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QT n. 16, 1 ottobre 2005 Monitor

Nel nome di Mario Luzi

"Gerusalemme, omaggio a Mario Luzi", una bella iniziativa, che su un tema impegnato ha attivato collaborazioni preziose, prima di tutte quella della mattatrice Anna Proclemer. Bene, anche se va rilevato che il risultato scenico non è stato sempre all'altezza.

Non è facile profilare un giudizio complessivo lineare ed uniforme dello spettacolo "Gerusalemme, omaggio a Mario Luzi", svoltosi giovedì 22 settembre al Teatro Sociale di Trento: se da un lato aspetti prettamente scenici, teatrali e di ideazione dell’evento lasciavano piuttosto perplessi, dall’altro, evitando stroncature troppo scontate, non si può che plaudire a tale iniziativa ed a coloro che fortissimamente l’hanno voluta ed organizzata.

Mario Luzi tra due giovani interpreti della serata.

Il progetto di Sergio Filosi, direttore dell’Istituto delle Arti Vittoria, ha avuto effettivamente più di un merito: a tuttora rimane uno dei pochi, se non l’unico, che è riuscito, nel paludoso panorama culturale cittadino, a far attivare collaborazioni e sinergie fra più centri propagatori di arte, in questo caso fra il Conservatorio di Musica Bonporti e l’Istituto delle Arti Vittoria. A ciò si aggiunge la proficua possibilità formativa offerta agli allievi di entrambi gli istituti, che, aspetto non trascurabile, hanno avuto la possibilità di poter vedere realizzate le proprie idee e le proprie opere in un contesto di multidisciplinarietà; inoltre, last but not least, lo sforzo, anche economico, di cercare e trovare una personalità che possa dare lustro e, perché no, una certa visibilità all’intero evento.

Così ad omaggiare Luzi e la sua arte poetica, Filosi è riuscito faticosamente a strappare Anna Proclemer dagli impegni teatrali di Roma ed a riportarla nella natìa Trento; la Proclemer, vera mattatrice della serata, ha offerto un saggio di alta capacità professionale, di navigato mestiere e di un certo divismo d’annata, riuscendo a coinvolgere il pubblico, sensibilmente in difficoltà di fronte all’ermetismo luziano, con vibranti e profonde letture di composizioni del poeta toscano, non risparmiandosi qua e là qualche lezioncina gratuita di arte del verso.

La presentazione di quattro "Parlate" di Luzi, in cui sono confluite declamazione poetica, interventi coreografici e musiche originali appositamente scritte per l’occasione da quattro compositori allievi dei corsi sperimentali superiori del Conservatorio ed eseguite da un ensemble strumentale formato da studenti dello stesso istituto, è stato indubbiamente il momento più significativo della serata.

Le musiche di Maurizio Postai (Lamento di madre musulmana), di Massimo Ongaro (Lamento di madre ebrea), di Alessandro Giannotti (Il giovane musulmano alla sua amata ebrea) e di Michele Sartori (La giovane ebrea al suo amato musulmano) sono risultate efficaci dal punto di vista espressivo e narrativo e di raffinata ed invidiabile fattura artigianale, frutto di un lavoro di ricerca sul testo poetico condotto in modo profondo e intelligente; pur tra loro così differenti, hanno avuto il grande pregio di saper non solo coesistere all’interno di un ciclo poetico unitariamente pensato, ma di esaltarne sorprendentemente le caratteristiche drammatiche e linguistiche, contribuendo a formare la spina dorsale della rappresentazione scenica.

Le impeccabili esecuzioni dell’ensemble del Conservatorio diretto da Giancarlo Guarino e l’acuto ingegno teatrale della Proclemer, che ha rinunciato a vocazioni da prima donna lasciando il debito spazio alle musiche e alla danza, hanno contribuito a creare un quadro organico in cui nessuna delle componenti primeggiava sulle altre, arrivando così ad un notevole e squisito equilibrio delle parti in gioco.

Come si accennava più sopra, sarebbe quindi un po’ troppo facile lanciarsi in feroci critiche allo spettacolo, che effettivamente a tratti ricordava un saggio di fine anno che la presenza di una sorta di celebre madrina contribuiva a rendere più patetico; ma chi scrive è convinto che eventi del genere vadano incentivati e promossi, soprattutto per permettere a varie realtà cittadine di interagire e collaborare, cosa che sembra nessuno sappia e voglia più fare, con l’intento primario di una crescita artistica e culturale di cui si avverte il bisogno.

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