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Una rivoluzione che ha deluso

Elezioni presidenziali in Tunisia: vincono astensionismo e populismo anti-casta

Ferruccio Bellicini

Come previsto anche dai sondaggi e dagli exit polls, Kaïs Saïed (il Robespierre della politica tunisina) e Nabil Karoui (il magnate dei media, attualmente in carcere) sono i due finalisti usciti dalle urne del primo turno delle elezioni presidenziali che si sono svolte domenica 15 settembre.

Sono loro che si giocheranno, al ballottaggio, che si terrà il 13 ottobre, la più alta carica istituzionale, ma i veri vincitori sono stati l’astensione e il populismo anti-casta.

I risultati sono stati annunciati martedì 17 settembre, dal presidente dell’ISIE (Autorità superiore indipendente per le elezioni), Nabil Baffoun, che ha comunicato i risultati preliminari finali, in attesa che vengano verificati gli eventuali ricorsi di candidati perdenti e delusi.

Kaïs Saïed

Queste le percentuali ottenute dai primi cinque aspiranti alla carica suprema: Kaïs Saïed (il giurista indipendente chiamato anche il Robocop per la sua voce metallica senza inflessioni ed i suoi secchi movimenti) con il 18,4%; Nabil Karoui (il magnate carcerato, da alcuni definito, fra sarcasmo e convinzione, il Robin Hood tunisino), con il 15,58%; Abdelfattah Mourou (il Presidente ad interim dell’Assemblea dei rappresentanti del Popolo, islamista moderato e conservatore nell’abbigliamento tradizionale) con il 12,9%, seguito da Abdelkerim Zbidi (il ministro della Difesa dimissionario e già ministro ai tempi di Ben Ali, l’uomo della continuità pre e post rivoluzionaria) con il 10,7%; e infine Youssef Chahed (il Primo ministro dimissionario, che ha pagato duramente il fallimento di un’intera classe politica) con un modesto 7,4%); a seguire, con percentuali a calare, altri 21 candidati.

L’astensionismo

Nabil Karoui

Il numero elevato delle candidature ha parcellizzato il voto, tanto che, tenuto conto anche del 55% di non votanti, i primi due - Kaïs Saïed e Nabil Karoui - sono stati votati rispettivamente da meno di 2 persone su 10. Il che dà la misura della confusione che regna fra la popolazione tunisina.

Solo il 45,02% degli aventi diritto al voto lo ha esercitato, quasi 20 punti percentuali in meno della precedente elezione del 2014. Mentre per i tunisini residenti all’estero la media è stata del 19,7%.

I segnali di questa disaffezione erano nell’aria girando, già di buon mattino, domenica 15 settembre, in alcuni dei 13.115 seggi elettorali, distribuiti in 4.325 centri di voto, aperti dalla ore 8 fino alle 18, dove si notava più la presenza dell’esercito, dispiegato per garantire la sicurezza (32.000 militari) o della polizia, parimenti numerosa (circa 40.000 unità), che la fila di elettori rimarcata in precedenti elezioni.

Migliaia anche gli osservatori elettorali, nazionali e internazionali, tra cui quelli dell’Unione Europea (oltre 5.000) e centinaia i giornalisti stranieri accreditati.

L’annuncio dell’ISIE, avvenuto nel primo pomeriggio durante un briefing con la stampa, che il tasso di partecipazione alle elezioni presidenziali aveva raggiunto il 16,31% alle ore 13, confermava l’impressione visiva.

Così pure il voto della diaspora tunisina, che si è espressa il 13 e 14 settembre, è stato su questa falsariga. Il numero dei votanti, pubblicato dall’ISIE, è stato: Francia 22,5% degli aventi diritto, Italia 2,2%, Germania 12%, America del nord e del sud 3,7%, Paesi arabi e resto del mondo 19,1%.

Nella giornata del primo turno delle elezioni presidenziali la capitale, come tutto il resto del Paese, si è svegliata con la notizia della morte dell’83enne Chadlia, moglie del Presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, a sua volta scomparso 55 giorni fa. In un Paese dove il “maktoub” (destino) ha un forte valore nell’agire e nel pensare delle persone, questo è un segno: la fine definitiva di un “regno” e il preludio dell’inizio di un altro, a breve.

Ma non basta. Poco prima della fine della campagna elettorale, è comparso, come il fantasma di Amleto, il Presidente deposto ed esiliato Zine el-Abidine Ben Ali, con una sua morte annunciata e smentita dopo qualche ora dai familiari. Il 19 settembre, però, Ben Alì moriva per davvero.

Il disinteresse

Tunisi, 2010: la “rivoluzione dei gelsomini”

Oltre sette milioni di cittadini sono stati chiamati ad esprimersi dopo una campagna elettorale subita più che seguita e altrettanto ignorata, fra comizi elettorali senza folle acclamanti, gazebo agli angoli delle strade per la distribuzione di volantini, affidati alle mani di giovani simpatizzanti, senza destare troppa curiosità, dibattiti televisivi all’americana che hanno mostrato la scarsa abitudine dei candidati a questi strumenti, enormi poster dei candidati alla presidenza con un sorriso di circostanza, posti ad ogni incrocio delle arterie urbane e non. Il tutto sovrastato da sentimenti altalenanti nella popolazione fra la rabbia e la rassegnazione, per una situazione economica in fase recessiva, senza nessun significativo cambiamento dal post rivoluzione del 2011 ad oggi.

Frustrazione alimentata anche dai contendenti al soglio presidenziale, che più che presentare programmi di sviluppo per ridare speranza ad una popolazione esausta, si sono confrontati solo per demonizzarsi a vicenda.

A tutto ciò si aggiungevano delle piogge torrenziali che hanno provocato inondazioni, con morti ed enormi danni materiali, a Tunisi, Sousse, ed in altre città, con ritardi inaccettabili nei soccorsi. Questo ulteriore fallimento di chi gestisce la cosa pubblica ha accresciuto l’indignazione popolare, facendo traboccare un vaso già stracolmo, e punendo col voto coloro che sono stati ritenuti i responsabili, come il Primo Ministro Youssef Chahed, che ha subito riconosciuto la sonora batosta subita.

I due contendenti

Se da una parte Karaoui sarà probabilmente appoggiato dal vecchio sistema prerivoluzionario ed anche da buona parte dell’entourage di BCE dall’altra Saied ha dalla sua la maggioranza dei giovani, che sono tanti (il 30% della popolazione è fra i 15 e i 29 anni), affascinati dal suo eloquio elegante e pungente, dal suo essere controcorrente, conservatore e provocatorio allo stesso tempo; uno che ha saputo interpretare da tempo le aspettative e le speranze dei giovani, nate con la rivoluzione e fin qui rimaste insoddisfatte

Ha fatto presa su questo mondo senza guida, fra l’altro, la sua proposta di democrazia diretta, l’utilizzo di mezzi collettivi, il non aver accettato finanziamenti né pubblici né privati per la sua campagna elettorale e l’aver dichiarato che lui non si sarebbe votato e che neppure sua moglie l’avrebbe fatto.

L’ala dura del mondo islamista (i salafiti) è rimasta a sua volta allettata dai proclami di Saïed a favore della pena di morte, dal suo no all’omosessualità, dall’intento di ripristinare una morale che vieti l’esibizione di effusioni in pubblico e dalla contrarietà rispetto alla proposta di rendere la legislazione sull’eredità uguale per uomini e donne.

In questo autunno precoce, in una Tunisia che ora si interroga preoccupata sul proprio futuro, un’altra variabile impazzita rischia di presentarsi all’orizzonte: Nabil Baffoun, presidente dell’ISIE, ha precisato che “la candidatura di Nabil Karoui è stata accettata dall’ISIE perché non c’erano impedimenti legali”, e ha aggiunto che “fino ad ora è rimasto idoneo per la presidenza, ma se nel frattempo venisse dichiarato colpevole e processato, verrà automaticamente espulso dalla gara e il secondo turno avrà luogo tra il primo e il terzo classificato, in questo caso Abdelfattah Mourou”, alto esponente del partito islamico Ennadha. A questo punto si aprirebbero altre prospettive, altre intese, per il secondo turno.

Senza contare che il prossimo 6 ottobre si terranno le elezioni legislative, un appuntamento importante per il ruolo ed i poteri che la nuova Costituzione assegna all’Assemblea dei rappresentanti del popolo, e allora potrebbero riaprirsi nuovi giochi e nuove alleanze fra i partiti politici usciti malconci dal primo turno delle presidenziali. Ma questa è un’altra pagina.

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Ringraziamo unimondo.org per la gentile concessione.