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La scuola nel limbo

In ogni società, specie se democratica, la scuola è una struttura essenziale. Se fosse lecito stabilire una priorità, la scuola risulterebbe ontologicamente e funzionalmente più importante di altre strutture: Fisco, Parlamento, Forze dell’ordine, Forze armate, ecc. Compito della scuola è infatti importantissimo: educare i giovani a diventare cittadini democratici; trasmettere alle generazioni il sapere umanistico e tecnico scientifico; preparare gli scolari all’approfondimento degli studi superiori (Università) o alla qualificazione professionale nel complesso mondo del lavoro. La scuola è dunque l’anima della società: senza una scuola efficiente e all’altezza delle esigenze la società si dissecca e diventa una larva di se stessa.

La scuola italiana, almeno quella che copre il percorso educativo dai 3 ai 18 anni, è in una situazione paradossale. Si potrebbe dire che è sospesa fra due inoperanti normative giuridiche. La riforma Berlinguer infatti è in vigore per effetto della legge quadro 10 febbraio 2000 n° 30, ma non è operativa per mancanza dei decreti attuativi. La riforma Moratti è soltanto un progetto, trasformato in una "delega al governo" presentata al Senato per la discussione e l’eventuale approvazione. Non è dunque in vigore né tanto meno operativa. La scuola galleggia tra due strutture giuridiche prive di efficacia pratica, e se continua a funzionare è per forza di inerzia, nello sconcerto degli insegnanti e nella confusione degli studenti, per effetto della ormai debole spinta propulsiva che le viene, sul piano giuridico, dalla ormai lontana riforma Gentile, che ha superato i 77 anni, e da non organiche leggi successive. Una situazione gravemente anomala che non giova certo alla vitalità della scuola e dell’intero paese. Quali sono le prospettive?

Il governo Berlusconi ha lasciato cadere la riforma Berlinguer, e punta all’attuazione del progetto Moratti. Non è il caso di ricordarne qui i tratti fondamentali che sono stati illustrati dalla stampa, dalla televisione, dagli Stati generali dell’istruzione, da innumerevoli dibattiti. E’ utile invece qualche sintetica considerazione, purtroppo pessimistica.

Innanzi tutto è spericolato il metodo della delega legislativa dal Parlamento al governo in una materia tanto delicata e importante come l’istruzione e la formazione scolastica: il Parlamento (e quindi gli elettori) risulta impoverito e deprivato della sua funzione di legislatore.

Una decisione a mio parere errata è quella che fa iniziare la scuola dell’infanzia a 2 anni e mezzo, e quella elementare a 5 anni e mezzo. La maggioranza dei pedagogisti la critica come un’età prematura, e nello stesso senso si è espresso il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione. Va rilevato inoltre che, se la disposizione diventerà legge, provocherà un aumento del numero degli insegnanti, che è privo di copertura finanziaria.

La modifica più qualificante ma anche la più criticata della riforma Moratti è quella di imporre la scelta tra il liceo e la formazione professionale all’età di 13 anni e mezzo, quando lo studente è ancora praticamente un bambino, e non ha assolutamente la maturità e la capacità per decidere del suo futuro.

E’ inoltre dubbio che vi sia pari dignità fra il percorso liceale e quello professionale, per cui si prefigurerebbe una scuola di serie A (per i figli di persone abbienti e acculturate) e una di serie B (per i figli dei lavoratori manuali).

Del tutto irrisolto resta poi il problema della valutazione degli insegnanti, che è uno dei cardini della modernizzazione della scuola.

L’istruzione e la formazione dei giovani sono fattori cruciali dello sviluppo e della competitivita dell’intero Paese, e non è esagerato dire che con le lacune e le incongruenze della riforma Moratti il governo di centro-destra mette in gioco la credibilità che gli resta sul piano culturale e su quello strettamente politico, inteso come reggimento della polis.