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Carlo Mattioli a Vicenza

Quaranta capolavori di Carlo Mattioli al LAMeC fino al 4 agosto.

A scuola finita è una mostra vicentina al piano terra della Basilica Palladiana a chiudere questo ciclo di passegiate fuori porta prima dell’estate. E’ dedicata alla collezione Rossi, formata da una quarantina circa di capolavori di Carlo Mattioli, modenese della classe ’11.

Carlo Mattioli nel 1989 a Bolzano davanti a “Le ginestre”.

Il pensiero però va ad un altro tipo di classe, quella scolastica, e a quanta cultura accademica, vuota il più delle volte, passi lì dentro. Non basta per un artista grandissimo che ha con il suo lavoro attraversato un secolo aver aperto molte porte sul mondo, non basta già da solo quel giustissimo omaggio di Luigi Carluccio che, a proposito di un suo paesaggio dell’80, gli riconosceva di "aver superato la soglia fissata da Morandi ad ogni possibile paesaggio italiano contemporaneo. Una soglia che sembrava invalicabile"?; o l’interesse dimostrato da Montale, Bertolucci, Testori, Luzi, Bigongiari, Ragghianti, Longhi, Tassi, Garboli, Zurlini, Carrieri, praticamente il meglio della cultura italiana nei confronti della sua opera per affermarlo a chiare lettere come un protagonista assoluto della cultura italiana, quasi sconosciuto ai molti? Forse per quel continuo gioco con la natura, per quella curiosità per ciò che avviene nei recessi della materia, tra la forma e l’informe; forse perché non appartiene a gruppi o movimenti, rintanato com’era nello studio o a spasso in bicicletta?

La pittura di Mattioli restituisce in forma poetica quel che resta di un corpo, la sua impronta, la sua traccia dolorante di esistenza. "Il nero, non me lo so spiegare come sia uscito il nero. il nero è un colore, è nero ma non è nero, è un colore vivo ,palpitante, luminoso fino a rivelare la presenza del giorno: così scrivono alcuni poeti dei miei quadri."

Dopo aver usato per anni questo colore e, come le onde che di volta in volta restituiscono alla terra gli oggetti più disparati, così, per forza di rivelazione, la pittura di Mattioli ci ha dato quei temi indimenticabili, divenuti icone dell’ultimo cinquantennio del Novecento, a cominciare dai nudi di donna, di sua moglie colta mentre si vestiva e si spogliava. "Sono entrato talmente dentro questo corpo di donna da rivelarmene, da catturarne l’essenza". Poi sono venute le "Ginestre" viste improvvisamente sul Conero, l’odore della fermentazione, il decadimento e la continua trasformazione della materia nella sue fantastiche "Aigues Mortes", i campi di papaveri e il colore dei capelli della sua nipotina che hanno contribuito ad accendere la tavolozza di questo maestro, le "Spiagge della Versilia" dove c’è sabbia, stabilimenti e il mare non si vede quasi mai. Infine per sintesi come in un haiku , risultato di un’orientale visione, il mare: "Mi escono queste onde che io non vedo più, questo mare che è più mare del mare...,vede, oltre all’acqua c’è la cultura, ci sono le sovrapposizioni della memoria ,di ciò che si è visto. Almeno si potrà dire - in tono ironico - che la mia arte è stata meno monotona di quella di Morandi".

Quando penso alla serie degli "Alberi" mi torna alla mente la sua figura alta e agile che con voce ferma mi raccontava le cose di cui scrivo sopra, in occasione, credo, dell’ultima sua grande mostra organizzata al Museion di Bolzano in collaborazione con la Galleria Goethe nell’aprile dell’89. Con le parole di Rilke vorrei ancora ricordarlo: "Un albero forse ci resta lungo il pendio/ da rivedere ogni giorno./ Ci resta la strada di ieri".

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