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QT n. 19, 10 novembre 2001 Cover story

MART, un museo troppo grande

Il Museo d’arte Moderna: un edificio da grande museo internazionale, una realtà che fatica ad esserne all’altezza. Come va avanti il progetto, tra problemi di spese, di gestione e difficili orizzonti culturali.

Quasi venti anni fa, quando sotto altro nome si avviava l’attività del Mart, erano poche le istituzioni che si occupavano di arte moderna e contemporanea. Concetto ribadito, anche se non era già più così vero, dall’allora ministro dei Beni culturali Walter Veltroni, quando venne a posare la prima pietra della grandiosa nuova sede del museo: "In Italia c’è scarsa attenzione verso il contemporaneo; il nuovo grande museo è cosa buona e opportuna, servirà a colmare un vuoto nelle nostre istituzioni culturali."

Tullio Garbari, "La sibilla di Terlago" (1930).

Oggi non è più così. Ci sono i grandi musei di Roma e Milano. Ci sono città, come Verona e Treviso, che ogni uno o due anni organizzano grandi mostre, che attirano centinaia di migliaia di visitatori. Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto non si troverà a colmare alcun vuoto; anzi, dovrà farsi largo fra agguerriti concorrenti.

Insomma, sono cambiate le carte in tavola. La nuova sede, con i suoi 12.000 metri quadri, con i suoi costi (di costruzione, oltre 100 miliardi; di gestione, 12 miliardi all’anno, un quinto di tutto il bilancio provinciale per la cultura) si giustifica solo se è un’entità di rilevanza almeno nazionale. Ma oggi tale obiettivo è diventato molto più impegnativo. Per confrontarsi sul piano nazionale e internazionale, i soldi della pur generosa mamma Provincia non bastano più: e comunque, di fronte non diciamo a Parigi, ma a Roma e Milano, i soldini dei nostri assessorati alla cultura fanno ridere.

La cosa potrebbe essere positiva: la concorrenza da una parte, la necessità di dover contare sulle idee (invece che sui soldi) dall’altra, potrebbero fungere da forte stimolo per un’istituzione culturale.

Come sta reagendo il Mart?

Le ultime notizie non erano confortanti. Le ultime mostre sono state poca cosa. Dopo quella su Segantini, riccamente propagandata ma in realtà minore, ci sono stati appuntamenti di routine. "Stiamo preparandoci alla nuova sede, e alla grande mostra d’inaugurazione" - si rispondeva.

Proprio questa mostra preoccupava. Sulla stampa, anche recentemente, veniva data per certa un’impostazione decisamente discutibile: chiedere ai grandi musei il prestito di un grande quadro, a loro giudizio rappresentativo della modernità. Ammesso e non concesso che i musei internazionali siano disposti a privarsi dei loro pezzi più pregiati per un’iniziativa di tal fatta, ne sarebbe risultato un minestrone, un affastellarsi di opere casuale: un’operazione forse turistica, non certo culturale. Se poi aggiungiamo i vagheggiamenti sul lancio del Museo con spot con Megan Gale (come fatto per il Guggenheim di Bilbao), c’era da farsi cascare le braccia.

Intendiamoci: lo spot, i mezzi di comunicazione più popolari, possono essere utili: ma devono essere un contorno, devono supportare, non sostituire la proposta culturale.

La dott.ssa Gabriella Belli, direttrice del Mart.

Il progetto sembra però ora un altro: "Puntiamo sulle collezioni del Museo - ci dice Gabriella Belli, direttrice del Mart - ampliandole con finestre che mettano in luce i rapporti tra i nostri artisti e le avanguardie internazionali. E qui entrano in gioco i quadri prestati dagli altri musei; che possono illustrare i rapporti tra i nostri Melotti, Depero, Garbari e il Novecento internazionale."

Un’interpretazione leggermente diversa la fornisce il prof. Pierangelo Schiera, membro del Comitato scientifico: "Le nostre collezioni formano un percorso interessante, ma con tanti e vistosi buchi, soprattutto per la mancanza delle grandi opere, quelle che hanno segnato le svolte della storia dell’arte. Ecco, per l’inaugurazione vogliamo chiedere ai grandi musei queste opere, per ricostruire il percorso di artisti e movimenti".

La Belli e soprattutto Schiera non parlano di "mostra" di inaugurazione, ma di "evento", termine che evoca più la mondanità che la cultura.

Decisamente critico invece un illustre accademico: "L’inaugurazione così come viene presentata, è un’idea culturalmente inconsistente - commenta - Con un quadro non si illustra niente, non basta per un autore, e ancor meno per un movimento. E poi i musei non daranno né "L’urlo" di Munch né "Guernica" di Picasso, ti danno quadri minori; e come illustri Picasso con un quadro di serie C?"

Il Mart sembra quindi quasi mettere tra parentesi il momento dell’inaugurazione, cui in sostanza giunge impreparato. Cosa prevedibile: come avevamo scritto in precedenti articoli, il museo ha vivacchiato per alcuni anni senza un vero Comitato scientifico, ed è tutto da verificare anche l’impegno dell’attuale Comitato. L’impulso viene dato quasi esclusivamente dalla direttrice, la dott.ssa Belli: la quale valorizza quello che le riesce meglio: tessere rapporti con persone e istituzioni.

Di qui un museo indirizzato verso una politica di prestiti (dagli altri musei) e depositi (quadri depositati da collezionisti privati presso il museo, per farli esporre e valorizzare). In questo l’attività della Belli è stata molto produttiva: ha ottenuto il deposito della prestigiosa collezione Giovanardi (che comprende, tanto per citare due soli fra i tanti autori, 22 quadri di Morandi e 14 di Carrà); sta per ottenere la collezione di arte italiana del Novecento attualmente al museo Ludwig di Colonia, un altro di arte americana degli anni ’70, ’80, ’90, ed altri ancora.

Parallelamente si è avviata un’opera di valorizzazione dei depositi e del patrimonio del museo (incrementato anche con alcuni acquisti mirati, per colmare lacune): la Giovanardi è stata esposta nei musei di Londra, Edimburgo, Lipsia, Tokio, Parigi ecc; e così l’opera di Depero.

Il prof. Pierangelo Schera, membro del Comitato scientifico del Mart.

"Questo è un circolo virtuoso - spiega Schiera - La valorizzazione delle opere, la nuova sede, i visitatori previsti, attirano i depositi di collezioni; e a loro volta questi depositi incrementano l’attrattività del Mart e permettono scambi con gli altri musei".

Insomma, l’attività di questi anni sta fugando uno degli incubi degli amministratori: che la nuova grande sede risultasse vuota, che per riempire le troppe pareti si fosse costretti a esporre opere non all’altezza delle aspettative.

D’altra parte, però, questa centralità dei depositi e prestiti, ha dei costi. Innanzitutto in termini di vil denaro: si devono pagare costose assicurazioni. Poi in termini di vincoli: molte donazioni sono subordinate all’obbligatorietà dell’esposizione, per di più di opere che non sono sempre dei capolavori.

Infine in termini di identità del museo: "Se si punta tutto sui prestiti, non rimangono risorse, a iniziare da quelle economiche, per le grandi mostre di grosso impatto culturale; quelle che, se curate scientificamente, permettono al museo di far parte del circuito culturale internazionale -ci dice l’accademico – Oggi al Louvre c’è una grande mostra su ‘Pittura e delitto’; il Mart, dopo le mostre sul romanticismo e divisionismo, di significativo non ha più prodotto niente".

In effetti in questi anni la mediocrità culturale ha sciupato anche l’altra carta in mano al museo: quella dell’autorevolezza. Un museo d’arte contemporanea può essere una piccola re Mida: può valorizzare giovani autori emergenti, di cui acquista le opere, che vengono rivalutate dalle mostre organizzate dal Museo stesso. Un bel giochino, cui sono dediti i maggiori musei del mondo. Che però, per riuscire, presuppone un requisito: appunto l’autorevolezza dell’istituzione, il suo essere punto di riferimento indiscusso per critici, collezionisti e mercanti d’arte.

Il Mart questa autorevolezza non l’ha. Lo si è visto dalla facilità con cui lo si è potuto coinvolgere (seppure del tutto a torto) in sospetti vari su giri di falsificazioni. Lo si vede dalla sua incapacità di fare quello che dovrebbe essere il suo primo compito: mettere ordine nella pittura trentina. Il catalogo su Depero viene promesso da anni, e mai viene alla luce; per un motivo semplice: il Mart non ha l’autorità per affermare "questo quadro è autentico, questo è un falso".

E un museo che non ha autorevolezza culturale è un museo per modo di dire, per quanto grande, bella e prestigiosa sia la sua sede.

Collegato con quanto detto sopra è il discorso riguardante la ricerca. Il Mart ambisce ad essere centro di ricerca, ad attirare e formare studiosi. Per dar sostanza a questo progetto, si è intrapresa una meritoria campagna di acquisti di archivi di molteplici artisti. Però questi archivi continuano, nonostante le assicurazioni che vengono periodicamente ripetute, a rimanere non consultabili secondo le moderne tecniche di ricerca; nel senso che ci si può orizzontare solo seguendo le indicazioni di qualche archivista, mentre gli archivi al giorno d’oggi sono consultabili on-line, o per lo meno via computer attraverso un motore di rierca. Insomma, gli archivi al Mart potrebbero essere una cosa importante, mentre oggi sono dei giacimenti inerti, esplorati con tecnologie obsolete.

Di queste difficoltà organizzative, come pure dei ritardi nell’innovazione, è specchio il sito ufficiale www.mart.trento.it. Il sito del Louvre, per fare un esempio, porta una catalogazione dei quadri esposti, fornendo per ognuno informazioni, una riproduzione, e un breve commento critico. Nulla di tutto questo per il sito del Mart, che pure avrebbe un numero infinitamente minore di opere da trattare, e si limita a una breve presentazione di ogni artista, senza nemmeno un elenco dei quadri in esposizione o in deposito. Non parliamo della sezione "archivi", che si limita a quattro chiacchiere introduttive: quanto a operatività siamo a zero. In questi termini, un sito serve a ben poco.

Di tali problemi si dicono consapevoli personaggi come Schiera. "Abbiamo definito la ‘mission’, l’identità del museo. Da qui deve ora venir fuori il messaggio, e l’approntamento degli strumenti che lo comunicano. C’è poi un altro aspetto: gli standard, i livelli di funzionamento di tutte le parti, dall’amministrazione, a Internet, ai servizi. Il consiglio di amministrazione si sta occupando di questo, che è uno dei nostri obiettivi principali: mettere in atto procedure per verificare gli standard di funzionamento dell’istituzione, e porvi rimedio qualora non siano rispettati."

Ottimi propositi. Che però in questi anni abbiamo sentito ripetere troppe volte con continue promesse ("faremo il catalogo su Depero… tra un mese presenteremo il sito su Internet… gli archivi…") sempre disattese o attuate in forme assolutamente insufficienti. Il fatto è, come abbiamo analizzato in altri articoli, che è la struttura ad essere poco efficiente.

Ora il Cda si trova di fronte all’assoluta necessità di far funzionare il Museo secondo ben altri parametri di efficienza: la nuova maxi-sede porrà nuovi problemi di quadratura dei conti. Lo si è visto in questi giorni con il super Palasport delle Ghiaie, i cui costi di gestione stanno creando affanni al bilancio del Comune di Trento; e il nuovo Mart, a maggior ragione, rischia di crearli all’assessorato provinciale alla cultura e -soprattutto - al Comune di Rovereto. Vedremo.

Infine il rilancio dell’azione culturale. Il nuovo comitato scientifico aveva esordito con discorsi abborracciati da parte del suo presidente, il pur prestigioso Harald Szeeman, su una fantomatica "cultura alpina" di cui avrebbe dovuto essere interprete non il Museo etnografico, ma il Museo d’arte contemporanea (vedi Il ritorno dei grandi nomi. Basteranno?). Dando ulteriore alimento al sospetto che i grandi nomi, ingaggiati con milioni provinciali fuori da progetti rigorosi e definiti, vengano poi a Trento a farsi un giro, bersi un bicchiere, e sparare quattro fesserie.

"Cultura alpina va intesa come l’influenza del territorio sulla gente; influenza che ancora oggi è forte" - precisa Schiera.

"Un territorio lascia tracce e segni, che sono propri, diversi dagli altri - afferma Gabriella Belli - Nel 2003 noi faremo una mostra sui rapporti tra arte e scienza, arte e cultura, all’interno della quale indagheremo su quale è stata la percezione della montagna. Sarà una prima possibile risposta alla domanda se c’è, cosa è una cultura alpina; e se nella contemporaneità gli artisti portano ancora qualcosa di analogo a quel sentimento della natura, che a suo tempo avevamo studiato con la mostra sul Romanticismo."