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QT n. 22, 20 dicembre 2003 Servizi

Una storia estenuante

La storia della diga di Valda è vecchia di quasi 40 anni. Era una delle opere previste dal piano De Marchi (1967), un ingegnere incaricato di presentare un piano della sicurezza idraulica della Provincia di Trento dopo la tragedia del 1966. All’inizio degli anni ’90 sembrava ormai tutto pronto per la sua realizzazione, ma un forte e determinato movimento dei residenti in valle, di comitati spontanei e di sindaci impose valutazioni diverse ed impedì la realizzazione del manufatto.

Striscione anti-diga in Val di Cembra.

Realizzando la diga da Valda fino a Capriana, l’intero fondovalle del torrente Avisio sarebbe stato invaso dalle acque di un enorme lago, lungo nel massimo invaso fino a dodici chilometri. Quel grande muro avrebbe imposto la cancellazione di storia e di popolazioni ancora legate al territorio e poveri paesi come Grauno, Grumes, Valda, Sover, Segonzano e Faver avrebbero subito un ulteriore salasso di residenti; sarebbe rimasta in piedi un’unica industria, quella ambientalmente già oggi devastante e che sta creando altri problemi di sicurezza, l’escavazione e la lavorazione del porfido.

La popolazione di Cembra, aiutata anche da diversi studi di alto profilo, propose una lunga serie di alternative: qualora fossero state realizzate nel loro insieme, queste avrebbero trattenuto e rallentato il deflusso delle acque dell’Avisio nella stessa proporzione della prevista diga (vedi Diga di Valda: l'ambientalismo diventa maggiorenne, su QT n° 6 del 15.3.97 ndr).

A livello istituzionale, nel 2001 si è aggiunto lo studio Fiorentino che in pratica, con sottolineature non molto diverse, raggiunge le stesse conclusioni dei tecnici amici degli ambientalisti e dei sindaci di valle.

Fatto sta che poco a monte (quindici chilometri) c’è un’altra diga, quella di Stramentizzo; una diga oggi utilizzata in modo selvaggio dall’ENEL, con un bacino zeppo di materiali di trasporto dell’acqua e dei fanghi della tragedia di Stava del 1985. Negli anni ’50 Stramentizzo disponeva di una capacità di 12 milioni di metri cubi d’acqua, oggi ridotti a meno di otto. Da anni pescatori e amici dell’Avisio chiedono un recupero complessivo di tutta l’area e da anni sul problema la Provincia mantiene un’assenza totale, o rilascia dichiarazioni evasive. Questa diga, ripulita dalla massa di materiale che la invade, potrebbe agire da sbarramento di laminazione, e comunque è un’opera che in tempi brevi va sottoposta ad un intervento importante per riportarla in sicurezza.

Ma è tutto il corso del torrente Avisio che deve essere recuperato: oggi è solo un banale canale sempre più lontano dal sentire e dal vivere della popolazione locale; né va dimenticata l’importanza che riveste un altro invaso artificiale, quello di Forte Buso, nel cuore della foresta di Paneveggio.

Invece di studiare come rallentare le acque dell’Avisio a monte, Provincia e Comuni di Fiemme autorizzano l’occupazione di tutte le aree libere di fondovalle (Molina di Fiemme, Tesero) e impongono i parcheggi della nuova bidonvia del Cermis in pieno alveo fluviale. Quando si dice coerenza...