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No ad un mondo che frana

Come nel disastro del Vajont, una frana minaccia di cadere su un lago (quello di Lases) e creare un disastro dalle proporzioni catastrofiche. E anche qui, la responsabilità è della mancanza di controlli, dell'inosservanza delle regole, dell'assenza di limiti alle ragioni del profitto.

Comitato Slavinac

Non c’è stata valle del Trentino che in queste settimane non abbia dato segno di preoccupanti scricchiolii. Un caso a sé è la storia della frana di Lases, dove un intero lotto nella zona d’estrazione del porfido minaccia di franare nel lago, con effetti dalle conseguenze a tutt’oggi imponderabili per il paese e forse anche per tutta la zona delle vecchie discariche di versante lungo il basso corso dell’Avisio.

Una storia invero lunga se il servizio geologico della Provincia aveva, fin dalla metà degli anni Settanta, stilato perizie che confermavano una situazione di pericolo e prescritto clausole per le modalità di gestione d’estrazione in quell’area. Una storia fatta di provvedimenti presi, sospesi, con clausole di sicurezza non rispettate, con un palleggio di responsabilità fra Provincia e Comune su chi i controlli doveva eseguire. Fino alla scoperta, fatta nei mesi scorsi che, data la situazione di rischio, la Provincia aveva da tempo preordinato un piano d’evacuazione di Lases, in caso di crolli delle masse di materiale nel lago, capaci di provocare apocalittici effetti Vajont. Un piano d’evacuazione che nei giorni critici delle settimane scorse è stato adottato, in una notte di paura per gli abitanti del paese.

Passata l’emergenza maltempo, qui come purtroppo altrove, le questioni aperte rimangono: di fronte ad una conclamata situazione di pericolo, che vede a rischio vite umane, beni materiali e ambientali (in questo caso è posta in discussione la stessa sopravvivenza del lago), quelle di sempre: chi interviene per riportare l’area in sicurezza, chi controlla le prescrizioni date, chi paga, visto che i movimenti franosi sono stati provocati da lucrose attività umane. Quello che è certo è che la questione non può rimanere all’interno di una disputa del paese interessato, assolutamente inadeguato per le sue modeste strutture, ma soprattutto per gli interessi coinvolti; la pressione dei concessionari di cava è qui, come in tutta la zona, fortissimo.

Occorre l’intervento urgente, diretto della Provincia, occorre trasparenza e conoscenza sull’entità reale del rischio. Occorre che questa vicenda non torni nel dimenticatoio com’è capitato al progetto definitivo di risanamento della discarica del Graon, dopo il crollo del 1987 e della permanente necessità di verifica dello stato di tenuta delle imponenti discariche che interessano i versanti dell’Avisio.

A Lases si è formato un "Comitato Slavinac", dall’eloquente nome del toponimo della zona interessata ai possibili crolli, con l’eloquente slogan "No ad un mondo che frana".

Pubblichiamo qui il testo del documento, le cui ragioni sono state illustrate nei giorni scorsi a Lavis, nell’intento di evitare che un tema di proporzioni drammatica possa essere archiviato, fino a nuova evacuazione.

* * *

Il movimento franoso in località "Slavinac", che minaccia il lago sottostante e quindi il paese di Lases, non dipende da cause naturali. Anche se già il toponimo della zona, "Slavinac" appunto, indicava una fragilità naturale di quell’ambiente, è da imputare all’attività umana di estrazione del porfido la destabilizzazione del versante che lo ha trasformato in una spada di Damocle pendente sul lago e sulla vita degli abitanti di Lases.

Un’attività umana volta purtroppo all’arricchimento di pochi a scapito della sicurezza dell’intera comunità, ancora una volta scarica i costi, necessari a rimediare i danni causati, sull’intera collettività.

La frana di "Slavinac" rappresenta metaforicamente, nel suo piccolo, ciò che sta accadendo su scala planetaria.

Un ambiente fragile, almeno per quanto riguarda gli aspetti che consentono la vita umana, viene compromesso e reso pericoloso da un’attività umana i cui vantaggi materiali sono ristretti ad una piccola parte dell’umanità.

Gli effetti negativi spesso non sono immediati e diretti, ma si manifestano indirettamente, dilazionati nel tempo e spesso cumulati e amplificati al punto da condizionare pesantemente la vita delle generazioni future.

Così anche la frana "Slavinac" non minaccia direttamente il paese di Lases ma il lago omonimo con il conseguente "effetto Vajont", come dicono i tecnici, che potrebbe avere conseguenze funeste non solo su Lases, ma anche su Lavis e magari su Trento. Così anche la frana di "Slavinac" non è nata il 24 novembre 2000, quando per la prima volta molti abitanti di Lases hanno scoperto la gravità della situazione. Ma ha una storia lunga di anni.

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad atteggiamenti, da parte degli enti preposti ed in primo luogo da parte dell’Amministrazione comunale di Lona Lases, a dir poco irresponsabili, volti a minimizzare il pericolo, riproducendo in piccolo ciò che portò alla tragedia del Vajont il 9 ottobre 1963.

Questo comitato si propone di unire tutte quelle persone che, preoccupate per quanto sta succedendo a Lases, ma non solo, intendono assumersi quelle responsabilità civili che contraddistinguono la nostra umanità.

Su questa strada ci poniamo anzitutto l’obiettivo di recuperare e preservare la memoria: quale avvenire infatti ci attende senza memoria?

Basato su che cosa?

Sulla dimenticanza delle colpe, sull’ignoranza dei fatti?

La memoria dunque innanzitutto, al fine di intraprendere iniziative concrete volte a rimediare e scongiurare oggi nuove tragedie, impedendo nel contempo l’adozione di soluzioni che possano rivelarsi domani causa di danni peggiori.

Per chiedere che a pagare siano i veri responsabili e per cercare di impedire che gli stessi preparino per domani nuove tragedie.

Se ci preoccupa infatti ciò che sta succedendo oggi a Lases, non può certo rassicurarci quello che si profila all’orizzonte in Trentino, in Italia e nel mondo.

Per questo non possiamo sottrarci al mettere in discussione un modello di sviluppo che portato alle sue estreme conseguenze minaccia di far "franare" il mondo intero.

Un modello di sviluppo che vede il profitto soprattutto (per dirlo con le parole usate all’indomani della strage di Stava nel settembre di 15 anni fa da Tina Merlin - l’unica giornalista che denunciò la strage che si preparava con la diga del Vajont) "sopra il territorio aggredito dall’uomo, invece che protetto per l’uomo… Il profitto come unico fine dell’agire. E tutto ciò viene contrabbandato per sviluppo, per sana economia. E la gente in questo progetto dove sta? Cosa conta?".