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Il Mario aveva swing

Ricordo di un “pianobarista” molto speciale.

Se n’è andato nello spazio di un attimo della mattina di domenica 23 novembre. Mario Bertotti lascia la sua splendida famiglia e un gran vuoto tra i musicisti trentini, che lo stimavano perché era un grande artista e che gli volevano bene perché era una grande persona. (Diavolo di un Mario, che fatica scrivere di te: mi si stringe qualcosa sotto la fronte e non distinguo bene le lettere sulla tastiera).

Mario Bertotti.

Il Mario faceva pianobar ma era tutto tranne che un pianobarista tout court. Le sue esibizioni erano veri concerti per l’intensità e l’impegno profusi, per la particolarità del repertorio, per lo spessore delle interpretazioni.

Ci siamo conosciuti dopo un mio concerto classico (ero fresco di diploma). Si avvicina e mi dice: tu hai swing. Un complimento mica da ridere. Secondo lui i musicisti si dividevano in due categorie: quelli che avevano swing e quelli non ce l’avevano. Il termine non era specificamente legato all’accezione jazzistica, ma esprimeva un modo di comporre o suonare personale, incisivo, ritmico ma colorito allo stesso tempo: nel Bertotti Swinging World potevano godere cittadinanza sia Bach che Paul Simon. E il Mario aveva swing...

La sua tecnica pianistica se l’è costruita da sé. Però, nel periodo in cui ci frequentiamo, sente il bisogno di conoscere anche la parte classica: così mi chiede di dargli delle lezioni di piano. Lui insiste per pagarle ma gli faccio notare che sono più le cose che io imparo da lui che viceversa. Dopo un po’ che va avanti la commedia, troviamo un accordo-baratto: stabiliamo l’orario della lezione a mezzogiorno, così poi mi fermo a pranzo. In tempi di gioventù squattrinata è comunque un buon affare.

Il Mario era davvero bravo. Un fuoriclasse del pianobar italiano. Amava Brel e lo eseguiva spesso; ha pure riscritto i testi delle sue canzoni in dialetto trentino. E’ stato più volte in televisione, in nazionale: qualche anno fa suonava in coppia con Sergio Cammariere in un programma su RAI2.

Il suo non era pianobar garbato e rilassato. Non conosceva la routine, non eseguiva mai un pezzo allo stesso modo: lasciava il segno, voleva lasciare il segno. Bastava ci fosse nel locale qualcuno che dimostrasse interesse e che si qualificasse ai suoi occhi come spettatore intelligente ed ecco che il Mario scavava nel suo repertorio più intimo per cercare la perla da offrire, spingeva sui registri vocali, scatenava la creatività, interpretava, improvvisava, faceva arte, cultura, musica. E siccome la sua musica emanava dal profondo del suo essere, il Mario, suonando e cantando, donava senza risparmiarsi una parte di sé, della sua anima, della sua vita. Non riesco a togliermi dalla testa che se fosse stato meno prodigo di slanci e di energie forse il filo della sua esistenza si sarebbe consumato più lentamente e spezzato dopo, comunque dopo.

Sacramento di un Mario, chi te l’ha fatto fare? Non ti potevi accontentare di un pianobar dignitoso, lezioso e da salotto, giusto giusto per allietare i chiari di luna delle coppiette o propiziare i rituali a base di viagra e champagne dei commenda in licenza extraconiugale?

No che non potevi. Primo: perché eri un vero musicista. Secondo: perché non sapevi rinunciare ad essere generoso e, anzi, godevi quando la gente era soddisfatta di portarsi via una parte di te. La partecipazione sincera al tuo impegno creativo era l’unica contropartita che esigevi. Ed è proprio in quei tuoi preziosi e intensi brandelli di vita che ci hai regalato, e che noi ci teniamo stretti dentro, che tu continuerai ad esistere e a cantare. Per sempre.

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Commenti (2)

Ciao Mario Sanzio

Ciao Mario, ho scoperto adesso che te ne sei andato a suonare nel Piano Bar Eterno.
Ti ho cercato su internet, per contattarti via Facebook.
Abbiamo passato due anni bellissimi, a MIlano. Tu suonavi al Barbarossa, ed io venivo a sentirti, e siamo diventati amici. Il viaggio in Romania ? Tu al piano dell'albergo a cantare Elton John, Daniel era il tuo pezzo forte, ed anche la canzone che avevi musicato sulle parole scritte da me per una camerierina di Mamaia per la quale avevo preso una cotta.
E quella sera che, sempre al Barbarossa, hai musicato una poesia scritta da mio padre a mia madre, da fidanzati e l'hai dedicata a loro nella sera di un loro anniversario ? E quando siamo rimasti a piedi a causa del catorcio di macchina che guidavi, sotto un temporale, e ci siamo messi in mutande a spingerla, con la gente che rideva, e il ghisa incazzato....
Poi la vita ci ha separato, ma ti ho sempre ricordato,e ti ricorderò sempre, fino a quando sarò di nuovo appoggiato al tuo piano, lassù, ad ascoltare la tua musica e la tua voce.
Arrivederci, Mario
Sanzio

guido morgavi

Caro, carissimo Mario
In questa notte un pò malinconica mi sei tornato in mente e ti ho ritrovato nella memoria di qualche amico
In questa incognita che è la vita, e ancor peggio in quella della morte, nessuno mi potrà dire se parlo da solo o leggerai in qualche modo questo saluto.
Posso dirti che comunque l'Hostaria dell'Orso a Roma, il Tartarughino a Porto Rotondo o il Bagaglino non ci sono più.. te ne sei andato troppo presto, ma tanto qui "anni come giorni" e tutto di disintegra lo stesso.
Grazie per l'amicizia di quegli anni.. e adesso nel nuovo millennio ti devo dire che le vere amicizie di persone vere latitano parecchio, ma nel ricordo sei molto presente, con il tuo essere sanguigno e sincero.
Un abbraccio Maestro e prima o poi.. a risentirci..
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