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Speranze sfumate

L’America ci aveva illuso, nelle scorse settimane: sembrava puntare sulla politica, la diplomazia, l’intelligence, le azioni mirate. Invece...

La trepidante vigilia è finita. Abbiamo vissuto 26 giorni sospesi tra speranza e timore. Dopo il folgorante, luciferino, sanguinario massacro dell’11 settembre l’incubo del terrorismo ha pervaso l’universo mondo, e subito è scattata l’irrequieta attesa di una furiosa reazione del gigante ferito. Vim vi repellere licet: è lecito respingere la violenza con la violenza. Migliaia di lutti, l’orgoglio di grande potenza umiliato, l’invulnerabilità perduta, erano tutti motivi che ben potevano spingere gli Stati Uniti ad una risposta immediata e perentoria.

L’avevano fatto per molto meno, contro Saddam Hussein nella guerra del Golfo dieci anni or sono, nel Kossovo in tempi più recenti. Ma questa volta contro chi doveva essere indirizzata la punizione? La difficile reperibilità del nemico ha costretto Washington ad una pausa durante la quale all’annuncio di proclami bellicosi si è accompagnata una intelligente attività diplomatica tesa a formare una vasta coalizione che isolasse i terroristi. Russia, Cina, Giappone, oltre naturalmente l’Europa, e perfino quasi tutti gli stati arabo-islamici, Arafat compreso, vi hanno aderito. Soltanto il nostro presidente del Consiglio non aveva capito ciò che stava accadendo e, a guisa di un servo sciocco, si è messo a sproloquiare attorno alla superiorità della civiltà occidentale.

Ai proclami bellicosi si è anche accompagnato un frenetico allestimento di strumenti bellici. Il sollievo per la prudenza che l’amministrazione repubblicana stava dimostrando era dunque lievemente turbato da questo movimento di portaerei, missili ed aerei, poco adatti a colpire gli esili e segreti filamenti di una organizzazione terroristica ed invece assai più idonei a sferrare un attacco massiccio ed indiscriminato contro un intero territorio, popolazioni comprese. Si è così andata delineando una strategia che tende a colpire dal cielo i Talebani che opprimono il popolo afgano ed ospitano Osama Bin Laden, per facilitare in tal modo la vittoria dei ribelli che dal nord del paese premono sul territorio verso Kabul. Ed infatti il 7 ottobre sono cominciati i bombardamenti, e con essi i cosiddetti “effetti collaterali,” cioè le vittime civili e, perciò che ci riguarda, la propaganda di guerra. Insomma le speranze della vigilia sono sfumate e la prudenza in cui avevamo sperato era solo apparente.

Combattere il terrorismo, impegno sacrosanto, è compito estremamente difficile. Basti pensare all’Ulster, ove il terrorismo alligna da secoli, e nemmeno la Gran Bretagna del condottiero Tony Blair è riuscito a sconfiggerlo. O ai Paesi Baschi, ove serpeggia da numerosi decenni insanguinando la Spagna. Un terrorismo come quello organizzato da Bin Laden è ancora più difficile da distruggere.

Io non so cosa si possa fare per vincere il terrorismo. Per certo però so cosa non bisogna fare, se non vogliamo contribuire al contrario a rafforzarlo. Ed è esattamente ciò che invece si è cominciato a fare dal 7 ottobre, vale a dire una massiccia azione militare che per mirata, intelligente, sofisticata che sia, anche ammesso che riesca a smontare parti importanti della struttura del terrorismo, seminerà una quantità di gran lunga maggiore di odio, che costituisce la sorgente inesauribile del terrorismo.

Se è consentito paragonare le cose piccole alle cose grandi, credo che non sia fuori luogo ricordare la nostra esperienza. Nei primi anni ’60 nel Sudtirolo si ebbe la prima manifestazione del terrorismo politico nell’Europa continentale. Saltavano i tralicci ed esplodevano bombe nelle stazioni dei carabinieri. L’estremismo sudtirolese aveva scelto il terrorismo per protestare contro la negata autonomia. Il governo centrale reagiva inviando a Bolzano reparti di carabinieri e polizia e persino divisioni dell’esercito. Venivano eseguite retate di cittadini selezionati a caso nelle valli ove si verificavano gli attentati terroristici. In questo modo nella popolazione cresceva l’ostilità verso la Repubblica e la solidarietà con i terroristi.

Finché si capì che quello era il modo sbagliato per combattere il terrorismo. Una notte furono catturati i capi del terrorismo, Klotz ed Amplaz. Con essi anche un certo Kerbler che però, nel tragitto verso Bolzano, riuscì a scappare dalla jeep. Era evidentemente l’elemento infiltrato dai servizi segreti. Fu un’operazione positiva, l’unica che io sappia dei nostri servizi segreti. Il terrorismo finì. Anche perché contemporaneamente si istituì la Commissione dei 19 ed ebbe inizio il negoziato che portò alla riforma dello Statuto ed alla soluzione del problema dell’Alto Adige.

So bene che il problema di oggi ha un’altra dimensione e maggiore complessità. Ma lo schema è lo stesso. Comunque ciò che è certo è che con i missili non si risolve, al contrario si aggrava.