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QT n. 11, dicembre 2009 Trentagiorni

La nostra borghesia

Era quasi piena la platea del Teatro Sociale, e così i primi due ordini di palchi, per la mattinata di (auto)celebrazione dell’ottantesimo dalla nascita di ISA, la potente finanziaria della Curia. Ospiti eccellenti, il gotha dell’economia locale e non solo: Giovanni Bazoli presidente di Banca Intesa, Giovanni Guzzetti presidente di Cariplo, monsignor Fasani, economo della Cei, Paolo Bedoni presidente di Cattolica Assicurazioni, Roberto Nicastro deputy ceo (Chief executive officer, insomma uno che conta) di Unicredit, e poi ancora Mittel, Sparkasse, Confindustria di Verona...

Tema: “Etica e impresa”. E qui viene subito da ridere. Sì, perché era da poco stato pubblicato il servizio di QT su “gli affari del vescovo”, cioè le modalità non proprio etiche con cui l’ISA fa fruttare il proprio patrimonio, dai finanziamenti al traffico d’armi alle speculazioni edilizie. Voi pensate che il convegno ribattesse alle contestazioni? O almeno presentasse una diversa visione dell’etica, al cui interno, per esempio, la speculazione edilizia non è un peccato? Illusi; i relatori erano invece impegnatissimi a farsi transitare l’aria nella bocca, a parlare senza nulla dire, in base a un unico concetto, ripetuto fino alla nausea: ISA è una finanziaria improntata all’etica, quindi tutto quello che fa è etico. Un plateale ribaltamento della logica, possibile solo grazie all’arroganza sia di chi parlava come delle teste che, in platea, annuivano. Noi, che abbiamo soldi e potere, ci dichiariamo dei benefattori; e quindi lo siamo.

In parallelo il Trentino (di cui l’Isa è proprietaria) e L’Adige, sulle loro pagine plaudivano e santificavano.

Ma oltre all’annoso problema della stampa zerbino dei poteri forti, ci fa specie un altro interrogativo. La mattinata, ve lo assicuriamo, è stata noiosissima, l’unico momento interessante è stato l’intermezzo musicale con Maurizio Dini Ciacci al pianoforte, altrimenti era tutto un bla bla penoso: venire da Brescia o Milano per sorbirsi tre ore di vacuità deve essere roba da spararsi. Ora, anche a prescindere da temi come l’etica (o l’ipocrisia), viene da chiedersi: una borghesia che si crogiola in queste farsesche autocelebrazioni, che livello intellettuale, culturale, ha mai?

Lo confessiamo, non abbiamo retto fino in fondo. All’ennesima banalità pomposamente servita come “riflessione”, usciamo dal teatro. Per strada incontriamo Maurizio Dini Ciacci, che da tempo aveva tagliato la corda. “Il tuo intermezzo è stata l’unica cosa interessante in una mattinata disastrosa” gli confidiamo. Presuntuoso ma sincero, allarga le braccia: “Mi capita spesso...”

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