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Partito Democratico, luci e ombre del centro sinistra

Verso il Partito Democratico? Se a livello nazionale manca ancora una base valoriale condivisa, a livello locale il nuovo partito sembra essere solo l'uscita di sicurezza dalla crisi della Margherita:

Se continua così, non si sa in che stato arriveremo al giorno delle elezioni il 9 aprile". E’ questa la frase ricorrente che si ritrova nei commenti degli analisti, nei discorsi tra comuni cittadini e addirittura nelle parole degli stessi politici, quando non sono impegnati in insulti, battute o insinuazioni. Se continua così…

Certo, tutti prevedevamo che Silvio Berlusconi in campagna elettorale avrebbe dato il meglio di sé (e il peggio per l’Italia); ma ancora una volta l’uomo è riuscito a sorprenderci. Trasformatosi in delatore giustizialista, pronto all’occupazione militare di tutti i programmi televisivi e radiofonici del giorno e della notte, deciso con un parlamento compiacente ad approvare leggi palesemente incostituzionali ma utili a sé, o addirittura a spostare lo scioglimento delle Camere per poter prolungare la propria sovraesposizione mediatica.

Francesco Rutelli

Se continua così… In questo quadro l’Unione non solo sconta certamente il caso Unipol, ma soprattutto si perde nei suoi soliti problemi tanto incomprensibili quanto identici al passato. Da prodiani convinti ammettiamo che il Professore ci ha fatto cadere le braccia quando, nel mezzo della campagna berlusconiana contro i DS, ripropose l’eterna questione del "partito democratico subito, o faccio la mia lista". Contrariamente alle puntate precedenti, stiracchiate per settimane dagli allegri protagonisti con interviste a distanza, il problema si è risolto (per ora) in 48 ore ed è parso una mera diatriba su soldi, candidature, visibilità. La sostanza però non cambia: Prodi, legittimato dalle primarie e da un forte consenso popolare, resta un generale senza esercito tra i due partiti che lo sostengono e che dovrebbero far nascere il nuovo soggetto politico. Per questo l’unica arma dissuasiva a sua disposizione è l’ultimatum, "o fate così o me ne vado", atteggiamento bellicoso che in vista delle elezioni non può che risolversi velocemente in un accordo, ma che in un futuro non potrà, pena il fallimento, essere la regola nei rapporti all’interno della coalizione. Pensando poi che, una volta trovata la mediazione tra Prodi e l’asse Margherita-DS, si comincia a dover cercare la mediazione con Bertinotti, con Mastella, fino a Pannella, comprendiamo bene quanto debole e attaccabile si presenti il centro sinistra.

In questo quadro con più ombre che luci è difficile intravedere il futuro per l’Italia e soprattutto per quella chimera che, per ora, resta il Partito Democratico. Nell’ipotesi che l’Unione vinca le elezioni (una sconfitta o un sostanziale pareggio segnerebbero comunque la fine del progetto prodiano), rimarrebbero intatti i problemi di fondo che abbiamo evidenziato negli scorsi mesi. Guardando in casa della Margherita, occorre ammettere che dopo le varie giravolte Rutelli ha imbroccato tre importanti elementi a suo favore: ha giocato abilmente in occasione del referendum sulla fecondazione assistita finendo sul carro dei vincitori astensionisti, se ne è stato fuori dalle scalate bancarie estive stigmatizzando giustamente alcuni comportamenti dei concertisti che si sarebbero rivelati reati e infine ha riproposto (non si sa con quale effettiva convinzione) l’idea della lista unitaria. Tuttavia resta la difficoltà di mettere insieme la "svolta cattolica" di Rutelli con certe sensibilità laiche della sinistra, anche se l’anticlericalismo e le posizioni che più irritano le gerarchie sono concentrati nella nuova intesa socialisti-radicali.

Ma all’interno di un unico partito democratico bisognerebbe elaborare una condivisa base valoriale, anche su temi etici molto delicati, di cui per ora non si vede traccia.

Il secondo punto di difficoltà si riscontra nei DS. Da anni alle prese con la definizione del loro approdo ultimo (socialisti europei, sinistra plurale, socialdemocrazia, ulivo, partito democratico, riformismo?), i democratici di sinistra non sembrano pronti per un ulteriore salto in un contenitore dai confini incerti. Inoltre, per fare un solo esempio, il sindaco di Torino Chiamparino (con Rifondazione all’opposizione) spinge molto sul nuovo partito, per lui decisamente riformista: sí deciso alla Torino-Lione, ordine e sicurezza nelle città, sostanziali cambiamenti nel mercato del lavoro in senso di maggiore flessibilità. Il contrario di certe ricette più ambientaliste, più legate al sindacato e agli antichi ideali di sinistra. Nel mezzo, Fassino e D’Alema, che per ora mantengono la barra, ma dopo le elezioni quando verrà il tempo di scelte più chiare, dovranno imboccare una strada decisa che giocoforza dovrà irritare e scontentare qualcuno.

Stranamente ma non tanto, anche qui in Trentino il futuribile Partito Democratico Autonomista sconta i medesimi problemi. Invocato quasi da tutti come la panacea di tutti i mali, rischia di rimanere nel vago dei sogni, chiuso nei problemi delle singole forze politiche.

Il sen. Mauro Betta, segretario della Margherita trentina.

La Margherita di Dellai è in profonda crisi: non tanto per le note vicende roveretane, ma per il modo con cui esse sono state vissute o interpretate (vedi La (pseudo?) svolta etica di Dellai). Desta molta impressione (ma anche un certo compiacimento) vedere gli architetti della Casa dei Trentini trasformati nei sostenitori di quel progetto politico, cioè il Partito Democratico, che solo tre anni fa dileggiavano. Vedere Grisenti propugnatore esagitato di una grande svolta morale e politica, Betta disposto a rivedere gli assetti in giunta, Dellai che sembra ritornato a parti rovesciate nel tempo in cui, nel 1993, auspicava il superamento della Democrazia Cristiana, Lunelli che esalta la trasparenza della Margherita perché col nuovo statuto gli iscritti dovranno essere pubblici... Bene, tutto questo ci dice che il quadro politico interno alla Civica sta cambiando.

Dellai è già "oltre" la Margherita e sembra davvero determinato sulla via di un nuovo partito, questa volta assieme ai DS: nello stesso tempo, però, difende le discutibili nomine di Grandi e Dalla Torre e sostanzialmente non muta i rapporti egemonici con gli alleati. E poi, al di là degli auspici, non si capisce proprio a come questa nuova formazione dovrebbe nascere: unendo i gruppi consiliari in Provincia e nel Comune di Trento? Elaborando un manifesto unitario? Creando commissioni di lavoro o tavoli permanenti? Organizzando una costituente sul territorio? Con quali tempi e soprattutto con quali programmi?

Remo Andreolli, segretario dei Ds trentini.

Si fa presto a dire "in Trentino dobbiamo essere un laboratorio politico" (peccato che questa frase si senta in ogni provincia italiana e in ogni comune grande o piccolo), i cambiamenti epocali si annunciano sempre con troppa facilità.

E quale sarà la classe dirigente del nuovo partito? E’ chiaro che il leader del partito democratico dovrà essere Dellai stesso: ma in casa diessina non tutti sono convinti di questo approdo finale. Restano insoluti alcuni punti: dalle politiche ambientali al rapporto con gli enti locali (può la sinistra convivere con il sistema-Grisenti fatto di contributi alle realtà decentrate in cambio di fedeltà politica o con il sistema-Amistadi, che vuol dire riduzione del Trentino a una sommatoria di potentati di valle?), dalle scelte urbanistiche alle riforme della scuola e della ricerca. E poi il rapporto privilegiato con Malossini, gli screzi nella compagine di giunta e, non ultimo, il disprezzo e il disgusto con cui i vertici della Margherita trattano chiunque osi fare una critica.

Più in generale, il punto di frizione tra sinistra e Margherita risiede – o meglio, dovrebbe risiedere – nella stessa contraddizione originaria del dellaismo, che QT ha più volte sottolineato: pensare di mettere insieme modernizzazione del Trentino e perduranti pratiche dorotee.

Dicevamo, "dovrebbe" risiedere, perché il partito di Remo Andreolli stenta a trovare la propria vocazione definitiva: abbandonata, da ormai tre lustri, la casa paterna (il partito comunista), non sa ancora cosa fare da grande. E gli riesce difficile trovare la propria strada, proprio perché subordinato a quello che ha eletto a fratello maggiore: il debordante (e per certi versi prepotente) Lorenzo Dellai.

In questo quadro è fatale che il Partito Democratico stenti a nascere. Anche se forse, proprio al suo interno, potrebbe svolgersi quel confronto aperto tra vecchio e nuovo, doroteismo e modernizzazione, che risulta sempre più indispensabile.