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QT n. 21, 10 dicembre 2005 Servizi

Da via Suffragio a Las Vegas

Viaggio nelle esagerazioni del tempio americano del gioco, dove spennare i polli è un'industria. La triste umanità dei casinos, e quella delle nostrane sale del Bingo.

Il giro per il sud ovest degli Stati Uniti, partenza da Los Angeles e arrivo a San Francisco, prevede una serie di tappe: Meteor Crater, parco di Yosemite, la foresta pietrificata, un paio di cittadine western "ab origine" come Flagstaff e Durango, il deserto dello Utah e il Gran Canyon. In mezzo, ineludibile sirena, Las Vegas!

Superata la Boulder Dam sul fiume Colorado, la diga yankee cui si deve la disidratazione del nord del Messico, la città si preannuncia già da trenta chilometri con un grande bagliore giallastro riflesso dalla foschia del cielo. Altri 20 minuti e, aggirata una collinetta, il chiarore diventa d’incanto una marea di sfavillanti luci senza orizzonte.

Ci arriviamo di lunedì su consiglio di un amico di Trento, da anni a Los Angeles, perché i primi giorni della settimana sono di magra per gli alberghi: pur di far cassa, propongono camere e suites a prezzi da saldo. Proviamo al Sahara, hotel e casinò: quasi un ettaro di slot e tavoli verdi, tre ristoranti, cabaret, sala caffè, cappella per matrimoni, sala meeting, piscina, monorail e suite a 99 dollari. Beh… una volta nella vita si può! E’ al 22° piano, 80 metri quadrati, moquette, poltrone in velluto, sofà in raso rosso, angolo bar, terrazzo panoramico e camera con letto kingsize!

La suite a 99 dollari.

Il panorama è esaltante: di fronte, dalla distesa di luci spunta lo Stratosphere, una torre di 1.149 piedi (350 metri) infilati nella notte; verso sud una fila di grattacieli sui quaranta piani; più in là, abbagliante dal tramonto all’alba, un negozio di regali vanta di essere il più grande del mondo; 18 piani sotto di noi, un ottovolante schizza fuori da un’apertura a forma di moschea ogni dieci minuti per infilarsi nel marciapiede ed uscirne 50 metri avanti, inerpicarsi su una struttura metallica e tornare indietro. Gira anche a vuoto: l’importante è che giri, che trasmetta divertimento!

Cerchiamo di mangiare qualcosa in uno dei ristoranti interni, menù fisso a 7,95: bistecca enorme, formaggio, patata lessa, varie salsine ipercaloriche, pane, verdura e una bevanda non alcolica. Prezzo da mensa aziendale, con un rapporto costo-qualità davvero sproporzionato. Spiegazione: inutile allarmare il cliente con le spese di contorno quando puoi recuperare i soldi, con ottimi interessi, alle macchinette! Sulle pareti del ristorante otto grandi schermi propongono due estrazioni in contemporanea del bingo: incredibilmente c’è chi alterna forchetta e pennarello!

Usciamo per un’occhiata alla città: in cielo un viavai continuo di aerei ed elicotteri, strade a sei corsie strapiene e sui marciapiedi una folla della più svariata umanità: bianchi, neri, orientali, indiani col turbante, messicani, filippini… Unici assenti o ben camuffati, gli arabi.

Grandi cartelloni luminosi incollati ai grattacieli invitano perentoriamente a giocare. Uno si preoccupa addirittura della tua salute: "Stop smoking and play more!". Dappertutto chiesette e cappelle per matrimoni lampo. Passiamo davanti alla "Little Chapel of the Flowers", matrimonio in rete, Internet free, tutto il necessario noleggiabile per pochi soldi. Gli sposi possono andar via in limousine ma anche in autobus come i due incontrati sotto la torre dello Stratosphere.

L’ascensore per la suite è a metà dei cento metri della sala giochi: impossibile resistere! Dieci dollari alla slot? OK, vada per i dieci! La combinazione vincente ogni tanto salta fuori ma la partita è decisamente in perdita: 16 giocate e i nostri dollari cambiano tasche! Meglio andare a dormire, domani sarà un’altra cosa!

Alle 11, infatti, siamo già nel casinò. I locali utilizzano tecniche da centri commerciali per trattenere i clienti: niente orologi, nessun genere di informazione, musica di sottofondo, porte oscurate e poca luce, moquette per ovattare il ticchettio dei passi, pareti fono-assorbenti, niente che possa far pensare che c’è un "di fuori". Le opportunità di gioco sono dovunque, basta avere soldi: slot machine, roulette, tavoli verdi per ogni tipo di gioco a carte, bingo. Per tutti i gusti e le borse: si può giocare anche con la carta di credito. Quando uno vince alla slot, le monete cadono su una lamiera con un baccano percettibile per mezzo casinò, un invito ad insistere per il vincitore o a tentare di rifarsi per i perdenti. Affollatissimi i tavoli da poker. Una ragazza orientale dalla dentatura approssimativa manda avanti un tavolo da poker e manda sorrisi di incoraggiamento ai passanti. In disparte, uno scagnozzo dalla faccia arcigna controlla con discrezione la situazione. I vincenti hanno vari modi di perdere subito quanto guadagnato: rigiocare nella stessa slot o al poker, correre allo Stratosphere con suite da 1.000 dollari o sposarsi, nella cappella del casinò, con qualcuna conosciuta il giorno prima durante il gioco.

Tentiamo la fortuna con limite a 15 dollari a testa. Dopo una serie di puntate senza successo, di colpo saltano fuori 80 dollari e poco dopo altri 15. Aut aut: ci giochiamo la vincita o ci permettiamo un’altra notte nella suite? Meglio la suite! Usciamo in cerca di un ristorante per festeggiare.

Lì vicino ce n’è uno con le solite pietanze: pollo fritto, bistecca di uno strano color rosa, tacos messicani, sushi, piatti tailandesi, vera cucina indiana, vietnamita, hamburger, panini multistrati con dentro di tutto, salsiccia (luganega) con formaggio fuso, salsa e foglia di lattuga: ma chi l’avrà ideato?

Las Vegas di giorno sembra una qualsiasi città americana: grattacieli, case a due piani, freeway, megastore, treni e qualche palazzo. Solo all’imbrunire inizia la sua trasformazione, l’accendersi delle luci la fa diventare fantastica, una vera o forse la vera Ville Lumière del mondo. Cresciuta nel mito degli investimenti mafiosi, la città in realtà è stata costruita sul plusvalore delle scommesse. Praticamente ogni anno, un nuovo casinò più sfarzoso di qualsiasi altro precedente, più alto, più dotato, tutto camere, suite e mega suite con eliporto.

La sala del Bingo a Trento.

Viene naturale pensare alla sala Bingo di via Suffragio: improponibile un confronto sui giochi, le dimensioni, il numero di giocatori, le luci, l’organizzazione. Qui girano a migliaia, coppie di anziani, molti turisti orientali, qualche marines agli ozi capuani, e curiosi, gli unici che diano l’idea di esser lì per divertirsi. Accanto a loro, quelli che sperano di dar un colpo di timone alla propria vita, e infine i compulsivi, quel 10% costretto patologicamente al gioco: giocatori single, non guardano da nessuna parte, evitano il contatto oculare e puntano dritti a qualche macchina il più in disparte possibile.

Stessa storia di Trento: anche se i casinò sono mille volte la sala bingo di via Suffragio e le opportunità di scommettere altrettante, i giocatori sono gli stessi, con le stesse facce tristi, la stessa solitudine, la stessa irresistibile disposizione a scommettere.

Aprire casinò anche da noi? Fare di Rimini la Las Vegas d’Europa? Il successo economico non mancherebbe: "Noi italiani - afferma il sociologo Maurizio Fiasco - siamo in testa alla classifica mondiale per versamento pro capite di denaro (271 euro) nei giochi pubblici ‘di alea’ (lotterie, gratta e vinci, ecc.. Destiniamo ai giochi una quota eccessiva del Pil: l’anno scorso, 24 miliardi di euro, e la tendenza è al continuo aumento di questi consumi dissipatori.

Il successo sociale? Nullo: vite trascinate fra una puntata e l’altra, tra un tavolo di poker e scommesse varie, in una rete che imprigiona nella dipendenza giocatori ed intere famiglie.

Riposino pomeridiano a TV accesa per ascoltare la commemorazione del duemillesimo caduto americano in Iraq. Si ricordano anche i caduti del Nevada. Tra essi, un certo Nicholas H. Anderson della 1st Marine Expeditionary Force, morto il 12 novembre 2004 in azione di combattimento presso Al Anbar. Aveva 18 anni ed era di Las Vegas città. Aveva scommesso la propria vita per alcune migliaia di dollari al mese, ma gli è andata male, come a gran parte di questi scommettitori

Il Caesar's Palace

Il giorno dopo lasciamo l’albergo prima di mezzogiorno: da quell’ora in avanti, infatti, l’affitto della suite si considera tacitamente rinnovato al prezzo di 250 dollari. Alle 10 passiamo coi bagagli per la sala: è affollata come alle 23 della sera precedente.

Facciamo un ultimo giro per Las Vegas e i suoi casinò: il Tropicana con una cascata da isola caraibica all’entrata, the Venetian con tanto di ponte di rialto e campanile, Treasure Island con navi pirata in un laghetto limpidissimo, e il Caesar’s Palace, visitato il quale non vale la pena cercarne altri. Gli architetti hanno dato spazio al nostro fantastico immaginario: fontane con zampilli altissimi, viali con statue, piccoli laghi… Dentro, 3-4 ettari di slot machine e tavoli verdi, cappelle, ristoranti, cambiasoldi, guardie con pistola e un pezzo di antica Roma con vie, fontane e statue enormi di romani di duemila anni fa e di personaggi mitologici.

Come lungo le vie della vera Roma, anche qui facce di tutto il mondo. Un orientale si siede sui bordi della fontana di Trevi (che c’entrerà con l’antica Roma?) e si fa fotografare sotto un Cesare maestoso con le chiappe in ammollo e la mano destra che indica vagamente un negozio di Vuitton di là della piazza. Tutta l’area è coperta da una volta, forse in cemento, che nel giro di mezz’ora passa dal buio del tramonto al rosa dell’alba, evitando però accuratamente il mezzogiorno: a qualcuno potrebbe venire in mente di chiedere l’ora e ricordarsi di andare a lavorare. Dentro la temperatura è sui 27 gradi, l’umidità e giusta, davvero una situazione ideale. A chi verrebbe in mente di uscire nei 40° esterni? NA noi, seppure un po’ a malincuore: ci aspetta la California, il parco di Yosemite e il Golden Gate.