anche nostra. Abbiamo rinunciato da un pezzo a fare educazione alla politica”.

Il giornalista è Fulvio Gardumi, l’uomo di Chiesa è Frei Betto, le elezioni sono quelle brasiliane.

Ma quello che vale per il Brasile, vale anche, sottolineo, per la Chiesa italiana, e trentina. L’educazione alla politica deve essere, in una Chiesa plurale, confronto di idee, rispettoso ma franco. Il discorso unidirezionale dal pulpito ai banchi, anche il più giusto, è inefficace. È la paura degli stranieri che spinge anche molti cattolici a votare per chi promette respingimenti. La paura dei musulmani innanzitutto, che mettono a rischio la nostra identità. Un cattolico noto della parrocchia diffonde Il Timone, la rivista del tradizionalismo più crudo, che del Convegno sulla famiglia a Verona condivide forma e sostanza. La Diocesi ha da poco invitato alla Cattedra del confronto Adnane Mokrani, un teologo musulmano prestigioso, per parlare della “mitezza”. È toccato a me ricordare che dieci anni fa Mokrani ha dato rilievo nazionale e internazionale alla colletta per la moschea raccolta a Trento dalla Comunità di S. Francesco Saverio.

La sera dell’assemblea in S. Antonio mi sento acceso dalla speranza. Oltre il pane e il tetto, io considero la moschea per la Comunità islamica un elemento simbolico centrale per misurare l’apertura al pluralismo culturale e religioso della nostra società. Pluralismo e laicità.

Il presidente Maurizio Fugatti sventola il suo “no” come una bandiera identitaria. E una folla di cattolici spaventati ancora lo segue, non trattenuta da una gerarchia clericale incerta.

Mi azzardo a fare una proposta a quell’assemblea culturalmente plurale: chiedo di esprimersi per alzata di mano se alla moschea è favorevole o contraria. Non se ne fa niente, la presidenza ritiene la proposta non pertinente, o prematura. Ci proverò ancora, in altra sede.

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