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“La ragazza del secolo scorso”

Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso. Einaudi, 2005, pp.385, 18.

Appena uscì nel dicembre 2005, corsi da Feltrinelli per comprarlo. L’ ho letto con attenzione e con passione, con la passione di chi è stato comunista in Italia dal 1944 fino allo scioglimento del PCI, dopo la caduta del muro di Berlino. Con la passione e la delusione amara di chi aveva vinto tante battaglie, dalla Resistenza in poi, ma ha visto svanire il suo sogno di costruire in Italia una società nuova, democratica e socialista. Il dramma e la passione della stessa Rossanda, che nel libro si domanda le ragioni del grande inganno, della profanazione dei miti della Rivoluzione avvenuta in URSS, dello spegnersi della luce del 1917, della incapacità del PCI di organizzare e guidare le forze rivoluzionarie in Italia dopo il 1945 per una trasformazione democratica e socialista.

Rossana Rossanda

Questo libro della Rossanda non è un testo di storia, né di analisi critica, ma di riflessioni, di ricordi, di emozioni strettamente intrecciate alla sua attività nel Partito Comunista. Anche chi non ha vissuto quei tempi e quei drammi è preso dall’onda del racconto, dalla sua sincerità, dal genuino dolore della protagonista. Certo non ha la compattezza e il rigore di Emilio Rosini, che nel suo noto libro "L’Ala dell’Angelo" (itinerario di un comunista perplesso) ripercorre la sua storia di comunista, andando alle radici degli errori , delle analisi sbagliate, delle menzogne, senza però dimenticare i grandi meriti del Partito Comunista nella Resistenza, nella conquista della Costituzione, nella trasformazione degli esclusi (milioni di uomini e di donne) in soggetti politici, e nella difesa della democrazia.

Nei limiti di una recensione necessariamente breve, non posso raccontarvi le vicende, anche perché vi priverei del piacere della lettura. Posso fare solo qualche cenno, e una conclusione.

Rossana Rossanda in gioventù, quando ancora il mondo della politica non le interessa (ma già avverte dentro di sé e intorno a sé qualcosa di non detto, di rimosso, di ipocrita, come se tutti respirassero in apnea sotto una cappa di vetro), segue studi umanistici e capita anche all’Università di Padova. Siamo nel 1942-43, quando già molti avevano aperto gli occhi, ma non Rossanda, tutta immersa nei suoi studi. Ma a Padova qualcosa incomincia lentamente ad incrinarsi.

Concetto Marchesi

Le pagine che descrivono l’atmosfera dell’Università sono belle e interessanti: "Padova era integra, anzi il Liviano era stato da poco finito e la grande statua di Arturo Martini, Tito Livio accovacciato come un gatto, era oggetto di lazzi e affetto. Era una Università vera, diversa da quella di Milano ormai rattrappita nelle ex stanze del Collegio reale... A Padova c’era una comunità fra insegnanti e studenti, ci si vedeva nell’Ateneo e fuori in un tempo di precarietà. Marchesi, Valgimigli, Valeri facevano scintillare i testi, scoprivo le Lettere. Concetto Marchesi teneva quello che sarebbe stato il suo ultimo corso, gli Amores di Ovidio e un libro di Sallustio; dalle sue parole vedevamo farsi avanti Messalina splendida come una rosa un poco disfatta, incantando noi male sbocciate, grezze... Era un uomo non alto, elegante, Marchesi, un linguaggio ricercato dall’accento sorprendentemente meridionale, pieno di fascino. Accanto a lui Manara Valgimigli pareva il gigante buono, ci leggeva il canto di Nausicaa e rifiutava di scendere al rifugio se suonava la sirena... Qualche pomeriggio Marchesi, in giacca da camera, ci faceva sentire i dischi non consentiti come Bartòk...

A quel punto era già politica, una politica dei colti contro gli incolti e violenti, una politica accattivante come il primo René Clair e i volumi di Apollinaire e Joyce... Se Venezia taceva, tutta Padova era in ascolto, le orecchie ritte. Roberto Cessi insegnava le guerre del Peloponneso per parlare di democrazia, e Diego Valeri ci leggeva Verlaine. Era come se avessero deciso di nutrirci di cose alte prima che sprofondasse il presente... La mia muraglia fu un poco sconnessa da quella Università... e da lontano rintoccava un venire a fine, un Hic sunt leones".

Hic sunt leones, appunto: la inevitabilità di prendere coscienza, di essere coinvolti dal presente che incombeva, lasciando gli studi leggiadri, di partecipare alla Resistenza, e così sarà anche per la "ragazza del secolo scorso", che come staffetta partigiana nella sua Lombardia rischia la vita.

Una manifestazione studentesca del 1969.

Dopo il 25 aprile comincia la sua tumultuosa vita politica, condotta sempre con coraggio, con lealtà, con determinazione ma con molti dubbi e domande. In poche parole Rossanda rimprovera al PCI di non essersi messo alla testa delle lotte studentesche e operaie nel periodo 1967- 1975 per dare avvio ad una rivoluzione pacifica e democratica verso un socialismo di tipo nuovo (non certo di tipo sovietico che aspramente condannava).

Aveva torto e ragione nello stesso tempo. Secondo me più torto che ragione. E’ vero che in quegli anni il Partito Comunista era fermo e grandi masse potenzialmente rivoluzionarie furono deluse e disperse. Ma se il PCI si fosse messo alla loro testa non avrebbe potuto fermarsi a metà strada (pena la sua stessa fine) ma avrebbe dovuto andare fino in fondo per dare un credibile sbocco politico alle lotte studentesche e operaie. Ciò significava cambiare la natura del potere, i rapporti di proprietà e di produzione, portare alla direzione del Paese (in modo pacifico e democratico) la classe operaia e i partiti che la rappresentavano. Ebbene, è mia convinzione che gli Stati Uniti non lo avrebbero permesso. Sarebbe intervenuta la Nato e l’URSS non sarebbe certo corsa in nostra difesa. L’errore grave che hanno fatto i compagni del "Manifesto" è di non aver tenuto conto dell’esistenza dei blocchi. Analisi quasi perfette le loro, ma fuori del contesto internazionale, fuori dei reali rapporti di forza. L’Italia era nel campo del dollaro, e lì dovevarimanere. Con i sogni nel cassetto o nella valigia.