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QT n. 3, marzo 2020 Servizi

A ogni costo fuori i colpevoli

La vicenda del Simonino in una bella mostra al Museo Diocesano

Quando nel 1995 il Museo Diocesano di Trento assunse l’assetto attuale, profondamente rinnovato rispetto a quello precedente del 1963, nel nuovo ingresso fu collocata in bella posizione la magnifica lastra tombale di Johannes Hinderbach, vescovo principe di Trento per un ventennio, fino alla morte nel 1486; in origine venne scolpita per la sua sepoltura, che era in cattedrale insieme a quelle di molti altri successori di San Vigilio. Una figura di vescovo che si distinse per l’amore verso la cultura umanistica e per i libri, nonché per le iniziative architettoniche (specie nel rinnovamento del Castello del Buonconsiglio); ma sulla quale pesa in modo inesorabile la maggior responsabilità della persecuzione anti-ebraica scaturita dal ritrovamento del corpicino morto di Simone Lomferdorm (poi denominato dal vescovo Unverdorben, ossia “innocente” o “incorrotto”) di due anni e mezzo, il Giovedì Santo del 1475 in un canale che passava sotto l’abitazione di una famiglia di Ebrei di Trento. Proprio la comunità israelitica trentina fu accusata di averlo ucciso e dissanguato per motivi rituali (fig. 2).

Fig. 2: Erasmo Antonio Obermüller, Martirio del piccolo Simone, incisione (ante 1710), in Narrazione storica (…) di Giuseppe Maria Santini, Trento 1741.

Si credeva infatti che il sangue di bambini cristiani venisse utilizzato dagli Ebrei per i loro riti in disprezzo della Chiesa cattolica, di Gesù e della sua Passione. Una falsa credenza, certo, purtroppo assai diffusa nell’Europa del secolo XV, non meno della convinzione dell’esistenza delle streghe che portò a crudeli persecuzioni, a quel tempo codificate dal famigerato “Malleus Maleficarum” (il “martello delle streghe”) pubblicato nel 1487 da due domenicani tedeschi.

L’imponente memoria funebre del vescovo Johannes è proprio a fianco dell’ingresso della mostra, che resterà aperta fino all’11 maggio, intitolata “L’invenzione del colpevole. Il ‘caso’ del Simonino da Trento dalla propaganda alla storia”, che non potrebbe avere un prologo più efficace; proprio all’inizio dell’esposizione infatti il principe vescovo viene presentato come “regista occulto del ‘caso’ e della sua propaganda”.

Ma a far entrare il visitatore nel clima di quel tempo (e pure a renderlo sensibile ai fenomeni odierni di crescente ostilità e discriminazione nei confronti dei “diversi”) contribuisce anche la proiezione di brevi testi antichi e recenti, fra cui spicca una frase di Umberto Eco del 2011: “Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo”.

Allestita al piano terreno e al secondo piano di Palazzo Pretorio, l’esposizione comprende opere d’arte come dipinti, sculture, oreficerie, stampe; inoltre documenti, testi informativi e video, che offrono una sintesi assai efficace (con opere pregevoli e poco note) dei tanti aspetti che caratterizzarono nei secoli la vicenda del piccolo Simone, dal tardo Quattrocento al secolo XX, quando il suo culto venne abolito dalla Chiesa nel 1965, grazie anche all’impulso decisivo di mons. Iginio Rogger, come storico della Chiesa, e del vescovo Alessandro Maria Gottardi. Una vicenda di grande interesse per la storia locale, la religiosità e le arti figurative, che viene narrata con apprezzabile ricchezza e chiarezza nel catalogo della mostra curato da Domenica Primerano con Domizio Cattoi, Lorenza Liandru, Valentina Perini e la collaborazione di Emanuele Curzel e Aldo Galli.

Un’ operazione culturale di spessore, come di regola sono quelle promosse dal Museo, che si pone in diretta sintonia con l’attualità e soprattutto con le sue inquietanti ombre e contraddizioni, come l’acuirsi delle intolleranze.

Le iniziative precedenti

Occorre dire che a Trento nel tempo si è dedicata molta attenzione alla vicenda del piccolo Simone e dell’antica comunità ebraica attraverso diversificate iniziative. Fra esse spicca il risanamento del ciclo pittorico seicentesco (1669) di Pietro Ricchi nella cappella annessa alla chiesa di San Pietro, il principale luogo di culto del presunto martire: la serie di dieci tele incastonate nel decoro a stucco della volta venne presentato al Castello del Buonconsiglio nella mostra dei restauri del 1983.

Nel 1992 furono pubblicati gli atti del convegno su Hinderbach (1989), che gettarono nuova luce sulle vicende storiche di quel tempo e anche sul Simonino.

Negli anni Ottanta e Novanta, e anche in seguito, videro la luce gli studi importanti dello storico Diego Quaglioni.

Nel 2002 il FAI, Fondo Ambiente Italiano, dedicò, con successo di partecipazione di visitatori, le “Giornate di Primavera” proprio all’ apertura e alla “riscoperta” delle tre cappelle del Simonino a Trento: in San Pietro, nel palazzo Bortolazzi-Larcher Fogazzaro e nel palazzo Salvadori, in via Manci. Luoghi dove la qualità delle espressioni artistiche si fonde in modo suggestivo con la valenza di memoria di una vicenda tragica che segnò in modo incisivo la città e la sua immagine per diversi secoli.

Nel 2012 infine, per iniziativa della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, fu pubblicato il bel volume di Valentina Perini (“Il Simonino. Geografia di un culto”) che contiene un completo repertorio dell’iconografia sul suolo italiano dal 1475 fino al 1588, quando il culto venne ufficializzato ad opera di papa Sisto V.

Fig 1: Cappella del Simonino, Trento, facciata su Via del Simonino.

Infine il 2018 ha registrato un’importante novità: la cappella inglobata nel palazzo Bortolazzi-Larcher Fogazzaro, con l’ingresso sull’attuale via del Simonino (fig. 1) è stata lasciata in eredità al Fondo Ambiente Italiano, il FAI, dall’ultima proprietaria dell’edificio, Marina Larcher Fogazzaro.

Costruita sulla metà del Settecento (circa 1747-1750) per volere di Giacomo Antonio Bortolazzi (1678-1761), è sul prospetto orientale del palazzo, nel luogo dove nacque il piccolo Simone. Già consacrata al culto del presunto martire, restaurata all’interno nel 2001 e poi adibita a funzioni commerciali, ora cessate da qualche anno, la cappella comprende un’aula, un presbiterio con l’altare e due piccoli ambienti laterali. Lo spazio, interamente decorato con dipinti murali della metà del Settecento, ha il suo fulcro nell’altare marmoreo sontuoso che accoglie una statua del Simonino.

Fig. 3: Scultore tedesco, Compianto del piccolo Simone (proprietà privata).

Il FAI ha elaborato un progetto di restauro, valorizzazione e gestione del Bene con l’obiettivo di aprirlo e offrirne al pubblico la visita. La cappella diventerà quindi, come comunica il FAI dalla sede di Milano, il luogo di un racconto dei fatti della Pasqua del 1475 che videro la comunità ebraica di Trento ingiustamente accusata dell’omicidio del piccolo Simone, processata e in buona parte giustiziata: quindici furono le vittime fra il 1475 e il 1476. A partire da questo capitolo della storia della città, la narrazione sarà quindi portata su un piano più ampio: la Fondazione intende riflettere, tra gli altri, sui temi della conoscenza, della giustizia, dell’assenza di pregiudizio e della convivenza civile. In questo senso, il Bene sarà destinato in modo prioritario alle nuove generazioni, affinché possa essere inteso quale “aula didattica” contemporanea.

La degradata decorazione ad affresco della facciata, con Simonino trionfante sui persecutori accompagnato da iscrizioni divenute illeggibili, attende da tempo un intervento di risanamento che finalmente, a breve, avrà inizio.

Il linguaggio dell’arte ha in genere edulcorato, quantomeno nell’età del Barocco, la narrazione di questa vicenda, con l’adozione di toni enfatici e, al contempo, eleganti. Ci soffermiamo su alcuni esempi.

Fig. 5: Francesco Oradini, Martirio di Simonino, Palazzo Salvadori, Via Manci, particolare del danno.

All’interno della mostra assume notevole importanza un altorilievo di legno dipinto e dorato finora pressoché sconosciuto: per la prima volta è visibile a Trento da quando nel secondo Ottocento venne asportato in circostanze non chiare dalla chiesa di San Pietro, dove era inserito nell’altare maggiore eretto al principio del Cinquecento. Opera di uno scultore tedesco di Ulm, raffigura il “Compianto sul corpo morto del Simonino” (fig 5) ed è oggi in proprietà privata in Germania dopo esser passato sul mercato antiquario; si spera però che quest’opera, utilizzata come immagine-guida sul catalogo della mostra e sul suo manifesto, possa essere acquistata per il Diocesano. L’altorilievo è esposto accanto a quello, ben noto e da lungo tempo patrimonio del Museo, che raffigura il “martirio” del Simonino, soffocato con una specie di sciarpa intorno al collo, esso pure proveniente dalla chiesa di San Pietro e dal medesimo altare. La raffigurazione del compianto è inconsueta nell’iconografia: quattro angeli circondano in modo affettuoso il cadavere del bambino (due stanno cantando), mentre ai lati sono inginocchiati un uomo e una donna velata, probabilmente i genitori.

Fig. 4: Scultore del sec. XVIII, Martirio del Simonino, particolare

Fra le altre opere importanti vanno segnalati almeno il dipinto del lombardo Altobello Melone (1521), proveniente dal Castello del Buonconsiglio, e una tela bellissima (“Simonino che mostra gli strumenti del martirio” fra due ragazzi in vesti del tardo Cinquecento o del principio del Seicento), proveniente dalla Pinacoteca Nazionale di Ferrara. Infine i due rilievi ovali di candido marmo che riproducono in dimensioni ridotte quelli scolpiti nel 1741 da Francesco Oradini per la facciata di Palazzo Salvadori, nell’attuale via Manci a Trento (figg. 4 e 5). Purtroppo da parecchi anni ormai manca dal grande rilievo di pietra che raffigura il “martirio” la testa di uno dei torturatori, caduta in epoca imprecisabile, ma relativamente recente; essa è ancora visibile in immagini fotografiche d’archivio. L’integrazione della lacuna e la manutenzione di entrambi gli ovali di Palazzo Salvadori, impolverati e percorsi da colature di sudiciume, sarebbero un bel modo per ricordare la vicenda del piccolo Simone e soprattutto per conservare al meglio uno dei documenti più rilevanti, esposti alla pubblica visione, della vasta produzione artistica e devozionale da essa suscitata.