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QT n. 7, 6 aprile 2007 L’editoriale

I talebani come le B.R.?

Con terroristi e ricattatori, trattativa o fermezza? Ragioniamo...

Daniele Mastrogiacomo

Piero Fassino, commentando la liberazione di Mastrogiacomo che è costata la scarcerazione di cinque talebani, si è chiesto se forse non sarebbe stato giusto trattare anche con le Brigate Rosse per ottenere la liberazione di Aldo Moro. La questione è tremenda, e poiché Fassino è una persona onesta, se la è posta in termini problematici, quasi facendo intendere che in quei terribili giorni del 1978 forse Berlinguer e Zaccagnini sbagliarono.

Io credo che Fassino non abbia dedicato una adeguata riflessione al problema, poiché le due situazioni poste a confronto a me sembrano assolutamente non paragonabili. Le Brigate Rosse operavano entro un ordinamento democratico che garantiva ogni forma di lotta rispettosa della legalità. Vero è che vi era in gioco la vita di Aldo Moro, bene di altissimo valore, ma già si era pagato il prezzo della vita degli agenti della sua scorta. Trattare in quelle condizioni significava riconoscere il potere della violenza criminale e quindi distruggere ogni valore su cui si fonda uno stato democratico. Non erano in gioco principi astratti, bensì la stessa concreta capacità di un ordinamento civile di reggere all’attacco di una minoranza fanatica e violenta. Negoziare la liberazione di Moro sotto la minaccia del suo assassinio comportava la resa incondizionata, aprendo il varco ad una incontrollabile reiterazione di aggressioni che avrebbero condotto al disfacimento di ogni ordine civile. Semmai il dubbio su quei tragici giorni riguarda altri aspetti di quella vicenda per alcuni versi ancora misteriosa. Resta il sospetto che non si sia fatto tutto quello che si sarebbe potuto per snidare i sequestratori, e ignoriamo se ciò sia avvenuto per negligenza o per connivenza.

I talebani operano in una condizione del tutto diversa. In Afganistan vi sono truppe straniere, anche italiane con quelle della NATO. Per una operazione autorizzata dall’ONU, ma sono pur sempre truppe di occupazione. Per aiutare il governo legittimo di Karzaj, che però controlla solo una piccola parte del territorio. Vi si combatte insomma una vera e propria guerra. Una guerra, come si dice oggi, asimmetrica. Da una parte combattono eserciti regolari con armi e metodi tradizionali, dall’altra gruppi irregolari, con metodi da guerriglia, che usano i kamikaze ed i sequestri di civili, cioè metodi che configurano appunto il terrorismo. Ma i talebani non sono isolati dal loro popolo: hanno combattuto prima contro i sovietici, combattono ora contro gli occidentali, e favoriscono un’economia basata sulla coltivazione della droga.

Hanno sicuramente torto, e per questo sono nostri nemici. E’ lecito dubitare che la presenza degli eserciti della NATO sia il mezzo più efficace per risanare quel paese. Ma sta di fatto che tali eserciti ci sono e fanno la guerra. In questo contesto uno scambio di prigionieri rientra nella normale prassi fra belligeranti. Tanto più che nel caso di Mastrogiacomo si è trattato di scambiare la vita del giornalista di Repubblica con la sola liberazione, non già la vita, di cinque prigionieri nemici.

Del resto fin dai primi giorni della cattura di Mastrogiacomo si è saputo che i talebani chiedevano in cambio della sua vita la liberazione di cinque prigionieri ed il ritiro delle truppe italiane in Afghanistan. Nei lunghi trepidi giorni del negoziato condotto dal Governo con l’ausilio di Gino Strada non si è levata nessuna voce contraria a tale ipotesi. Solo a liberazione avvenuta è montata la canea e si è denunciato lo scandalo. Una volgare speculazione politica costruita dall’opposizione con l’accompagnamento della lobby mediatica. Tanto che si è giunti a drammatizzare il voto che il Parlamento è stato chiamato ad esprimere sul provvedimento che finanza la missione dei nostri soldati a Kabul. A drammatizzarlo al punto da pretendere, e far credere, che se il Governo non avesse ottenuto anche al Senato la "sua" maggioranza, avrebbe dovuto dimettersi. Ciò che è pura follia, posto che "il voto contrario di una o entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni", come statuisce il IV comma dell’art. 94 della Costituzione: e questi pretendevano le dimissioni del Governo per il caso che la sua proposta fosse stata approvata! Ed è stata approvata con larga maggioranza, con l’apporto anche di una parte dell’opposizione.

A leggere i giornali ed a sentire le televisioni non si direbbe, ma a me pare che da un po’ di tempo al povero Silvio vada tutto maluccio. E che Prodi, nonostante le manchevolezze, regga. E intanto Mussi sta per fare una scissione: lo capirei se fosse per fare o sognare la rivoluzione, ma per restare nella stessa coalizione e continuare a fare il ministro, vi sembra una cosa seria?