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“Storie di pallone e bicicletta”

Carlo Martinelli, Storie di pallone e bicicletta. Curcu e Genovese, Trento, 2003, pp.135, € 10,00.

Che cosa è il calcio: elemento funzionale dello spettacolo mondiale integrato o potente attivatore di desideri, di quel desiderare senza fine che Raoul Vaneigem poneva in exergo a ogni vera rivoluzione della vita quotidiana?

Pare di capire che Martinelli - come molti altri che conoscono quella "passione sfrenata per qualsiasi situazione dove ci sia una palla da colpire", per usare le parole della prefazione di Stefano Bizzotto - questa domanda se la sia fatta più volte. Solo che invece di scriverci noiosi trattati alla maniera francofortese, l’autore ha preferito raccontarci una serie di succosi aneddoti: situazioni di sport e di sportiva mitologia, prodromo a una futura "Enciclopedia incompleta dello sport e del trasalimento".

Risultato? Una singolare antologia di brevi narrazioni dove squarci autobiografici si alternano a incursioni nei sentimenti collettivi per non dire universali del mondo del pallone. Raccolte a partire dagli anni Ottanta, ma redatte via via più fittamente negli ultimi anni, sono storie di "invasioni di campo", come avrebbe potuto o dovuto chiamarsi questo libretto, ma anche di evasioni dal campo, negli spogliatoi, nelle stazioni degli autobus notturni, nei vecchi bar dell’infanzia, nelle strade trafficate e dovunque di pallone si parla, si sogna, si vive.

Incontri casuali, o forse appuntamenti possibili, con personaggi ed eroi noti e minori, vincenti ma spesso anche perdenti, semisconosciuti e misconosciuti, tutti però a loro modo grandi, cioè degni di essere tramandati come testimoni di un’energia vitale e di un desiderio di rovesciamento, sempre sul punto di venire tacitato e fagocitato dalla logica dei regimi, fossero quelli politici di un mondo bipolare che fu, siano quelli dello spettacolo mondiale che è.

Naturalmente discordi, le voci di questi grandi, come è giusto che sia: così se il misterioso (da molti ritenuto perfino inesistente) Jacques Fillon annuncia arcigno e tranchant che "il calcio è uno dei pilastri del nuovo ordine mondiale delle merci", se Guy Débord pare se ne andasse schifato dalla casa dei fratelli Wise, semiubriachi davanti al televisore a guardare la partita, non inadeguata è la risposta di Freyre che il futebol è in realtà una danza, né quella che uno dei suoi più grandi interpreti fu l’ala brasiliana Manuel Dos Santos, alias Mané Garrincha, che morì nel 1983 in miseria alcolizzato e solo.

Oppure quella di Mathias Sindelar, Mozart del calcio, centravanti viennese ebreo che dopo l’Anschluss preferì morire piuttosto che lasciarsi cacciare dalla sua squadra. E forse quella del tifoso Carl Power, che - la mossa forse non sarebbe riuscita antipatica a Debord – riuscì a mimetizzarsi tra i giocatori del suo Manchester figurando come dodicesimo uomo nelle foto ufficiali dell’incontro con il Bayern a Monaco di Baviera.

E ancora quella del filosofo e portiere Albert Camus, che affermò di aver appreso solo nel calcio cosa fosse la morale. E di mille altri, che nella falcata ciclistica - presenti in minor numero questi racconti nel libro, ma più autobiograficamente estesi - trovarono analogo insegnamento.

Storie umane delle mille storie umane che lo sport ha il potere di serbare tra le sue storie, e che la penna di Martinelli, abile sintetico ritrattista, ha saputo consegnarci.

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