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QT n. 5, 8 marzo 2003 Monitor

“Ricordati di me”

Il film furbastro di Gabriele Muccino: un po' di facile sociologismo, una pseudo-critica all'"Italia di Berlusconi", grandi movimenti con la macchina da presa, un finale che vorrebbe accontentare tutti.

Una famiglia in crisi. Rimpianti. Tradimenti. Si risolve tutto. Ma forse è solo l’apparenza. Al lettore decidere se queste due righe riassumono "Ricordati di me" o "L’ultimo bacio". Cambia di qualche virgola l’ambientazione e il target, ma la struttura narrativa dei due film di Gabriele Muccino è proprio la stessa. Il problema, inoltre, sta nella parola target. "Ricordati di me" pare concepito come un’operazione di marketing, che punta un campione di consumatori e lo corteggia. Qualcuno sostiene che il marketing è la nuova forma di fascismo. Forse fascismo non è più la parola giusta, ma è pur vero che c’è qualcosa di totalitario in questa teorizzata pretesa di fregare il maggior numero possibile di persone.

La sovraesposizione mediatica di "Ricordati di me" è evidente. Su Muccino si concentravano molte aspettative, dopo l’exploit de "L’ultimo bacio". E, certo, i film dei pochi autori italiani che hanno successo di pubblico sono sempre attesi come un evento. Le televisioni hanno quindi inevitabilmente fatto a gara per avere ospiti il regista e gli attori. In queste trasmissioni, il film era un buon pretesto per dibattere sulla salute della nostra società.

Ma non era un film "che parlava male della tivù"? Lo sappiamo: parlar male della televisione in televisione è forse incoerente, ma ormai non è più una questione di scelta. Piuttosto, la critica alla televisione, che doveva essere uno dei punti di forza del film, si risolve tutta nella descrizione della scalata al successo di una ragazzina con pochi scrupoli: apparire sullo schermo è per lei l’unico valore (ma chi è a decidere se metterci davanti un dis-?).

Se è questo il modo di dare la caccia all’elefantone televisivo, ci pare che Muccino vada al safari armato di una cerbottana, faccia il solletico al pachiderma e poi tenti subito di salirci in groppa: lanciare il film è una cosa, fare i trapezisti delle ospitate televisive un’altra.

A parte questo: siamo davvero sicuri che i fotogrammi di Muccino siano fotografie così esatte dell’Italia di oggi? Se "L’ultimo bacio" è stato effettivamente capace di aprire uno spaccato descrittivo della realtà sociale, "Ricordati di me" si rivela un tentativo poco riuscito di ripetere la stessa presunta operazione sociologica. La crisi di una coppia di quarantenni; un paio di figli - una, valletta, l’altro, no global ; le fantomatiche ambizioni artistiche della medio-alta borghesia: questa banale costruzione di stereotipi diventa, anche per tanta stampa intelligente, "la metafora, fin troppo precisa, di un’Italia senza vie d’uscita" (Curzio Maltese); o "un ritratto impietoso dell’Italia di Berlusconi" (vari recensori).

Evidentemente, essendo ormai pochi i film capaci di leggere la società italiana, quei pochi che programmaticamente cercano di farlo tendono a essere considerati, a prescindere, portatori di risposte. E’ davvero il segnale di una società che non riesce a vedersi in faccia e cerca uno specchio in ogni pozzanghera (vedi i sondaggi d’opinione).

A proposito della "critica all’Italia di Berlusconi", ci sembra di poter dire che gli spettatori che votano Berlusconi non usciranno dal cinema poi così pensierosi: è facile immaginarla, una mamma che vota Forza Italia, terrorizzata dagli opposti estremismi della figlia diciottenne che salta di letto in letto per un posto in TV e del figlio diciannovenne che compra pacchetti da un chilo di fumo. Se il film è "critico", la nostra elettrice del centro-destra sarà contenta di sottoscrivere questa critica, per poi tornare con qualche sollievo in più in seno alla famiglia (probabilmente meno ballerina e sicuramente meno finta di quella del film).

Anche il modo in cui il film è girato rivela una pretenziosità da cinema d’autore che del cinema d’autore non ha assolutamente il respiro: la macchina da presa continua a girare intorno ai personaggi, con steady-cam, piani sequenza, volteggi, camere a mano, plongée. Insomma, viene messo in campo tutto l’armamentario stilistico e grammaticale della "regia visibile": il famoso stile suadente di Gabriele Muccino. Peccato che i movimenti di macchina, almeno in teoria, vadano fatti in funzione del racconto e della costruzione di senso del film, non per "sgranchirsi gli occhi o mettersi in mostra", come dice Bruno Fornara. Parlare di moralità dei movimenti di macchina, come faceva Godard, sembra esagerato e non va neanche più di moda, però lo stile comunicativo di Muccino è l’ennesimo segnale di quella sua disgraziata volontà di piacere per forza. Se l’idea (politicamente apprezzabile) è quella di far passare un messaggio al più ampio pubblico possibile, alla fine del film resta il dubbio: ma quale messaggio?

Dopo "L’ultimo bacio", il finale aperto di "Ricordati di me" rende a questo punto palese l’intento del regista di non scontentare nessuno: il più classico tentativo di salvare capra e cavoli. La famiglia va a rotoli, dunque? La risposta di Gabriele Muccino è "nì". Ed è una risposta che non dà proprio soddisfazione.

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