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QT n. 12, 17 giugno 2006 Servizi

L’Europa è in crisi, viva l’Europa

Far di necessità, virtù: l’Europa è disunita? Allora la diversità è un pregio. Il complesso dibattito sull’Europa.

Quale modello di stato sociale? Quale rapporto con gli immensi problemi creati dall’ingresso di oltre 3 miliardi di consumatori? A queste domande che abbiamo visto negli articoli precedenti, e ad altre sollevate nel festival, si può rispondere solo prendendo in considerazione l’Europa.

Ralf Dahrendorf

Ecco perché l’Unione Europea e il suo ruolo nella globalizzazione è stato uno dei filoni che hanno segnato il Festival dell’Economia. Il ministro Padoa Schioppa, studiosi del calibro di Bauman e Dahrendorf, economisti come Atkinson o Alberto Alesina han dedicato sostanziose parti dei loro interventi proprio alle problematiche europee partendo da analisi simili ma non sovrapponibili e giungendo a conclusioni variegate se non contrapposte tra loro. Cerchiamo di trovare in questa complicata matassa un filo conduttore.

L’inclinazione prevalente è stata quella di fare di necessità virtù. Accettare le difficoltà e volgerle in positivo. Atteggiamento probabilmente realistico e saggio, ma che in certi momenti è sembrato assomigliare al classico "che m’importa, tanto l’uva è acerba" di esopiana memoria.

Dunque, l’Europa si trova in un momento di crisi politica e istituzionale. Il fallimento ormai quasi certificato del progetto di Costituzione causato certo dal no ai referendum in Francia e Olanda, ma favorito dalla freddezza di molti altri Stati, è la base di partenza per ogni ragionamento. Tuttavia, come ha segnalato più di altri Zygmund Bauman, la crisi dell’Europa rispetto allo scenario mondiale è per lo meno trentennale. Fino agli anni ‘70 il vecchio continente, pur diviso dalla guerra fredda, era al centro dell’interesse del mondo: se si andava in Africa, Asia o in America latina (questo l’esempio di Bauman), la domanda ricorrente era: "Cosa accade, di che si parla, che scelte si fanno in Europa?". Era quello il luogo in cui si decidevano le sorti del mondo. Oggi non solo c’è Washington con la sua supremazia economica e soprattutto militare, ma anche Pechino o Nuova Delhi con la loro crescita incontenibile (del PIL, di tecnologia, di professionalità, di cultura); e presto si affacceranno sulla scena stati come il Brasile e il Sudafrica. Anche nelle aree di crisi come il Medio Oriente, l’Europa è debole e divisa: morale della favola, gli europei possono essere solo utili partner, comparse su una scena scritta altrove da altri. Che può fare il vecchio continente in questo frangente? Su questo tema la frattura tra europeisti ed euroscettici è netta.

Il ministro dell'economia Tommaso Padoa Schioppa.

Padoa Schioppa evidenziava quanto l’introduzione dell’euro avesse modificato la percezione dell’Europa nelle più influenti piazze finanziarie mondiali; Dahrendorf invece, euroscettico della prima ora e propugnatore dell’idea inglese di un’Europa leggera intesa come semplice area di libero scambio (cosa che per altro non avviene ancora, visto il protezionismo nazionale), non dava importanza alla moneta unica, mai citata nel suo intervento e vista come un dato ininfluente per l’economia e per la politica europea.

Superfluo affermare che la posizione del nostro ministro convince di più, cogliendo nella "pazienza attiva" (come s’intitola un suo recente libro dedicato a questi temi) l’unico atteggiamento utile per superare la crisi. Bauman invece sosteneva che bisogna cercare fuori dall’economia gli ambiti in cui l’Europa potrebbe ancora svolgere un ruolo. Si tratta della capacità di comporre le differenze, di trasformare il variegato mosaico di culture, interessi, priorità in un’occasione di progresso e non di tensione e di conflitto come avviene nelle altre zone del pianeta.

Nel declino, avvenuto, dell’Europa Bauman vede parallelismi e contrasti con quello, in corso, degli Stati Uniti.

Anche loro non sono più all’avanguardia, né nell’economia, né nella tecnologia, nel pensiero e nel costume; lo sono esclusivamente come potenza militare. E conseguentemente tendono a interpretare e risolvere ogni problema come militare. Ed ecco quindi il potenziale prezioso dell’Europa, la sua riserva culturale e politica, la capacità di affrontare le differenze in termini positivi.

Zygmund Bauman

Questo è quanto oggi il vecchio continente può fornire al resto del mondo; piuttosto che rincorrere l’egemonia militare americana o ipotizzare una zona iperliberista e ipercompetitiva, secondo quanto indicava la futuribile quanto inapplicabile agenda di Lisbona.

Questo scenario proposto da Bauman, di un’Europa come spazio di civiltà, modello utile alla creazione di altri organismi sovranazionali (per esempio l’Unione africana o il progetto di cooperazione tra i Paesi sudamericani), e come possibile luogo dove identità e differenza convivono pacificamente, è un orizzonte affascinante, ma che rischia di annebbiarsi di fronte a un preoccupante stallo politico. Solo se l’Europa politica funziona potrà essere presa come modello.

In secondo luogo è proprio vero che il vecchio continente è in grado di comporre le differenze? Differenze che riguardano certamente gli aspetti culturali (vedi l’immigrazione o le varie identità nazionali) ma che sempre più investono la società nel suo insieme con l’allargarsi della forbice fra ricchi e poveri, il diffuso problema del precariato, il sistema di sicurezze e tutele sociali.

E qui ritorniamo agli altri interrogativi (vedi Ricchezza e povertà). Della serie: tutto si lega