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QT n. 10, ottobre 2019 L’editoriale

La sfida a cui non siamo pronti

La politica e l’economia, continuano a ragionare come se il clima non stesse cambiando per nulla

Della manifestazione dei ragazzi di Fridays For Future e della nuova centralità dei temi ambientali ne parliamo negli articoli seguenti. Qui invece vediamo il tema da un altro punto di vista: le conseguenze sull’economia, sulla politica e quindi, la necessità di una nuova cultura.

A scanso di fraintendimenti, non ci iscriviamo tra coloro che sostengono che per essere all’altezza dei nuovi problemi bisogna cambiare tutto: modo di vivere, di pensare ecc. Ci sembra una radicalità che porta all’inazione, e che difatti spesso è predicata da chi non intende cambiare nulla. Un po’ come stava facendo – sostenevano alcuni teologi del dissenso – una parte del pensiero cattolico negli anni ‘70: di fronte allo tsunami comportamentale indotto dalla rivoluzione sessuale, non bollavano più la sessualità come cosa orrenda e quindi da rifuggire, ma la magnificavano come bellissima, straordinaria, e pertanto da praticare in condizioni ottimali, quindi praticamente mai; la sessuofobia, cacciata dalla porta, rientrava dalla finestra. Analogamente le pratiche contro l’ambiente, tradizionalmente assolte in quanto consone al modello di sviluppo, ora vengono ancora legittimate, ma surrettiziamente, sostenendo che per contrastare la deriva climatica non basta abolirle, bisognerebbe fare molto di più e molto meglio, e intanto non si fa niente.

Dunque l’ambientalismo ormai ha nuovi connotati. Non rappresenta più tanto una sensibilità – pregevole e stimabile, QT per anni ne è stato uno dei sostenitori – o un approccio culturale: la conservazione del paesaggio, delle memorie storiche, della natura intonsa. Riguarda invece aspetti assolutamente vitali: la potabilità dell’acqua, la respirabilità dell’aria, lo sconvolgimento del pianeta. Oppure, a un livello meno catastrofico ma comunque importante, riguarda l’organizzazione dell’economia e della società in presenza di sempre più accentuati rivolgimenti ambientali.

Partiamo da questi ultimi, più immediati da comprendere. E rispetto ai quali è più facile valutare l’adeguatezza del nostro approccio.

Il riscaldamento globale sta innalzando le temperature: l’industria del turismo dovrebbe tenerne conto.

Lo fa? No, anzi. Non rinuncia allo sci a bassa quota, ma ovvia alle carenze dell’innevamento con bacini artificiali. Investe quindi non nel proporre nuove attrattive, compatibili con le nuove condizioni, spende invece nel procrastinare il più possibile (e anche oltre) il vecchio schema.

Le tempeste tendono ad assumere caratteristiche molto più estreme: l’urbanistica dovrebbe tenerne conto, si dovrebbe ragionare sulla sicurezza degli insediamenti allegramente stabiliti sui conoidi di deiezione come quello del Riotan a Dimaro.

Lo si fa? Per niente. Come riportiamo in questo articolo, il Consiglio Provinciale litiga sulle modalità di rimborso al titolare di un camping, non sulle modalità con cui è stata concessa un’autorizzazione criminale; e meno che mai discute di come rimediare a tutte le altre autorizzazioni concesse in analoghe situazioni.

Insomma, la politica e l’economia, continuano a ragionare come se non stesse cambiando niente. Gli interessi consolidati – impiantisti, albergatori, costruttori – continuano a pensare con gli schemi mentali di sempre, non più attuali, e trovano piena corrispondenza a livello politico. Avvitandosi in un vortice di inadeguatezze sempre più profondo, in cui si finisce con lo sperperare ingenti fondi (in bacini d’accumulo, opere idrauliche a protezione di costruzioni nella sostanza abusive, rimborsi, tanto per rimanere ai nostri esempi) nel tentativo di puntellare il vecchio, invece di lanciare il nuovo.

Pensiamo che questi due esempi, relativi a settori peraltro decisivi – urbanistica e turismo – evidenzino la necessità di approcci totalmente innovativi, ostacolati però dalle vischiosità degli interessi consolidati.

E questo è niente: il campo in cui si gioca la partita è molto più ampio, riguarda una riconversione profonda dell’insieme dell’economia e di parte della società. Non si dovrà più inquinare, tutto dovrà essere riorganizzato. È una grande sfida, in cui si potrà dispiegare l’innovazione, e al contempo potranno pesare come piombo le resistenze degli interessi legittimi ma divenuti obsoleti. La politica, molto probabilmente, sarà a rimorchio. Chi si prenderà il compito di spingere verso il nuovo?