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QT n. 9, 6 maggio 2006 Servizi

Tra simboli, religioni e conflitti

Noi e “loro”: un incontro su politiche di integrazione, relativismo culturale ed etico, e insegnamento religioso a scuola.

Maria Dorigatti

Chi parla di simboli, religioni e conflitti in questo momento storico si trova a camminare su un lago ghiacciato in periodo di disgelo; gli argomenti sono delicati e i ragionamenti si scontrano con le emozioni, i valori e le convinzioni. Ma la complessità dei temi non deve portare all’omertà, ma ad un confronto e a un dialogo come quello che è avvenuto la sera del 26 aprile al teatro S. Marco di Trento.

Il teologo Brunetto Salvarani (a sinistra).

Protagonisti della serata sono stati Aboulkheir Breigheche (presidente della Comunità islamica del Trentino Alto Adige), Adel Jabbar (sociologo e ricercatore nell’ambito dei processi migratori e interculturali), Annamaria Rivera (docente di Etnologia all’Università di Bari), Brunetto Salvarani (teologo impegnato nel dialogo interreligioso) e un pubblico non molto folto forse a causa di una partita di Champions League, ma attivo e attento.

I relatori hanno affrontato alcuni temi aperti, come il superamento dei modelli di convivenza francese ed anglosassone, la mancanza di una strategia italiana per l’integrazione, le immagini e i pregiudizi sulle minoranze e il ruolo dell’educazione religiosa nella scuola.

Annamaria Rivera ha analizzato i diversi modi con cui i Paesi occidentali hanno affrontato il fenomeno della convivenza di comunità diverse sullo stesso territorio e come questi modelli non siano più in grado di rispondere alle problematiche odierne.

Da una parte troviamo il modello cosiddetto multiculturale che è stato fino ad oggi quello americano e inglese, in cui le varie comunità vivono sullo stesso territorio, ma separate; qui l’identità culturale rimane intatta, ma è esclusa la conoscenza reciproca. Questo modello, se da una parte ha permesso la convivenza tra culture diverse, non ha però consentito un dialogo, ed anzi ha prodotto diffidenza e paura del vicino, specialmente oggi che sempre più aleggia l’idea di uno scontro di civiltà.

Dall’altra parte troviamo il modello universalista, bandiera della Francia, che attraverso la garanzia degli stessi diritti e basandosi sul principio di uguaglianza mira all’assimilazione degli immigrati negando le specificità culturali in nome di un universalismo dietro cui forse si nasconde un francocentrismo che possiamo riscontrare nella legge contro l’ostentazione dei simboli religiosi, rivelatasi in ultima analisi una legge contro il velo islamico. Anche questo modello mostra profonde crepe, chiaramente emerse con le rivolte dell’autunno scorso nelle periferie francesi.

Insomma, questi due modelli ci costringono a rappresentare i gruppi minoritari come un’alterità contrapposta (il multiculturalismo anglosassone) o del tutto assimilabile (l’universalismo francese).

E in Italia? Da noi non esiste una linea coerente; si punta più che altro ad una integrazione individuale negando quella collettiva. Un ostacolo forte a una politica più costruttiva sull’integrazione è la ricorrente polemica sul cosiddetto relativismo culturale, che Annamaria Rivera annovera fra le retoriche contemporanee alimentatrici di pregiudizi e stereotipi sulle minoranze. I sostenitori di questa battaglia sostengono che il relativismo culturale porterebbe ad una negazione dei diritti e dei valori universali. Ma questa polemica confonde il relativismo culturale e quello etico; il primo sostiene la necessità di accettare e valorizzare tutte le culture e le religioni, mentre il secondo nega l’esistenza di principi etici universali. Questi due concetti molto diversi vengono erroneamente mischiati, diffondendo nelle persone la paura di perdere la propria identità.

Da qui l’esigenza di smontare e analizzare queste retoriche e di saper riconoscere i pregiudizi in quanto tali, per poi intraprendere un percorso di costruzione di nuovi discorsi che portino ad un’idea di umanità universale, in un processo aperto, in cui i limiti non siano fissati una volta per sempre.

Se vogliamo costruire un’idea più alta di concittadinanza che vada al di là della nazionalità, non si dovrebbero neutralizzare le differenze, ma coniugare diritti umani e culture locali rendendoli così effettivamente concreti.

L’educazione religiosa nella scuola è stato invece l’argomento trattato da Brunetto Salvarani: punto di partenza, la dibattuta proposta trentina di istituire un’ora di islam a scuola. Questa idea - dice il teologo - è il sintomo positivo di un’aria nuova che sottolinea l’esigenza nella comunità trentina di dare voce a una realtà che ha una sua identità e che chiede uno spazio per esprimersi e crescere. Tuttavia, secondo Salvarani, l’istituzione dell’ora di islam non è necessariamente la soluzione che aiuterebbe il nostro Paese ad uscire da una ignoranza religiosa che lo caratterizza e che aiuterebbe concretamente il dialogo interreligioso richiesto da molte parti. Un’ora di islam a scuola per gli studenti musulmani, o un’ora di buddhismo per gli alunni buddhisti e così via rischierebbe di portare ad una pericolosa balcanizzazione della scuola e alla creazione di ghetti e chiusure reciproche.

La proposta coraggiosa cui Salvarani aderisce (e che su QT si è più volte dibattuto, vedi La necessità di un'ora delle religioni ) è l’istituzione di un’ora delle religioni in cui si studino le religioni sia dal punto di vista storico che da quello spirituale ed emozionale. Il pensiero religioso può essere visto come una chiave di lettura, come una modalità di interpretare il mondo. Così come in filosofia non è importante stare dalla parte di Hegel o di Kant, ma studiare il pensiero filosofico, così nell’idea di un’ora delle religioni c’è la speranza di dare vita ad un modo di pensare che credenti di tutte le fedi e non credenti possano usare per conoscere il mondo, se stessi e gli altri. Un’ora in cui ci sia una riflessione disincantata e aperta sulla religione intesa come una dimensione cui hanno diritto tutti gli alunni della scuola italiana.

A questo proposito il teologo cita l’esempio dell’università di Bradford, in Inghilterra, che ha messo insieme i leader delle comunità religiose, insegnanti ed educatori, per creare un syllabus condiviso per un’ora delle religioni.

Esistono in Italia molte esperienze che sperimentano veramente e concretamente il dialogo interreligioso, come l’iniziativa "Camminare insieme" a Sassuolo, "Cantieri del dialogo" a Verona, la "Giornata del dialogo cristiano-islamico". Sono tutte proposte che partono dal basso, così come dal basso partono le iniziative degli insegnanti di religione che cercano di aprire la loro ora a tutte le religioni per far fronte almeno in parte alla dilagante ignoranza religiosa. Ci troviamo così di fronte ad un pluralismo religioso che è accettato di fatto, ma non di diritto, che la base coltiva, ma che non trova ancora una risposta soddisfacente dai vertici politici e religiosi. Eppure ci sono alcuni segnali positivi anche dall’alto, come la neonata Consulta islamica voluta dal ministro Pisanu, che è certamente un segno di dialogo. Anche se la strada da percorrere per una convinta apertura al dialogo interreligioso è ancora lunga e ostacolata da pregiudizi e giochi di potere.

Al termine della conferenza abbiamo intervistato brevemente il dott. Aboulkheir Breigheche per capire la posizione della Comunità islamica del Trentino Alto Adige sulla proposta di "ora di islam" a scuola.

Aboulkheir Breigheche, presidente della Comunità islamica del Trentino Alto Adige.

"Vorremmo un’opportunità per gli alunni musulmani – ci dice Breigeche - di imparare la religione islamica in uno spazio pubblico per evitare una pericolosa ghettizzazione già presente in alcune città. In questo senso la scuola pubblica sarebbe il posto ideale. Tuttavia l’istituzione dell’ora di religione islamica non vuole essere un’imposizione per tutte le scuole regionali, ma una possibilità per alcune realtà dove ci sia un numero considerevole di alunni musulmani e dove ne venga fatta richiesta. Indispensabile però è che i programmi e gli insegnanti siano approvati dall’amministrazione pubblica in collaborazione con le comunità islamiche per evitare un eventuale orientamento integralista."

L’idea dell’ora delle religioni non sembra convincere del tutto il portavoce della Comunità islamica, che teme che un insegnamento di questo tipo possa portare ad un appiattimento e ad una generalizzazione delle religioni: "Anche noi riconosciamo l’importanza della conoscenza delle altre religioni, ma la storia e le basi di queste vengono già affrontate in altre materie scolastiche come la storia. Non c’è invece da parte della nostra comunità l’esigenza di creare delle scuole islamiche vere e proprie perché in questo momento porterebbero solo a pericolose ghettizzazioni: meglio che i nostri studenti studino nelle scuole pubbliche, con programmi italiani, ma con qualche specificità".

Gli spunti di riflessioni scaturiti durante la conferenza da parte dei relatori e del pubblico sono stati molti, così come l’esigenza di continuare sulla strada del dialogo interreligioso e del confronto. Speriamo che le iniziative di dialogo dal basso di cui ha parlato Brunetto Salvarani continuino a nascere e crescere anche nella nostra provincia aiutandoci a costruire veramente una nuova umanità universale.