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QT n. 4, 25 febbraio 2006 Servizi

Le cose da fare, al di là di un letto

Immigrati e senza casa: le considerazioni dell’assessore alle Politiche sociali e del direttore del Punto d’Incontro.

Abbiamo parlato delle misure in essere per affrontare il disagio dei cittadini senza casa con l’assessore comunale di Trento alle Politiche Sociali, Violetta Plotegher "Sono molto preoccupata - dice - della sofferenza che vedo e che aumenta. Oggi, precipitare da una situazione "normale" alla perdita di casa, lavoro e relazioni sociali di protezione è molto più facile che in passato. Bisogna considerare innanzitutto il contesto sociale e normativo in cui ci muoviamo a Trento: la legge provinciale (la 35 del lontano 1983) sulle politiche sociali è vecchia e inadeguata".

Donna del gruppo di ospiti (Rom rumeni, sloggiati dalla Sloi) che hanno trovato rifugio nella Palazzina Liberty.

Negli anni le dinamiche sociali sono molto cambiate: "Ad esempio, le situazioni di povertà femminile sono in preoccupante aumento", come quelle degli immigrati irregolari, per i quali la legge Bossi-Fini - ricorda - "costituisce un doloroso vincolo che noi, come ente pubblico, non possiamo superare, e questo è un altro grave problema.

Un primo elemento da considerare è che la legge attuale centralizza la programmazione e i finanziamenti attribuendoli alla Provincia, rendendo impossibile per il Comune di Trento pianificare autonomamente e spendere in modo più centrato su interventi efficaci nel contesto cittadino".

Per esempio il Punto D’Incontro, la Casa della Giovane, la Casa d’accoglienza Bonomelli sono tutte strutture finanziate direttamente dalla Provincia sulla legge 35.

L’assessore provinciale alle Politiche Sociali, Marta Dalmaso, sta per questo mettendo mano alle varie leggi di settore, per riordinarle e aggiornarle: questo sarà essenziale, - ci dice Plotegher - altrimenti resterà impossibile agire con dei risultati adeguati, e cita l’esempio della città di Modena, dove invece ci si è dotati dei Piani di Zona, flessibili e centrati sulle specificità del tessuto sociale reale. "Abbiamo strutture inadeguate come numero e come modalità che devono essere riorganizzate e dobbiamo aumentare il finanziamento dei servizi, perchè oggi non riusciamo a raggiungere tutti".

Il problema è poi che Trento ri-ceve anche l’affluenza di parte delle situazioni di disagio dalle valli, e anche quella da altre parti del paese, compreso dalla vicina Bolzano, il cui Comune praticamente non fornisce alcun servizio agli immigrati senza permesso di soggiorno.

Contemporaneamente opera un’altra dinamica: la positiva tradizione della società civile trentina di rispondere alle situazioni di disagio in modo solidaristico, anche attraverso il privato sociale e spesso nelle parrocchie. "E’ però una situazione - secondo l’assessore - che seppure molto positiva in sé, ha reso difficile fino ad oggi per l’Amministrazione avere una corretta visibilità dei bisogni che ci sono nel territorio, perché per i cittadini spesso è più facile ricorrere al parroco o alle associazioni che non alle istituzioni pubbliche. Sarà nostro dovere mettere in rete in modo coerente e corretto tutte le realtà che oggi operano nel pubblico e nel privato per questi problemi e rendere accessibile in modo funzionale e omogeneo il servizio".

E su questo Plotegher apre una importante questione: "Dobbiamo riportare la dimensione del disagio sociale in una logica di diritti di cittadinanza, riscrivendo le regole e creando i servizi giusti; mentre ora la questione resta legata ad un concetto di emergenza, di assistenzialismo e solidarismo sociale".

Qui ci avviciniamo alla visione ("estremista" secondo alcuni) dei ragazzi della Palazzina Liberty, per i quali avere un livello minimo di sopravvivenza è un diritto, anche dello sventurato e del migrante irregolare, il che apre tutta una serie di ulteriori problemi.

L'assessore Violetta Plotegher.

Il punto è che dei volontari possono portare gli aiuti a una persona in difficoltà senza chiederle i documenti, e senza preoccuparsi se si stia rispettando rigorosamente la legge Bossi-Fini; il Comune invece questo non può farlo. E comunque oggi la visione dell’istituzione è quella più tradizionale, della carità invece che dei diritti: ad esempio, l’ Unità di Strada è stata istituita solo stornando dei soldi dal Fondo per l’Emergenza, perché questa necessaria struttura non era nemmeno pianificata.

Oltre l’emergenza, però, Plotegher ci indica anche cosa dovremo fare per aiutare le persone a ritrovare una vita di qualità: si tratta della "seconda accoglienza", che coinvolge le sfere del lavoro, il permesso di soggiorno per i cittadini stranieri, il recupero di percorsi di studio e professionalità da ricomporre dopo emigrazione o caduta e impoverimento. Per realizzare questa seconda accoglienza sarà necessario creare una struttura apposita, che per esempio controlli le competenze, le accrediti, ed effettui i passaggi successivi per l’inserimento lavorativo.

Il direttore del Punto d’Incontro, Piergiorgio Bortolotti, ci spiega come ci sia una grande mobilità delle persone coinvolte: nella struttura passano ogni giorno circa 140 persone, con storie, fughe, dolori e problemi diversi, che gli operatori professionali e i volontari preparati con apposita formazione cercano di seguire.

Il Centro offre accoglienza diurna, una doccia calda, un pasto a mezzogiorno, un segretariato sociale. Non tutte queste persone sono realmente senza dimora, nonostante l’apparenza: il problema, per alcune, è che non riescono più a convivere con una "normalità", dalla quale a volte escono per poi rientrare; questa mobilità e la grande difficoltà di rapportarsi con il vissuto e il dolore rendono complesso l’intervento degli operatori. Mentre a volte, la cronaca semplifica una realtà difficile e complessa.

E’ proprio in quest’ottica che Bortolotti vede l’intervento sulla Palazzina Liberty, e più in generale l’azione dei giovani, "meritoria nell’affrontare e rivelare la realtà dell’emergenza. Ma risolvere alla radice il problema, andare oltre i posti letto, richiede professionalità, cautela e conoscenza delle dinamiche, perché altrimenti si può rischiare di fare anche dei danni, di creare delle aspettative, laddove esiste già un lavoro e un progetto precedente per quella persona. Insomma, bisogna che chi interviene sia preparato, e che ci sia sempre collaborazione fra diversi attori."

Da queste conversazioni con persone che ogni giorno vivono il problema, da due punti di vista complementari, emerge che questa complessità fluida e mobile della povertà, del disagio, della esclusione si dovrà affrontare subito e con coraggio, dotandosi di strumenti normativi, finanziari, operativi nuovi e adeguati, ma soprattutto partendo proprio dal concetto di voler affermare innanzitutto i diritti di cittadinanza di ogni persona.

E mi torna alla mente l’immagine di Alex, clandestino di vent’anni, che piange seduto sulla sua valigia, attaccato ad un telefono pubblico, in una gelida piazza Duomo d’inverno a Milano, mentre tanta gente gli scorre accanto. E sorrido ogni volta che guardo quel quadretto di plastica con dentro la sabbia colorata, che se lo giri la sabbia scende giù e il mondo si capovolge di colore per un minuto. Un regalo da lui per un esile aiuto, teso con l’imbarazzo di non sapere cosa stai veramente facendo e per chi.

La Milano da bere di lui se ne infischiava. Chissà cosa ha fatto di lui la legge Bossi-Fini, se un giovane delinquente oppure un uomo disilluso.