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QT n. 9, ottobre 2009 Trentagiorni

Folgarida-Marilleva, chi paga?

Sembra avviata a soluzione la crisi della società impiantistica della Val di Sole. Un po’ di soldi (3,5 milioni) sono stati raccolti tra albergatori e operatori della valle; altri ce ne dovranno mettere i Comuni; interviene la Cooperazione; le Casse Rurali, le altre banche creditrici e ulteriori creditori convertiranno il credito in azioni della “nuova” società; mamma Provincia interverrà attraverso Trentino Sviluppo comperando a caro prezzo (25 milioni) l’impianto di Daolasa-Mastellina e riaffittandolo in lease-back; ma soprattutto si effettuerà una colossale operazione di maquillage finanziario, rivalutando, e di molto, tutte le proprietà della società.

L’attenzione dei commentatori si è appuntata sulla ventilata scalata della società in crisi da parte della contigua Funivie Campiglio spa: una acquisizione/fusione razionale sul piano industriale, fortemente supportata dal presidente Dellai, andata in fumo, dicono, per una sorta di patriottismo valligiano, dei solandri che non hanno voluto essere espropriati dai rendeneri.

A noi invece preoccupa un altro aspetto. Preoccupa il miracolo finanziario. La Folgarida Marilleva, in seguito a sciagurate speculazioni edilizie all’aeroporto di Venezia (per le quali la magistratura ha messo in galera i rampanti di valle fratelli Poletti, e sotto inchiesta il patron della società Ernesto Bertoli) aveva (ha) un debito di 135 milioni. La società è sana, si dice ed è vero, ma ogni anno ha un attivo sui 3 milioni di euro, che rispetto ai 135 milioni sono bruscolini; come bruscolini sono i 3,5 milioni raccolti dai pur volenterosi operatori di valle. Insomma, questi 135 milioni, chi li paga?

Sono stati drasticamente ridotti attraverso le rivalutazioni del valore delle proprietà, ci informano. Appunto, maquillage finanziario. Noi rimaniamo fortemente preoccupati.

Avevamo detto che, di fronte a un fallimento dovuto a demenziali speculazioni andate a male, era meglio lasciare gli speculatori (e gli stolti che in loro avevano creduto) di fronte alle loro responsabilità. Insomma, lasciarli fallire. Poi l’ente pubblico, gli operatori locali, la Campiglio spa avrebbero potuto ricomperare gli asset della società, vitali per l’economia di valle, e riprendere l’attività. Ma pagando quello che essi valgono, senza accollarsi gli astronomici costi degli strascichi delle speculazioni.

Invece si è scelta un’altra strada. Perché oltre ai Poletti, oltre alla famiglia Bertoli, oltre al Gatto e alla Volpe, nel gigantesco debito sono coinvolti tanti Pinocchietti, i furbetti di valle che hanno creduto alla favola dell’albero dagli zecchini d’oro.

Di qui questa soluzione. Che a noi sembra francamente molto ma molto pasticciata.

Non vorremmo che alla fine, a pagare per furbi e furbetti, sia chiamato ancora Pantalone.