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QT n. 4, 21 febbraio 2004 L’editoriale

L’ultimo miracolo di Berlusconi

Il capo del Governo, con l’aiuto del fido Castelli, sono riusciti a portare su posizioni “eversive” una categoria (i magistrati) tradizionalmente moderata.

E’ davvero l’uomo dei miracoli. E’ riuscito a ricomporre in un corpo compatto l’intero organico dell’Ordine giudiziario. E addirittura su una posizione eversiva, come egli stesso l’ha definita. Un simile risultato è a dir poco strabiliante.

Chiunque abbia anche una superficiale conoscenza delle persone che fungono da magistrati nei Tribunali, nelle Procure o nelle Corti ha la percezione di una multiforme varietà di individui. Diversi per età e sesso, per carattere e formazione culturale, provengono prevalentemente da famiglie della media o piccola borghesia. Vi si trovano gli sparuti epigoni di quelli che furono i pretori d’assalto, ma nella loro grande maggioranza sono per forma mentis, forgiata anche dalla funzione svolta, uomini e donne omogenei all’ordine costituito. Sanno che il loro compito è applicare le leggi e sono consapevoli che la discrezionalità che è loro concessa nell’interpretarle per ogni singolo caso concreto subisce lo stringente vincolo della ragionevole motivazione. Sono insomma persone che, salvo rare eccezioni, fanno della moderazione uno stile di vita, e poiché è certo che hanno anche opinioni politiche, nella maggior parte sono piuttosto conservatori che riformisti. Sicuramente non sono riformisti radicali, come si dice oggi, e meno ancora ribelli ed eversivi. Sono così rispettosi dell’autorità politica che hanno indotto alle dimissioni il segretario della loro associazione solo perché ha osato paragonare la riforma dell’ordinamento giuridico propugnata da Castelli a quella tentata dal fascismo. Dunque l’ultima idea che poteva far capolino nelle loro menti era quella di scendere in sciopero.

Eppure Berlusconi è riuscito a costringere persone così composte, osservanti della forma, esse stesse sostanza dell’"ordine" giudiziario, a ricorrere allo sciopero, al mezzo di pressione sociale prediletto dalle categorie più facinorose.

Non si tratta di uno sciopero corporativo, cioè motivato da rivendicazioni esclusivamente proprie della categoria. Se si trattasse di un aumento degli stipendi, nessun problema. Il Governo ha già offerto una indennità speciale per i magistrati di Cassazione. Le motivazioni della inquietudine dei magistrati sono altre, riguardano la loro indipendenza da altri poteri e quindi sono motivazioni che coinvolgono tutta la cittadinanza.

Il progetto Castelli trasforma i pubblici ministri in impiegati subalterni al Procuratore Generale: al Governo basterà poter contare sulla fedeltà di alcuni Procuratori Generali per insabbiare indagini scomode. Si vuole ingarbugliare la destinazione dei magistrati alle diverse funzioni con concorsi interni gestiti con lo zampino del Ministero, così separando le carriere ed avvicinando il Pubblico Ministero all’influenza del Governo.

Si introduce un controllo disciplinare sulle sentenze punendo una eventuale interpretazione della legge non gradita al Governo. Si vuole negare ai magistrati ciò che la Costituzione garantisce a tutti i cittadini: la libertà di esprimere il proprio pensiero. Come si vede, una serie di piccoli ritocchi che però nel loro assieme realizzano una condizione dei magistrati, oggettiva e soggettiva, di subordinazione al potere politico.

Prima ancora che un protervo disegno di regime, il progetto Castelli ha l’acre sapore di una rivalsa. Questo personaggio, che interpreta il ruolo di un gorilla designato a quel posto per proteggere il suo padrone, mette alle corde l’intera magistratura per addomesticarla, per insegnarle che non bisogna disturbare gli eletti dal popolo. Ma non solo i titolari del potere politico dovrebbero essere immuni da responsabilità. Addirittura cominciano a serpeggiare in certa stampa lagnanze anche per le misure detentive adottate contro gli autori delle macroscopiche truffe di Cirio e Parmalat. Tanto che viene fatto di pensare che Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi hanno commesso un grave errore: quello di non essere "scesi in campo", cioè di non essersi dati alla politica. Se anch’essi avessero con i loro avvocati invaso il Parlamento, ora non sarebbero in galera. Ma loro non disponevano delle televisioni.

E’ vero: usare la giustizia per fini politici sarebbe molto grave. Ma cosa può dirsi di chi usa la politica per fini criminali ?