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QT n. 2, febbraio 2013 Trentagiorni

L’inno

Goran Bregovic

Non si sa da dove cominciare, perché le polemiche sull’inno dei mondiali di sci nordico di Fiemme, scoppiate come una raffica di fuochi artificiali finendo per coinvolgere tutti gli aspetti della faccenda, ci sembrano un frullato di qualunquismi e di ragionevolezza su entrambi i fronti. Dunque, una cosa per volta.

Prima contestazione: Goran Bregovic, musicista nato a Sarajevo da padre croato e madre serba, ha ideato una musica tipicamente balcanica, che nulla ha a che fare con la trentinità, mentre il testo neppure cita la valle di Fiemme. Ma insomma - si può obiettare - più che un inno serve un jingle che introduca i servizi televisivi, e l’importante è che sia orecchiabile. Si voleva forse una versione sciistica del “Signore delle cime”? Fuori luogo ci sembra invece la difesa del presidente Pacher, per il quale occorreva ingaggiare un nome noto e che per di più, come Bregovic, “viene da un’area europea che ha subìto il dramma della guerra ed è impegnato per il dialogo in Bosnia e nei Balcani”. Un impegno lodevole, ma che c’entra?

Peggio ancora fa Pietro Degodenz, presidente del Comitato dei mondiali, che dopo aver difeso la scelta di Bregovic (“Si tratta di un artista di livello internazionale”), nel corso della stessa intervista  si lascia scappare: “La Provincia ci ha proposto il nome di questo artista (che io all’epoca non conoscevo) e siamo stati d’accordo”. Della serie: la Pat ha sempre ragione.

Ma - si aggiunge - l’operazione è troppo costosa: 145.000 euro, e si sa che di questi tempi strillare allo sperpero di denaro pubblico è una garanzia di successo. Da qui, grande scandalo e commenti indignati. Premesso che ignoriamo totalmente quale sia il costo corrente di simili operazioni, bisogna pur riferire le controdeduzioni: in quella cifra - ci dicono - è compreso anche un concerto a scopo benefico, e quindi anche il costo della logistica (60.000 dei 145.000euro). Se permettete, su questo punto ci asteniamo.

Il discorso dei denari, però, ritorna quando si apprende che giornali e blog della ex Jugoslavia  hanno denunciato che l’inno assomiglia un po’ troppo a una canzone dello stesso Bregovic del 1974 (“Hajdemo u planine”, cioè “Andiamo in montagna”), già utilizzata dieci anni più tardi per  promuovere le olimpiadi invernali di Sarajevo. Dunque sarebbe un autoplagio; tanto che dai Balcani irridono: “Avete comprato un’auto usata, per di più jugoslava, pagandola 84.700 euro”. E il musicista Armando Franceschini conferma: “Da un punto di vista della scrittura musicale, sono uguali. Cambia solo la tonalità”. Con il che la cifra impegnata torna ad essere eccessiva.

Infine il testo, e qui l’operazione frana nel ridicolo. Una tal Chiara Zocchi (“scrittrice e cantautrice” la definisce Wikipedia), chiamata a collaborare con Bregovic che ha qualche problema con l’italiano, ha spiegato: “Abbiamo realizzato un testo neutro e ispirato ai canti popolari della terra di Goran, canzoni che parlano di montagna, con testi descrittivi. È stato un lavoro interessante perché abbiamo dovuto mantenere lo stile ironico, ma pur sempre legato alla tradizione dei canti alpini”.

Non avendo qui lo spazio necessario, riportiamo il testo per intero qui, fra le “Cime tempestose”, chiedendoci dove diavolo siano il testo neutro, i toni descrittivi e l’ironia; e lasciamo il giudizio ai lettori.

Per parte nostra, un duplice consiglio, benché ormai tardivo, a chi di dovere: la musica, autoplagiata o no, va benissimo come jingle, ma per carità, eliminate quel testo delirante. E poi riaprite le trattative sul compenso a Bregovic: come ci dicono da Sarajevo, un’auto usata non può costare come se fosse nuova.

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