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Il racconto di Putin

Il suo arrivo al potere è coinciso con la proposta di una nuova narrazione nazionale, una storia piena di tabù e omissioni. Da Una Città, mensile di Forlì.

Nicolas Werth

In particolare negli ultimi cinque-dieci anni, Putin è intervenuto su vari temi storici, dal patto Stalin-Ribbentropp all’Ucraina.L’idea alla base è che per dare una vera coscienza alla nazione sia fondamentale controllarne la storia e la memoria. Non solo: bisogna tornare a una specie di tradizione russa, a una specifica “via russa” nell’ambito della tradizione slavofila. Naturalmente rivista e corretta da lui.

Per capire quello che succede attualmente, è essenziale avere una prospettiva storica sugli ultimi trent’anni, e cioè capire cos’ha rappresentato lo shock della caduta dell’Unione Sovietica, quel vuoto di senso che si è creato dall’inizio degli anni Novanta. Dove va la Russia? Cos’è stato il comunismo, lo stalinismo? - insomma, le questioni poste al momento della Perestrojka.

Questi sono anni in cui l’avvenire è rappresentato da un ritorno al passato radioso, con una mitizzazione della Russia zarista, in particolare del periodo che va dalla fine del XIX secolo all’inizio del XX; la rivoluzione del 1917 è ridotta a un terribile incidente della storia; con la conseguente convinzione che sia necessario ritornare sulla “giusta via” intrapresa prima del 1917 e interrotta dalla rivoluzione, considerata un avvicinamento all’Occidente.

Ora, questa narrazione ha accompagnato la terapia economica d’urto portata avanti dagli economisti liberali Igor Gaidar e Anatoly Chubais negli anni '90. Il fallimento di questa politica, il tracollo economico della Russia, la terribile crisi del 1998, tutte queste vicende hanno fatto sì che quella strategia, inclusa l’idealizzazione del periodo prima del 1917, si rivelasse fallimentare.

Così, quando Putin è arrivato al potere nel 2000, ha capito che bisognava proporre un’altra narrazione nazionale, cosa che ha cominciato a fare con quello che io definisco “sincretismo putiniano”, che consiste nell’assemblare elementi del periodo pre-comunista e di proporre una visione del passato piuttosto improbabile dal punto di vista della riflessione storica, dove si insiste su una sorta di grandeur della nazione, mettendo insieme la Russia pre-1917 e quella post-1917, l’esperienza comunista (de-comunistizzata), il tutto intorno alla grandezza e allo splendore di una Russia eterna, fondata sulla sua gloria militare e ovviamente sull’episodio centrale della “Grande guerra patriottica”.

Questa non è solo una fantasia imposta dall’alto. Si tratta di una narrazione che ha trovato un certo riscontro in una società che aveva bisogno di recuperare la propria fierezza, un sentimento di grandezza e di nazionalismo, gli elementi che tradizionalmente mobilitano i popoli.

Memorial, l'associazione russa per la difesa dei diritti umani recentemente insignita del Premio Nobel per la Pace, in questi decenni si è impegnata con coraggio e tenacia per raccogliere e salvaguardare la memoria del passato. Ma oggi molte di queste persone si trovano a pensare di aver fallito, perché non sono riuscite a diffondere nella società le loro idee e la loro visione del passato.

L’entusiasmo suscitato dalla Perestrojka, quel fermento intellettuale, il forte interesse per le questioni poste da Memorial sono andati diminuendo negli anni Novanta. Prima di tutto per via delle terribili difficoltà economiche e poi anche perché una gran parte delle élites intellettuali in quel periodo ha lasciato il paese; abbiamo assistito a una vera e propria fuga di cervelli. Via via le problematiche poste da Memorial hanno smesso di suscitare l’interesse della popolazione. È venuto emergendo un contrasto tra l’influenza delle idee di Memorial nel mondo accademico (dove sono stati fatti importanti progressi nella conoscenza del passato di questo paese e dove Memorial e i suoi storici hanno svolto un ruolo trainante) e il mondo delle persone diciamo normali.

Potrei citare una formidabile opera pubblicata dalla casa editrice Rosspen, “Storia dello stalinismo”, che consta di 150 volumi, di cui un quarto di grandi classici degli storici occidentali, in una sorta di convergenza tra la storiografia russa e quella occidentale. Ebbene, questi volumi sono stati pubblicati in mille esemplari e sono stati venduti solo nelle grandi città.

Parallelamente si è diffusa una letteratura storica di scarto, diciamo, che glorificava Stalin e le sue vittorie e che veniva stampata in centinaia di migliaia di esemplari. Purtroppo, anche nelle buone librerie di Mosca si trovava molto più di questa cattiva letteratura storica che di libri di qualità, ammesso che ce ne fossero!

Si è insomma realizzato un divorzio crescente tra una cultura storica di altissimo livello e quella che io chiamo letteratura storica “da stazione”.

Inoltre, in seguito a una standardizzazione dell’economia e della società russa sul modello occidentale, il peso delle scienze umane, il ruolo degli storici nella società è andato diminuendo fortemente. Per esempio, all’Università statale di Mosca, il numero delle cattedre e degli studenti di storia è molto sceso. Oggi ci sono prevalentemente cattedre di marketing, di governance statale, di economia di mercato.

La Storia riveduta e scorretta

La questione dei testi scolastici è impressionante. Ho messo a confronto i manuali pubblicati negli ultimi vent’anni. Nei testi di storia delle scuole secondarie della fine degli anni Duemila-inizio anni 2010, ho contato il numero di pagine dedicate alla Russia della prima parte del '900: ebbene, su circa 300 pagine ce n’erano comunque 20-25 sui gulag e le deportazioni. Poi mi sono procurato i manuali più recenti, quelli dal 2019 al 2021 e il contrasto è enorme: sui gulag ci sono sì e no dieci righe, non una parola sulla fase dopo il 1945; il solo periodo in cui si parla un po’ dei campi sono gli anni '30; due righe sul fatto che nel 1962 Solzenicyn ha scritto “Una giornata di Ivan Denisovic”, niente sul ritorno dai campi nel 1954-57...

La sede di Mosca di Memorial. Nel dicembre 2021 la Corte Suprema russa ha imposto all'associazione la cessazione dell’attività per violazione della legge sugli agenti stranieri

D’altra parte, se uno analizza la scenografia del Museo del gulag a Mosca, l’idea che se ne ricava è che certo nei campi vigevano condizioni difficili, ma in fondo tutto questo ha contribuito all’industrializzazione, al progresso, alla colonizzazione di regioni inospitali...

Ma per tornare ai manuali, sulle carestie dell’inizio degli anni Trenta ci sono cinque righe! Una cosa incredibile per un fenomeno così importante della storia dell’Unione sovietica, su cui hanno scritto molti storici.

C’è anche un problema di pluralismo. All’inizio degli anni Duemila c’era una certa varietà di manuali. Poi, nel 2013, ricordo questo discorso di Putin in cui commentava: “Cos’è questa storia con 65 manuali? Bisogna che ci sia un manuale unico”. Non siamo arrivati fino a quel punto, ma oggi ce ne sono comunque solo tre, e con differenze minime.

Il regista di tutto questo è Vladimir Medinskij, l’ex ministro della Cultura della Federazione Russa. Su questo piano c’è stata un’indubbia regressione, che va di pari passo con la follia di una “educazione patriottica” che invade le scuole a tutti i livelli.

La gente comune come sta vivendo questa situazione? Se crediamo ai sondaggi, il 75-80% dei russi sosterrebbe l’azione di Putin. Allo stesso tempo, come mi ha fatto notare un collega di Memorial, solamente il 35% delle persone contattate accetta di rispondere. Mi sembra che quello che pensa la popolazione in una situazione di crisi, di paura, di guerra, resti un’incognita.

Quello che appare chiaro è il contratto sociale sottoscritto dal regime putiniano con la popolazione: “Io vi assicuro un progresso materiale delle vostre condizioni di vita e voi mi lasciate fare la politica che voglio”. Quindi finché i russi non saranno toccati personalmente, nella loro quotidianità, da un peggioramento della loro situazione, resteranno pressoché indifferenti a quello che succede all’estero. Fino a che possono continuare a viaggiare e a consumare senza porsi troppi problemi, le cose resteranno come sono. Se invece arrivasse una vera crisi economica, delle difficoltà reali, con la percezione che si va verso il fallimento, beh, allora potrebbero cominciare a riflettere. Questo è un problema vero, perché i russi che oggi muoiono in guerra sono per lo più dei poveri, di zone periferiche, persone che non avevano lavoro e che sono state reclutate nell’esercito con la promessa di ricompense importanti. Ho letto su Le Monde che finora ci sarebbero stati solamente dieci soldati morti già residenti nella regione di Mosca. Questa non è la guerra delle grandi città, né della classe media: per loro la guerra rimane una cosa astratta, lontana.

Verosimilmente questa situazione non potrà durare a lungo. Soprattutto i recenti successi dell’esercito ucraino faranno prendere coscienza a molte più persone che sta succedendo qualcosa di grave e che l’operazione militare speciale non si sta svolgendo come previsto.

Ma è un lungo cammino quello verso un risveglio della società russa ed è per questo che mi sento piuttosto pessimista.

* * *

Nicolas Werth è uno storico francese specializzato in sovietologia; ricercatore al Cnrs di Parigi, ha insegnato nelle Università di Minsk, New York, Mosca e Shanghai, ed è stato addetto culturale presso l’ambasciata francese a Mosca durante la Perestrojka.