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QT n. 22, 22 dicembre 2001 Monitor

This is “The End”, my only friend

Una pièce contro la pena di morte, che rielabora il teatro classico con forti contaminazioni con il cinema.

Poteva essere l’ennesimo adattamento folcloristico, commerciale, grossolano, per far leva sui nostri sentimenti. Beh, vi assicuriamo che "The End" è stata un’altra cosa. Gli autori, Raffaele Macrì e Renata D’Amico, l’hanno scritta contro la pena di morte, centrando l’obiettivo. Lo spunto è la tragedia greca, come già era avvenuto per "Oreste" di Sestito e "Voci della terra" di Elena Marino. Tali drammi, per inciso, rappresentano in Trentino gli unici contatti col teatro "classico", seppure rielaborato. Esiti assai vari quanto a spirito e intenzioni, ma sempre positivi. This way or nothing… Per l’"Oreste", austera condanna della pena capitale, il confronto con "The End" è scontato. Ci limitiamo a dire che in entrambi v’è un forte legame fra cinema e teatro; e le somiglianze si fermano qui.

Nell’orrore ci accompagnano Giasone e Medea, archetipi più che personaggi, esasperati dai testi di Heiner Müller e soprattutto della D’Amico. "Il Sangue scioglierà il tuo ghiaccio e farà di te un deserto". Frammenti d’una ferocia a tratti nauseante, come la vita che, flash dopo flash, zoppica verso la morte. Originale? Non proprio…

Anni ’60- ’70. Pasolini compone drammi esistenzial-ideologici ("Affabulazione", "Pilade") e Testori teorizza "un teatro sottratto alla rappresentazione e restituito alla funzione di un rito, e cioè di una forma di comunicazione diretta adibita a trasmettere la verità della condizione umana".

Gli fa eco la "nuova comunicazione teatrale" di Ronconi, ossia "una distruzione degli spazi scenici tradizionali sostituiti da ambienti multipli che suggeriscono un’ipotesi rituale di spettacolo". Magari questi grandi intellettuali si esprimevano in modo complicato, ma Macrì ha messo in pratica i loro insegnamenti.

Gli attori, per cominciare. Abbiamo osato chiedere dove fossero i nostri posti e una serial killer alla "Basic Instinct" ce li ha indicati in silenzio. Gesti ieratici e sguardo glaciale. Era nel coro delle Medee… Poi lo spazio: scale, atrio, platea, persino il sottotetto dello Sperimentale, recuperati per altrettante quinte. Infine, il mondo delle macchine come metafora: giustiziare una persona è più facile se si pensa di resettare un computer (vedi Hal 9000 di "Odissea nello spazio")? Il regista ha in mente "Matrix", con Giasone nella parte di Neo; una delle sequenze migliori, in un convulso scalo aeroportuale. Ma la morte è ovunque: nel neonato appeso al cordone ombelicale, nei bisbigli di Giasone, nei fotogrammi di Medea che uccide l’orgoglio del maschio, "soffoca il mondo", lo "seppellisce nella sua vagina".

Sebbene per questo tema, il top della tragedia greca sia "Antigone", le Medee e gli Oreste di turno non sono tirati per i capelli. Il mito funziona se è rivisitato e rivissuto in modo intelligente.

Qualcuno ha detto: "Una sfilata di moda". Vi sembra che abbia voglia di sfilare chi mormora: "Guardatevi, scrutatevi e ci troverete lì, nascosti nelle pieghe del vostro fegato, delle vostre interiora, nei meandri del cervello, appisolati. Fatevi guardare da occhi esperti… siete parte anche voi del grande esercito degli Indifferenti?"

La pièce non ha fatto bella mostra a spese dei valori umani. Anzi! Altrimenti che ci facevano, tra i patrocinatori dello "Ziggurat", Amnesty International e A.T.A.S.? C’eravamo anche noi, nell’atrio, a firmare contro l’esecuzione in Kirghizistan di 63 persone. E se c’eravamo è stato grazie allo spettacolo e al gentile invito di una volontaria, appena scemato l’applauso. La pena capitale è un male che unisce Paesi "civili" e "incivili", e la colonna sonora ha viaggiato dagli Aerosmith ad "Eyes Wide Shut", passando per la musica araba. Presto potremo risentirla, perché anche la tragedia tornerà a viaggiare, in Trentino e oltre, da febbraio.

Intanto, fra altre danze macabre, gli schermi elargiranno nuovi show dal braccio della morte, per guardarli dietro un vetro. The End, come negli USA. Speriamo che ovunque, non solo in Kirghizistan, a questa barbarie si metta davvero la parola "Fine".

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