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QT n. 1, gennaio 2021 Servizi

La nostra Lidia

Dalla comune militanza nel “Manifesto” alla collaborazione a Questotrentino: così ricordiamo Lidia Menapace.

Lidia Menapace

Lidia l’avevamo conosciuta alla nascita del “Manifesto”. Era la prima dirigente nazionale (denominazione che peraltro ci sembrava troppo pomposa) che veniva a Trento, a incontrare il gruppetto di studenti e laureati che intendevano dar vita in Trentino al neonato gruppo politico “comunista”, e a ruota, all’omonimo quotidiano.

Menapace non aveva l’aura mitica degli altri dirigenti: non la profondità di Rossana Rossanda, che non era facile seguire mentre scavava nell’essenza delle cose e delle idee; non la brillantezza di Lucio Magri, che ti lasciava a bocca aperta con le sue luccicanti, perfette costruzioni intellettuali; non il dolente sarcasmo di Luigi Pintor, fino in fondo pessimista sulla società in cui gli toccava vivere, e di cui pur voleva illudersi di cambiare il verso.

Ma dei nostri mostri sacri Lidia non condivideva nemmeno l’evidente complesso di superiorità. Lei era innanzitutto umana: la sua bocca larga in una faccia troppo larga, era sempre, nelle discussioni anche tese, improntata a un sorriso, aperto e sincero.

Non era un atteggiamento. Le sue idealità politiche erano conseguenti, connaturate al suo essere. Era cristiana, e poi comunista, e tutte due le cose assieme, perché credeva nelle persone. Credeva nell’empatia tra di loro, che era una cosa così naturale tra i singoli, perché non dovrebbe esserlo a livello di società?

Forse, come tutti noi, era un’illusa. Ma non un’ingenua. Le storture le vedeva appieno: non solo nel capitalismo, ma nella Chiesa, nei partiti, e anche nelle nuove organizzazioni politiche come la nostra. Ma come tutti noi pensava che alla fine potesse prevalere la razionalità del perseguimento del bene comune invece di quello individuale. Un convincimento in lei rafforzato dal suo atteggiamento simpatetico. Verso tutti, verso il mondo. Così, illuminati dal suo largo sorriso, i discorsi su anti-imperialismo, parità, pacifismo, diritti, acquistavano nuovo spessore, sembravano veramente raggiungibili: accidenti, ragazzi, è così, dài, diamoci da fare!

Nel 1993, a Trento, ad un convegno de “Le Voci dell’Italietta”.

Fu con noi anche quando fondammo Questotrentino. E poi quando ne allargammo l’esperienza, dando vita a un’aggregazione di decine di testate autogestite, “Le Voci dell’Italietta”. Era del tutto logico, naturale per lei mettere a disposizione la sua intelligenza, la sua oratoria empatica che sempre, tutti coinvolgeva.

Questo, per lei, era fare politica. Su tali basi l’equazione politica=carriera, non aveva semplicemente senso. Chiaramente, non poteva che essere superiore ad ogni carrierismo. Fu la prima donna, nel 1964 ad essere eletta nel Consiglio provinciale di Bolzano e poi a diventare assessora. Cariche cui rinunciò spostandosi, nel mitico ‘68, dalla Dc alla sinistra; come pure rinunciò alla carriera nell’Università cattolica del Sacro Cuore, da cui fu messa alla porta dopo la pubblicazione di un documento, “Per una scelta marxista”. E ancora nel 2006, senatrice per Rifondazione Comunista, proposta alla presidenza della Commissione Difesa nel secondo governo Prodi, venne silurata per un’intervista al Corriere in cui delle Frecce Tricolori affermava che “sono uno spreco e inquinano”.

Anche per questo l’avevamo particolarmente cara. Poi, è vero, negli ultimi tempi ci siamo un po’ persi di vista. Forse a noi, ormai adusi nelle inchieste del giornale a restare terra terra, e interloquire con commercialisti, avvocati, ingegneri e magistrati, era cominciato a sembrare fuori dal mondo il suo radicale utopismo, il suo pacifismo così irriducibile da poter sembrare velleitario.

Lidia Menapace negli anni ‘60

Però ci immaginiamo, se di questo avessimo parlato con lei, cosa avrebbe risposto: con un largo sorriso, le mani sollevate e aperte: “No…no. Tra le due cose… non c’è differenza”.