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QT n. 2, 24 gennaio 1998 Servizi

Scampoli di antico malgoverno

Tutti i punti squalificanti del disegno di legge provinciale collegato alla Finanziaria.

Dalbosco Marco

Qualcuno mi ha segnalato che, vista da lontano, la lunga e tormentata maratona che si è conclusa con l'approvazione del disegno di legge "collegato " alla legge finanziaria, mercoledì 14 gennaio, poteva essere scambiata per una sterile lotta di trincea fra parti politiche avvitate oramai su stesse senza speranza. Essendo stato parte in causa - per la prima volta nella breve mia esperienza di consigliere sono intervenuto così tante volte, e da oppositore, in una sessione di bilancio - non stupirà il fatto che io dia dell'accaduto una lettura diversa. Con le riflessioni seguenti vorrei argomentare che non si tratta soltanto di una lettura di parte.

Lo scontro tra la maggioranza "dei diciotto" - il terzo governo di questa legislatura a guida Andreotti, nato all'inizio di ottobre - e le opposizioni, per lo meno quelle di sinistra, è avvenuto in parte sul piano dei metodi e in parte su quella dei contenuti. Vi è innanzitutto la questione del rispetto delle procedure e delle forme, forme e procedure che - occorre ripeterlo? - non sono affatto uno sfizio della democrazia, o una fissazione di anime belle.

In primo luogo la richiesta che gli uomini della maggioranza garantiscano la presenza in aula. I numeri, come i fatti, sono duri, ed una delle condizioni primitive che devono essere rispettate da chi governa, per lo meno in democrazia, è avere e tenere i numeri. Ci vogliono anche le idee, ma prima ci vogliono i numeri. Personalmente non sono tra coloro che teorizzano l'assenteismo sistematico dal Consiglio da parte delle opposizioni, la ritengo una pratica che tende a gettare discredito sulle istituzioni; tuttavia non c'è dubbio che ai membri di una maggioranza di diciotto come questa, ai Tretter, ai Grandi, ai Romano, il minimo che si può richiedere è rimanere in aula.

Ripicche? Si tratta semplicemente di esigere il rispetto dell'impegno di responsabilità verso i cittadini che, anche sotto questo profilo, si accolla chi pretende di governare. D'altra parte, i trucchi e i sotterfugi a cui la "maggioranza " è ricorsa per serbare ad ogni costo il numero legale, la dice lunga sull'affanno che coglie chi vuole pedalare e non ha muscoli né, spesso, capacità, e sulle conseguenze politiche di ciò. Così, il Presidente del Consiglio, il popolare Giordani, non ha lesinato doping alla maggioranza di cui è parte determinante, dalle furbesche attese in fase di voto alle interpretazioni nuove del regolamento, allo strappo vero e proprio dello stesso, perché altrimenti al 18 non si arrivava.

E si ricorderanno le spinte di Morandini, che ha barattato la presenza in aula nei momenti di difficoltà in cambio dell'appoggio al suo maxi-emendamento sugli asili nido (appoggio rivelatosi virtuale, peraltro, perché poi nel segreto dell'urna, e complice la stanchezza di settantaquattro ore di dibattito, le cose sono andate diversamente).

E’ poi il caso di ricordare che rj una legge "collegata" dovrebbe, per sua stessa definizione, contenere le modifiche delle leggi vigenti necessarie per l'attuazione degli interventi di settore, previsti dalla manovra di finanza pubblica, cioè appunto collegati a quest'ultima, e pertanto non dovrebbe contenere di tutto e di più. Ed invece è stata infarcita, oltre che della consueta polvere di norme sparse, di ben sei disegni di legge: le modifiche al sistema di contabilità generale e bilancio della Provincia (su cui nessuno ha avuto da ridire); corpose modifiche alla legge sulla caccia (che nulla c'entravano); la delegificazione del piano sanitario (uno dei motivi dichiarati e al tempo stesso latenti dello scontro), poi stralciata in cambio del via libera ai tardivi ma insistenti emendamenti moseriani; l'istituzione del Museo Caproni quale ente di diritto pubblico (bocciata con votazione undici a undici!); le norme sulla scuola (ben otto articoli stralciati, non senza significative e peggiorative modifiche, da un precedente disegno di legge); il disegno di legge sugli asili nido, gli assegni di cura e la Tagesmutter (nella versione Morandini).

Dunque il rilievo rivolto alla sinistra di avere svolto una opposizione sterile, "facendola lunga", appare in larga misura infondato. Certo, devo onestamente ammettere che alcuni interventi, anche miei, sono stati dettati dal desiderio di una specie di "reductio ad absurdum" della impostazione che Andreotti si è ostinato a dare alla manovra collegata, introducendovi corpi estranei e senza cercare il minimo dialogo con le opposizioni per giorni e giorni. E' un fatto, però, che la materia oggetto di discussione era abbondante. Per esempio, se il disegno di legge sulla caccia fosse stato presentato a sé stante, non sarebbe stato approvato in sole sei ore di dibattito. Peccato che fischioni e fringuelli, con la finanziaria, non c'entravano per nulla.

Eveniamo allora alle questioni di contenuto. E' naturale domandarsi se fra le norme presentate, e poi approvate, ve ne siano di quelle che realmente permettono di tracciare una linea di demarcazione tra chi le ha proposte e le forze dell'Ulivo. Per molti degli articoli di legge presentati non credo che questo si possa affermare, perché probabilmente ogni giunta, di qualsiasi colore, avrebbe dovuto comportarsi allo stesso modo. Tuttavia una serie di norme, all'apparenza circoscritte, sono rivelatrici.

Quelle sulla scuola, per esempio. Si è quasi trapiantato un intero disegno di legge, ma ci si è "dimenticati" proprio della previsione dei periodi sabbatici, uno strumento di qualificazione del corpo docente fortemente innovativo, che puntava sullo sviluppo non più dei muri ma anche delle persone (per riprendere il motto del Progetto scuola).

Potevano davvero essere un investimento strategico per la scuola trentina, questi periodi di esoneri dal servizio da concedere annualmente a duecento insegnanti per svolgere iniziative di studio, ricerca e approfondimento, e il loro costo annuo (12 miliardi) sarebbe stato pari a quello di soli tre chilometri di strada provinciale.

Ma è più facile spalmare asfalto che fare germogliare le capacità umane, e l'assessore Valduga (che non vedo sotto quale punto di vista si potrebbe definire un assessore ulivista) si è opposto caparbiamente.

Oppure la delegificazione allegra: da oggi la Giunta provinciale può individuare con semplice deliberazione i comitati e le commissioni che ritenga "indispensabili per la realizzazione dei fini istituzionali", anche istituiti per legge, e quelli non individuati risulteranno per ciò stesso soppressi: chi, un domani, impedirà l'eliminazione di comitati "non indispensabili" perché, in realtà, d'impedimento al libero saccheggio dell'ambiente?

E che dire di quell'emendamento tenacemente voluto dall'assessore ciclista, contenente il vaghissimo inciso "in deroga alle norme provinciali", senza ulteriori specificazioni? Ma qui, più che sulla linea di confine tra la sinistra e il centro (destra) siamo sul margine che divide la cultura della legalità dalla incultura del disprezzo delle regole.

Si possono elencare in ordine sparso altri punti squalificanti: dalla sanatoria degli abusi edilizi dei pre-ingressi alle roulotte nei campeggi, al tentativo di prevedere un corso-concorso per i precari della scuola (bocciato preventivamente dal governo), secondo l'eterna logica dell'emergenza; dal tentato aumento del ripiano del deficit dell'Associazione "Museo Caproni " al ripristino della possibilità di assunzioni di personale provinciale senza limite.

A questo punto, però, mi fermo. Si tratta senz'altro di scampali di un malgoverno antico: ma sarebbe grave se l'evidenziare le pecche altrui, come pure si deve fare, ci distogliesse dal forte impegno di costruzione che aspetta noi. Perché non pare che una proposta complessiva di buon governo - non solo solida nei metodi ma anche stringente e convincente nei contenuti - l'Ulivo trentino l'abbia già approntata.

Se sbaglio, correggetemi.

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