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Lotta al terrorismo: cioè meno diritti?

Per garantire la sicurezza, forse qualche rinuncia è inevitabile; ma attenzione...

Gregorio Arena

E’ molto probabile, per i motivi che ora si vedranno, che presto ci sarà detto che la lotta al terrorismo richiede la limitazione di alcuni dei nostri diritti fondamentali, in nome di uno scambio potenzialmente assai rischioso fra libertà e sicurezza.

In primo luogo, perché è già successo durante i cosiddetti “anni di piombo”, quando per combattere il terrorismo furono introdotte misure restrittive delle libertà civili; ci furono critiche, ma ci furono anche politici e sindacalisti che si dissero disposti a rinunciare a un po’ di libertà in cambio di un po’ di sicurezza.

Poi, perché sta già succedendo negli Stati Uniti, dove in questi giorni è in discussione una legge, significativamente intitolata Patriot Act 2001 e voluta dall’ultra-conservatore ministro della giustizia Ashcroft, che fra l’altro amplia notevolmente i poteri di controllo sulle telefonate, la posta elettronica, etc.. Sempre negli Stati Uniti, alcuni giornalisti sono stati licenziati per aver criticato il presidente; d’altronde, che la libertà di informazione sarebbe stata fra le prime vittime della guerra si era già capito quando Bush aveva detto che questa sarebbe stata una guerra segreta.

Il terzo motivo consiste nel fatto che le emergenze inducono ad una pericolosa semplificazione nel modo di affrontare i problemi, basata su quelle che Norberto Bobbio chiama le “grandi dicotomie”: pace-guerra, vero-falso, amico-nemico e simili. Se si accetta di ragionare semplificando in tal modo la realtà, si finisce con l’accettare anche la dicotomia “libertà-sicurezza”, come se le libertà civili potessero rappresentare un pericolo per la sicurezza dei cittadini e dovessero quindi essere limitate in situazioni come l’attuale.

L’ultimo motivo riguarda in particolare l’Italia, nelle cui istituzioni c’è da sempre un fondo autoritario che in genere emerge attraverso l’arroganza burocratica nei confronti degli “amministrati”, ma che in particolari circostanze, come a Genova, si manifesta anche in maniera più diretta e brutale. Per vari motivi, anche di carattere storico, le istituzioni italiane e molti di coloro che operano al loro interno sembrano considerare le libertà civili non come “diritti inviolabili” che esistono prima e a prescindere dallo Stato (art.2 della Costituzione), bensì come qualcosa che è stato graziosamente concesso e che dunque può sempre essere revocato. Sotto questo profilo, un governo di destra rappresenta un elemento in più di preoccupazione.

Cosa fare, dunque, di fronte alla prospettiva di una restrizione delle nostre libertà fondamentali motivata con le esigenze della lotta al terrorismo?

La prima cosa da fare è essere consapevoli, informati, partecipi. E’ più facile imporre misure inutilmente restrittive delle libertà civili ad una società indifferente e non informata piuttosto che ad una attenta e reattiva.

In secondo luogo, appunto, valutare attentamente le misure proposte. Si tratta di fare un lavoro non solo politico ma anche tecnico, usando competenze di vario tipo per quanto riguarda la valutazione del contenuto di tali misure, del loro impatto, durata, etc.; sapendo però che questo terrorismo è un nemico che agisce utilizzando proprio gli spazi di libertà che caratterizzano le società occidentali e che dunque, per sconfiggerlo, qualche limitazione temporanea alle nostre libertà dovremo purtroppo accettarla.

La sicurezza è un valore essenziale per la tenuta di una società, oltre che una pre-condizione per l’esercizio stesso delle libertà civili; per questo il rapporto fra libertà e sicurezza non va posto in termini di contrapposizione bensì di complementarità, trovando il miglior punto di equilibrio possibile in questo momento fra due valori entrambi fondamentali. E bisogna anche evitare di isolare le forze dell’ordine, tenendo conto dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni all’interno della polizia e dei carabinieri e mantenendo aperti i canali di comunicazione con loro.

Ma il modo migliore sia per evitare che lo scambio libertà-sicurezza vada oltre quanto è indispensabile per la lotta al terrorismo, sia per impedire alla paura di cambiare il nostro modo di vivere, sta nel rafforzare le nostre comunità, soprattutto quelle locali. Dal momento che siamo tutti potenzialmente in pericolo, dobbiamo tutti sentirci responsabili nel contrastare un nemico che rappresenta una minaccia grave per una civiltà, come la nostra, che sicuramente ha molti difetti, ma che riconosce e garantisce spazi di libertà cui nessuno di noi è disposto a rinunciare e di cui molti altri vorrebbero, come noi, poter godere.

Comunità vive, consapevoli, attive nel cercare di rimuovere le cause di quell’ingiustizia planetaria che consente ai terroristi di raccogliere consenso e ammirazione sono comunità dove è più difficile la penetrazione della paura; e poi, al di là di tutto, sono anche comunità in cui si vive meglio.