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QT n. 15, 17 settembre 2005 Cover story

Antonio Fazio e i nostri onorevoli

Il Governatore della Banca d’Italia, la crisi di credibilità del nostro Paese, la politica. Cosa pensano (e come si comportano) su questa non edificante vicenda i parlamentari trentini.

E’ un pasticciaccio brutto quello di via Nazionale (sede della Banca d’Italia). Brutto in sé, perché ha distrutto la credibilità dell’istituzione italiana più prestigiosa, forse l’unica che ancora riscuoteva piena fiducia. E brutto perché si sta trascinando da mesi ormai, senza che traspaia la capacità di risolverlo.

Tutto questo al cospetto dell’Europa, sempre più allibita di fronte alle colpevoli e irrisolte manchevolezze del partner italiano: eravamo in serie A (tra i quattro "grandi" paesi, con Francia, Germania e Inghilterra), ora siamo in B (la Spagna ci ha sopravanzato) e continuiamo a perdere peso e credibilità.

Prima di passare alle responsabilità, ricordiamo i fatti. Cosa forse utile al lettore, in quanto in questi troppi giorni di polemiche i fatti sono finiti fra parentesi, oscurati dalle notizie su schieramenti e rapporti di forza.

Anzi, ai fatti si sono sostituite le battute, o magari le interlocuzioni diplomatiche, tipo "nessuno contesta l’autorità e la dirittura morale del Governatore, ma l’Europa...", che vorrebbe essere una (pavida) cortesia istituzionale, mentre in pratica è la rinuncia italiana a valutare le proprie istituzioni, e la remissione al giudizio esterno.

Ma allora, cosa ha fatto Fazio di così grave? Partiamo da qui.

La Banca d’Italia ha sempre governato il sistema bancario, col Governatore che stabiliva chi poteva fare e che cosa - fusioni, acquisizioni, salvataggi - nell’ottica di un sistema parapubblico, in cui il credito era una finalità sociale e le banche venivano gestite secondo logiche politiche, che poi diventavano partitiche e, a seguire, clientelari. Con le varie riforme dei primi anni Novanta si cambiava rotta: con l’Europa e la globalizzazione alle porte, si ricercava l’efficienza di un sistema assolutamente non competitivo aprendolo al mercato, e trasformando la banca in impresa. Conseguentemente anche il ruolo della Banca d’Italia cambiava: da una parte, con l’euro, perdeva la prerogativa di battere e vigilare sulla moneta; dall’altra non era più a capo di un sistema parapubblico, ma si vedeva affidati compiti di vigilanza (sulla solidità) e di antitrust (concorrenza nel mercato) rispetto alle banche diventate ormai imprese private.

Quest’ultimo aspetto si rivelava contraddittorio: promuovere la concorrenza significa mettere fuori gioco i deboli, vigilare sulla solidità il suo contrario; sono funzioni entrambe utili, anzi doverose, ma difficilmente esercitabili entrambi dallo stesso organismo.

E’ in questo quadro che va vista l’attività di Antonio Fazio; il quale, cercando di forzare i margini di ambiguità forniti da una legislazione carente, si è comportato come un governatore vecchio stile, anche se ormai si era all’interno di un nuovo sistema, caratterizzato dalla concorrenza e dalle istituzioni europee.

Ed ecco quindi il governatore, di fronte alla scalata a due istituti italiani da parte di due banche straniere (gli olandesi Abn-Amro per l’Ambroveneta e i baschi della Banca di Bilbao per la Banca Nazionale del Lavoro) gioca in contemporanea il doppio ruolo di arbitro (della correttezza delle proposte delle due banche estere) e di giocatore, facendosi promotore di due cordate italiane alternative alle estere.

Già qui ci sarebbe molto da discutere. Ma il punto più inquietante è la qualità delle cordate amiche: in particolare a contrapporsi all’Abn viene sollecitata la Banca Popolare di Lodi (amministratore delegato Gianpiero Fiorani, amico molto stretto, come sottolineato dalle intercettazioni, di Fazio e famiglia), che sembra non avere un patrimonio adeguato: e che si mette in regola – forse - con artifici finanziari finiti sotto inchiesta della magistratura, per di più attuati mediante alleanze con strani finanzieri d’assalto (Gnutti, Ricucci, ecc.) anch’essi ora in guai giudiziari.

L’insieme degli atti (oltre che delle intercettazioni, illuminanti ma non decisive) disegna questo quadro: nella contesa sulle banche il governatore non solo non è arbitro imparziale, ma è partigiano (anzi, padrino) del contendente economicamente più debole, quando non sospetto, stando alle ipotesi della magistratura. Insomma, anche non dando credito alle ipotesi di reato, l’operato di Fazio consiste nel calpestare la concorrenza per favorire la soluzione più fragile.

Con il che il sistema bancario italiano sembra orientato non alla solidità economica, ma alla contiguità amicale.

Tutto questo al cospetto dell’Europa: le banche sfavorite sono europee, e comunque le banche italiane fanno parte di un sistema comunitario: se la Banca d’Italia traligna, anche la Banca d’Europa ne è coinvolta. Per l’Italia è un disastro.

Sul personaggio Antonio Fazio ci sarebbe molto altro da dire: sulla sua ostilità all’ingresso dell’Italia nell’euro, sui suoi no che hanno impedito il formarsi di poli bancari nazionali forti, perché tendeva a favorirne altri più deboli e più amici, sulla sua incondizionata fede ("è alle porte un nuovo miracolo economico italiano") nel Berlusconi vittorioso del 2001.

A nostro avviso è un mediocre: un personaggio con alle spalle le informazioni del suo ruolo e dei suoi Uffici studi, se si lascia incantare dalle telepanzane del Berlusca né più né meno di una casalinga teledipendente, non è certo un genio; catapultato in una carica troppo grande per lui, si è lasciato travolgere da una sorta di delirio di onnipotenza.

Antonio Fazio.

Però a questo punto il problema non è più Fazio, non è più l’ometto sulla poltrona troppo grande, dalla quale non vuole scendere a nessun costo.

Il problema è l’Italia, che dopo aver sbagliato, non sa rimediare. E questo è ancor più grave.

Infatti la vicenda, esplosa nell’estate, non è ancora risolta. Anzi, sta marcendo.

Su di essa il governo e il premier hanno consumato gli ultimi scampoli di credibilità. Nonostante che gli altri alleati siano concordi per una veloce rimozione dell’ormai impresentabile governatore, Berlusconi è immobile, bloccato dal veto della Lega (debitrice a Fazio del salvataggio della sua banchetta di partito Credieuronord tramite, guarda un po’, la Popolare di Lodi). Il centro-destra si dimostra incapace di affrontare la questione.

Ma anche su altre sponde si allungano ombre poco rassicuranti. Il centro-sinistra, nella triade Prodi-Fassino-Rutelli, è sì omogeneo nel richiedere la rimozione di Fazio; ma su tempi, strumenti e modalità si aprono incertezze preoccupanti. In un’intervista D’Alema arriva a sostenere che "non è compito dell’opposizione chiedere le dimissioni del Governatore". Autentica baggianata, visto che l’opposizione chiede le dimissioni di Tizio o Caio a giorni alterni, anche in presenza di evidenze meno eclatanti. Il fatto è che da una parte sembrano pesare le contiguità con Unipol (la società di assicurazioni cooperativa, autrice della scalata a Bnl, anch’essa benedetta da Fazio), come pure una ricerca di nuove espressioni del capitalismo, spesso approdata a malaccorte sponsorizzazioni di personaggi discutibili. Dall’altra parte siamo ai soliti tatticismi: sostenere una decisa azione, per esempio parlamentare, per rimuovere Fazio, significherebbe togliere a Berlusconi le castagne dal fuoco; meglio lasciargli in toto le sue responsabilità, così dimostrando ancora una volta la sua inettitudine istituzionale. Se poi è l’Italia a rimetterci, è secondario. Siamo alla solita cultura del tanto peggio tanto meglio.

All’esterno del mondo politico è da registrare la posizione di porzioni – importanti – del mondo cattolico: L’Osservatore Romano (organo del Vaticano) e L’Avvenire (giornale della Conferenza Episcopale italiana) si sono lanciati in una difesa a spada tratta di Fazio. Motivo? Il Governatore è cattolico (quindi i cattolici si difendono tra di loro sempre e comunque? Bell’esempio di autorità morale) e i cattolici corrono il rischio di essere discriminati (ma per favore...)

Poi salta fuori il motivo vero: bisogna difendere la finanza cattolica, contrapposta a quella laica. Peggio che peggio: a parte la storia di Dio e Mammona, siamo tornati alle commistioni fede-affari al di là di ogni valutazione morale come ai tempi dello Ior e dell’arcivescovo Marcinkus? Il quale trafficava – malamente, il Vaticano ci rimise migliaia di miliardi - con i banchieri mafiosi e piduisti Sindona e Calvi, poi finiti ammazzati, per chi non lo ricordasse...

Come si vede, sono diversi i temi sollevati dalla vicenda Bankitalia. E i nostri parlamentari, cosa ne pensano? Come si comportano?

Abbiamo affrontato questi temi con gli onorevoli Giovanni Kessler (Ds) e Mauro Betta (Margherita); e soprattutto con il senatore Ivo Tarolli (Udc) che di Antonio Fazio è uno dei più fidati portavoce (peraltro secondo una logica di rapporti di potere che noi non apprezziamo, vedi "Ivo Tarolli, feudatario cattolico" sul n° 12 del 18 giugno).

L'on. Giovanni Kessler (Ds).

Cominciamo a porre il problema Fazio all’onorevole Kessler.

"Antonio Fazio deve dimettersi – risponde deciso Kessler – E non perché abbia commesso reati – su questo non so, sta indagando la magistratura, e non riguarda il mio ragionamento – ma perché è mancato ai doveri deontologici della sua carica, quelli di garantire l’affidabilità e sicurezza del sistema bancario".

Vale a dire?

"La Popolare di Lodi ha effettuato prestiti a tasso zero a Ricucci e ad altri finanzieri affinché partecipassero alla scalata di Antonveneta, venendo meno ai criteri di prudenza nella gestione della propria banca: su questo Bankitalia doveva esercitare la vigilanza, e non lo ha fatto. O meglio, i tecnici dell’Istituto le irregolarità le hanno rilevate, e dato parere negativo, ma Fazio ha ribaltato questo giudizio, per ragioni di vicinanza, di familismo. Secondo le peggiori costumanze dell’Italia più arretrata".

Quindi la sua valutazione prescinde dalle inchieste in corso.

"Certo. Già su Malossini dicevo che va recuperata un’autonomia del giudizio morale e politico rispetto al verdetto penale. Non tutto quello che è reato è infamante; ma neanche basta che un’azione non sia reato perché sia positiva. Questo significa recuperare autonomia di giudizio rispetto alla magistratura: si può non infrangere la legge penale, eppure fare cose sbagliatissime".

Fra i parlamentari trentini c’è chi sostiene apertamente il Governatore...

"Sì, il senatore Tarolli, che ha interpretato il suo ruolo di parlamentare come ‘amico del potente’: è per quello, e solo per quello, che è conosciuto, a livello nazionale e locale. Un eletto deve rappresentare in Parlamento un territorio, una visione politica; Tarolli invece fa il rappresentante di Fazio, il portavoce di un potente, per averne qualche ricaduta clientelare. In Trentino viene a dire ‘io sono il suo vassallo’: non è una cosa dignitosa, nemmeno per ilnostro territorio".

Tarolli non è l’unico difensore ad oltranza di Fazio. Ha fatto una certa impressione vedere schierato il Vaticano...

"Io non vedo una difesa a spada tratta, bensì una difesa d’ufficio o poco più".

Beh, l’Avvenire e l’Osservatore Romano si sono schierati nettamente.

"Per quello trovo Il Foglio più schierato. L’Osservatore è dalla parte di Fazio, ma con prudenza. Il Governatore ha agganci che contano nel mondo cattolico, a iniziare dall’Opus Dei, ma la Chiesa è una cosa molto più vasta. E se anche ci fosse questo appoggio, non sarebbe comunque una questione di fede".

Il punto è che nella storia anche recente la Chiesa, quando tesse rapporti con Mammona, trova sempre interlocutori pessimi.

"Non mi sembra questo il caso: i pronunciamenti pro-Fazio non sono stati sotterranei, ma dichiarati apertamente. E d’altronde il Governatore è sempre stato un cattolico dichiarato".

Ma quale credibilità ha una Chiesa che dà valutazioni politiche in base al fatto se il protagonista è cattolico o meno?

"Ripeto, sono state dichiarazioni prudenti. Scontate, e in definitiva insignificanti. Basta vedere le posizioni dei partiti cattolici."

Passiamo alla sinistra, nella quale, al di là delle dichiarazioni di Fassino, si è registrato qualche imbarazzo. Come la posizione di D’Alema, secondo il quale "non sta all’opposizione chiedere le dimissioni del governatore".

"La posizione ufficiale dei Ds e della coalizione è quella ufficiale di Prodi e Fassino: dimissioni. Poi, è vero, ci sono state dichiarazioni con accenti diversi; ma solo accenti, che dipendono dalle visioni personali.

Ma non voglio tirarmi indietro: a determinare posizioni più morbide è stata la preoccupazione per la nomina del nuovo Governatore da parte di Berlusconi, che cercherebbe una persona sensibile ai suoi interessi".

Non ha magari inciso anche la contiguità con Unipol?

"Penso piuttosto a un discorso di tattica politica: far risaltare l’impotenza di Berlusconi, incapace di risolvere il caso. Potrò sbagliarmi, ma non credo che Unipol c’entri, anche perché non è detto che Fazio l’appoggiasse".

Appoggiava Ricucci, alleato di Unipol.

"Ma nella scalata di Lodi ad Antonveneta, non in quella di Unipol a Bnl. Sono due cose diverse".

Ma collegate, come hanno rivelato le intercettazioni.

"Sulla seconda non c’è stato intervento di Fazio. Né potrà più esserci ormai: Fazio è ridotto all’impotenza. La scalata di Unipol dipende ora solo dalla bontà della sua offerta: per questo non lo ritengo un momento politicamente significativo. E poi, a tagliare la testa al toro ci sono le dichiarazioni di Fassino, che sono sempre state inequivoche.

Vorrei sottolineare un ultimo punto. Si parla di separare la proprietà di Bankitalia dalle banche da essa controllate. Cosa giusta in teoria, ma in pratica significa dare alle banche decine di miliardi di euro; e per niente, perché nella gestione di Bankitalia, loro contano zero. Sento puzza di regalo elettorale".

Passiamo quindi a sentire il senatore Ivo Tarolli, parlamentare dell’Udc ma soprattutto sostenitore a spada tratta del Governatore. Con lui cominciamo ragionando sul doppio ruolo di Antonio Fazio, contemporaneamente giudice delle scalate alle banche e regista di alcune cordate.

Il senatore "fazista" Ivo Tarolli (Udc).

"Le leggi Ciampi e Amato attribuiscono al Governatore il compito, attraverso la moral suasion, di ristrutturare il sistema bancario italiano. Cosa che Fazio ha svolto tra il plauso unanime di tutti gli osservatori".

A parte il plauso unanime, che a noi non risulta, sta di fatto che quando deve dare il via a un’Opa il Governatore è arbitro. E’ d’accordo?

"E lui infatti correttamente ha stabilito le modalità dell’Opa sia per gli olandesi che per gli spagnoli".

E contemporaneamente parteggiava per i loro contendenti.

"Non parteggiava: ha detto ai banchieri italiani che se volevano c’era l’opportunità di fare delle acquisizioni".

Le intercettazioni evidenziano telefonate a mezzanotte per avvisare del via libera, di "baci in fronte", di "entra dalla porta di dietro che è più sicuro". Questo non è parteggiare?

"Non ritengo giusto esprimere giudizi politici in base a intercettazioni telefoniche, che si sa come vengono fatte..."

Vuole dire che sono taroccate?

"Voglio dire che creano solo disorientamento e non possono costituire una fonte di giudizio valida".

Sta di fatto che, fra i contendenti, Fazio ha scelto quello più debole, finito sotto indagine giudiziaria proprio per queste operazioni finanziarie. E questa fragilità era stata evidenziata dalla struttura tecnica di Bankitalia.

"Quelli sono tecnici, ed esprimono un parere tecnico; il governatore invece assume una decisione politica, che è cosa diversa, lo tenga ben presente. Bankitalia deve valutare la solidità di un’operazione in base ai numeri; se quei numeri non sono corretti, non è suo compito metterli in discussione".

Ma non sta proprio qui il compito di vigilanza della Banca centrale, e quello dei tecnici? Questi ultimi, appunto, negavano il via libera perché non ritenevano i numeri reali, cioè la capitalizzazione della Banca di Lodi insufficiente e/o realizzata attraverso operazioni di facciata.

"Ripeto, il governatore deve decidere in base al suo convincimento, non in base a quello dei tecnici. E questi non mettevano in discussione i numeri presentati da Lodi. Questo lo ha certificato anche il Tar del Lazio, che ha stabilito la piena legittimità dell’operato di Fazio. E così il Cicr (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) e la Banca Europea."

Veramente la Bce non si è ancora pronunciata, ha richiesto ulteriori informazioni...

"No. Ha detto che sugli aspetti che finora ha visionato va tutto bene; e vuole nuovi dati su nuove cose.

A questo punto perché il Governatore deve dimettersi? Perché non è simpatico? Perché ha difeso le banche italiane? Secondo me ha fatto solo bene".

Veramente alla riunione dei banchieri europei ha sostenuto di non aver appoggiato le banche italiane, ci mancherebbe...

"Ha autorizzato gli spagnoli e gli olandesi, ed ha sollecitato gli italiani a partecipare anche loro. Questa non è parzialità".

Insomma, Fazio è da ringraziare.

"Ha detto bene. Da ringraziare".

E allora, come mai i giornali esteri ne dicono peste e corna e parlano di perdita di credibilità dell’Italia?

"Ma non è vero! Si tratta delle solite due o tre testate, pagate per questo! Sono stato all’estero, e ho visto che praticamente tutti i giornali di Fazio parlano bene".

Insomma, lei è tornato con la mazzetta di giornali esteri che lodano Fazio. Me ne potrebbe citare qualcuno?

"La prego di non scherzare su questi argomenti. Sono cose serie."

Allora vediamo la cosa da un altro punto di vista. Come mai Siniscalco, Letta, Fini, La Malfa, il segretario del suo partito Follini, Prodi, Rutelli, Fassino..., tutti dicono che Fazio deve dimettersi, perché ha compromesso l’immagine europea dell’Italia? Sono tutti pagati?

"Vediamoli, uno per uno. Siniscalco prima presenta la legge che proroga Fazio nella sua carica, poi viene pesantemente attaccato dal Corriere e cambia idea: le sembra credibile? Idem per La Malfa, che prima lo elogia, poi dice ancora che è bravissimo, ma per opportunità, per il prestigio europeo dell’Italia, è bene che si dimetta. Letta non ha mai rilasciato dichiarazioni contro Fazio, anzi è andato da lui per assicurargli che le dichiarazioni contrarie attribuite a Berlusconi dalla stampa non erano veritiere. Fini ha dapprima anche lui approvato la riforma che blindava Fazio, poi ne ha chiesto le dimissioni per i problemi interni al suo partito che non riesce a tenere assieme. Così Follini, che deve tenersi buono Tabacci, anti-fazista da sempre. In quanto all’opposizione, è variegata, non ha una linea comune".

Veramente l’opposizione è compatta nel ritenere che Fazio debba andarsene perché la sua permanenza è fonte di discredito per l’Italia a livello europeo. Poi non è concorde sulle modalità dell’allontanamento. Ma sul discredito internazionale sono tutti d’accordo. E secondo lei invece all’estero di Fazio parlano bene...

"Scriva queste cose se le pare. Cosa vuole che le dica? In questi termini non riesco a ragionare".

Vuole esprimere qualche altra considerazione?

"Sì. Questa contesa è fuori dalle righe: sembra che l’Italia abbia scatenato la terza guerra mondiale, mentre è solo il destino di due banche di media grandezza. Il fatto è che le lobby stanno utilizzando i circhi mediatici per i loro fini.

Al fondo si scontrano due filosofie. Da una parte l’Europa delle regole, delle burocrazie, dei gruppi economici illuminati: è l’Europa che è andata a sbattere. Dall’altra l’Europa dei valori, delle realtà regionali che devono trovare sintesi, l’Europa dei padri fondatori. L’Europa del mercato darwiniano contro quella della priorità dei cittadini. Ma chi pensa di tenere insieme l’Europa solo con le regole non va da nessuna parte".

Da ultimo chiediamo un giudizio sul caso Fazio all’on. Mauro Betta, della Margherita.

L'on. Mauro Betta (Margherita).

"E’ difficile pronunciarsi non avendo tutte le informazioni: sono ancora in corso indagini della magistratura e di altri organi competenti. Mi sembra comunque, al di là dell’eventuale colpevolezza penale, che il governatore abbia superato il limite di esposizione permessa dal suo ruolo. L’indipendenza del governo della Banca d’Italia è stato un bene, ma ora i sospetti di partigianeria per una condotta non in linea con le attese dei mercati e dell’Europa, impongono le dimissioni".

Il Governatore è stato difeso a spada tratta da Osservatore Romano e Avvenire in quanto banchiere cattolico. Torniamo ai tempi di Marcinkus e Sindona?

"L’Osservatore Romano ha sì sostenuto Fazio, ma scindendo le responsabilità, non si è legato nel giudizio. E complessivamente il mondo cattolico ha avuto posizioni articolate, basti pensare all’associazionismo, dalle Acli ai movimenti, che hanno chiesto le dimissioni. Insomma, è un dibattito aperto".

E’ stato evocato il principio per cui i cattolici devono appoggiare i banchieri cattolici; a me sembra un discorso pericoloso.

"Ma non è particolarmente diffuso: per esempio, non un esponenete della Margherita ha appoggiato il cattolico Fazio".

E che pensa degli appoggi personali come quello del senatore Tarolli?

"Assolutamente legittimi. Peraltro vediamo che il segretario dell’Udc Follini ha tenuto ben altra posizione".

C’è chi critica questo rapporto clientelare/feudale, del singolo parlamentare che si fa portavoce del potente...

"Non darei questa interpretazione. Non ho elementi particolari di conoscenza, ma a me quello tra Fazio e Tarolli sembra un rapporto di reciproca stima".

Veniamo alla sinistra, e ad alcune incertezze anche vistose (che peraltro hanno portato a polemiche molto dure proprio dal suo partito). Alcune dichiarazioni, in particolare di D’Alema, hanno prestato il fianco a critiche e sospetti.

"Per capire bene la vicenda bisogna inserirla nel progetto di riforma del risparmio; D’Alema ha sempre avuto una posizione molto prudente nel toccare ruolo e responsabilità di Bankitalia. Quindi non credo ad una contiguità di D’Alema con Unipol, ma ad una linea più prudente, diversa da quella di Fassino, che D’Alema ha espresso più volte anche in altre circostanze".

Ma non è che a forza di essere prudenti diventate poco efficaci? Su Fazio e sul risparmio, l’opposizione ha intenzione di essere incisiva?

"Si deve andare avanti. Se come opposizione abbiamo una responsabilità, è il non aver stimolato sufficientemente il governo dopo lo scandalo Parmalat a riformare un polo della finanza che oggi non può essere ancora quello dell’Ottocento. Oggi la rappresentanza degli interessi del paese, Bankitalia compresa, deve essere assolutamente adeguata. E gli incarichi a vita non esistono più, neanche per i re".