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QT n. 16, 2 ottobre 2004 Servizi

La caduta degli intoccabili

Non si poteva rimanere indifferenti, vedendo in televisione l’avv. Mengoni mentre rispondeva alle domande sulle proprie disgrazie giudiziarie. Più che le domande, deferenti, impietose erano le telecamere, che inquadravano un volto teso, scavato, di persona provata dalla sfortuna, che con frasi non sempre lineari confessava l’immane peso di una vicenda che gli aveva sconvolto la vita, e non solo quella pubblica.

"Ma perché continuate a prendervela con il Mengoni?" - ci hanno, detto in parecchi negli ultimi mesi "Se ha rubato, l’ha fatto per il partito. E in fin dei conti, per questo ha già pagato".

Ecco, con tutta la solidarietà umana che si può avere per il potente in disgrazia (a chi non verrebbe l’istinto di dare un cavallo, a prescindere dalla metà del suo regno, al pur abominevole Riccardo III sconfitto sul campo?) non possiamo condividere le posizioni emotive, a volte sincere, talora pelose, come quella espressa sopra. Siamo per una giustizia assolutamente non vendicativa, se si vuole anche mite; ma che dica una parola chiara sui limiti che anche i potenti devono rispettare.

E difatti in tutti questi anni la vicenda Torri, di per sé macroscopica, e per di più con il suo trascinarsi apparentemente inconcludente, con gli inopportuni - e ormai proverbiali - interventi del Procuratore della Repubblica, è apparsa emblematica delle difficoltà della giustizia ad occuparsi dei potenti. In quanti, apprendendo del rinvio a giudizio di Mengoni, non hanno creduto, alle loro orecchie! E non perché credessero all’innocenza degli imputati, bensì alla loro intoccabilità. Convinzione questa non certo limitata all’opinione della gente comune, ma che sembra essere stata assunta anche dagli imputati eccellenti e ne abbia permeato il comportamento processuale, come testimoniato in numerosi passi della motivazione del giudice Ancona, che ripetutamente sottolinea negli imputati "una sorta di vera e propria indifferenza, anche nei confronti della pur evidente necessità di difendersi" e ancora "una tenace resistenza alla tentazione di contribuire in qualunque modo, sia pure in senso a loro favorevole, alla prosecuzione delle indagini".

Un contesto difficile quindi, quello in cui il giudice si è trovato a dover prendere la decisione di rinvio a giudizio. Ma una decisione doverosa ed equilibrata.

Ci preme sottolineare l’importanza "sociale" di questo approdo giudiziario. Il primo aspetto riguarda la questione morale che, del tutto inopinatamente, è stata posta in un angolo anche dalle forze di opposizione, anche nella recente campagna elettorale. Il che può non essere del tutto negativo: senza le inevitabili enfasi della competizione elettorale il tema può ora (e a nostro giudizio deve) essere ripreso, con equilibrio ma anche con fermezza.

I dati che emergono dalle famose perizie sulle Torri sono impressionanti. La costruzione è costata (compreso l’utile d’impresa) molto meno di 10 miliardi, il terreno 1 miliardo, il progetto dell’architetto di grido 800 milioni: questo il costo dell’immobile se, come detta il buon senso e la legge, si fosse proceduto alla regolare gara d’appalto condotta dagli Uffici tecnici provinciali o dall’ITEA. Invece i miliardi spesi sono stati 27,9: questo è trasferimento di denaro pubblico ai privati, coscientemente e deliberatamente perseguito (e quindi non vediamo come, a prescindere dagli eventuali pagamenti di tangenti, forse non sufficientemente provati, non sia addebitabile agli imputati il reato di peculato per distrazione).

E il caso Torri è solo l’esempio più macroscopico di un malcostume che in questi anni ha imperversato: oltre al ben noto (e per ora arenato) caso del Centro Europa, abbiamo tutta una serie di edifici per uffici pubblici e parapubblici acquistati a trattativa privata. È di questi giorni la decisione addirittura dell’ITEA - vale a dire l’Ente preposto all’edilizia pubblica - di acquistare chiavi in mano, invece di costruire, la propria sede: contro simili sconcezze riteniamo si debbano chiamare a raccolta tutte le forze che non intendono mischiarsi col partito degli affarismi, tutt’altro che emarginato con la defenestrazione di Mengoni (…)

E qui veniamo ad un altro aspetto che abbiamo spesso denunciato e che il giudice viene a confermare: l’assoluta casualità urbanistica di queste importanti scelte costruttive.

Il dott. Ancona infatti ci spiega negli atti giudiziari come Mengoni, nel giro di meno di un anno, abbia cambiato radicalmente indirizzo sullo sviluppo urbano di Trento: nel giugno dell’80 negava validità ad una espansione direzionale di Trento-Nord, nel febbraio ’81 lanciava l’operazione Torri.

E questo è forse il punto che porta alle conseguenze più gravi: la rincorsa di questi "affari" prescinde da qualsiasi razionale progetto sull’assetto della città. Lo sviluppo di Trento, la riorganizzazione urbana, la razionalizzazione del traffico sono delle variabili dipendenti dal casuale spostarsi delle occasioni speculative.

Di questo spesso abbiamo parlato. Ma il lungo lavoro dei giudici, come emerge dalla motivazione di Ancona, porta a galla anche aspetti più torbidi, che finora erano rimasti sommersi. Alludiamo ai rapporti tutt’altro che limpidi fra i centri del potere politico, organismi finanziari, mondo dell’informazione. E’ la parte forse più interessante e perfino avvincente della relazione, in cui esplicitamente si parla di "riserve occulte"; di "modalità con cui normalmente avvengono i pagamenti di prezzi di estorsioni, collusioni, corruzioni"; di una Congregazione dei Figli di Maria Immacolata le cui risorse vengono usate per rocambolesche manovre finanziarie; di investimenti in borsa apparentemente suicidi su titoli di società con attività prevalente in Iran e quindi destinati all’immediato crollo; di "importi messi a disposizione del partito della Democrazia Cristiana"; di linee politiche di giornali radicalmente modificate da un giorno all’altro. Un verminaio insomma. Tolto il sasso dello scandaloTorri, il putridume viene allo scoperto.

Ma proprio qui si apre il problema di fondo. La società trentina, nel suo complesso, è sufficientemente matura per affrontare le conseguenze e le implicazioni di uno scandalo che affonda le radici così a fondo in alcune strutture del potere locale? E’ questo l’interrogativo, per niente retorico, che è sotteso all’intera vicenda.

Insomma il nostro giornale, il giudice che rinvia a giudizio, sono solo dei romantici Don Chisciotte? (…)

16 dicembre 1988