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QT n. 2, febbraio 2019 Servizi

Cristiani nella bufera

Dallo sgretolamento della Chiesa in Brasile, con la diffusione delle Chiese pentecostali, alla scissione degli ortodossi fra Russia e Ucraina, alle contestazioni dell’operato di Papa Francesco

Cerimonia in una chiesa pentecostale brasiliana
A sinistra, il presidente ucraino Petro Poroshenko; al centro, il primate della nuova chiesa ortodossa autocefala ucraina, Epifanio.

Può sembrare sorprendente e azzardato cominciare questo articolo parlando di Brasile e Ucraina. Cosa c’entrano questi Paesi con il voto dei cattolici in Italia e in Trentino?

In realtà la globalizzazione delle notizie e la possibilità di accedere ad esse in maniera istantanea e ubiqua determinano un fatto molto significativo: davvero il mondo è interconnesso, le tendenze culturali e politiche non sono più circoscrivibili a un determinato luogo. Sono appunto globali. Dovremo cominciare a pensare sempre in questo modo.

Un tempo il Brasile era il Paese più cattolico dell’America latina. Terreno di scontro fra la “teologia della liberazione” (appoggiata dalle comunità di base e violentemente osteggiata dal Vaticano) e le istanze conservatrici se non autoritarie di parte della gerarchia. Oggi papa Francesco rivaluta e appoggia quei vescovi che stanno dalla parte del popolo, degli indios, dei diseredati. La Chiesa cattolica è in prima linea nella difesa dell’ambiente e in autunno è previsto un importante sinodo sull’Amazzonia.

Ma intanto è cambiato il Brasile. Secondo dati dell’Istituto di statistica brasiliano nel 1970 i cattolici erano il 91,8%; nel 2000 si erano ridotti al 73,6% e al 2010 al 64,6%. Oggi probabilmente sono circa il 50%. Il Brasile si è “laicizzato”? Non proprio. Anzi, è avvenuto il contrario. Da un lato si registra il proliferare dei culti tradizionali, dall’altro il diffondersi inarrestabile del cristianesimo “evangelicale” o “pentecostale” con contatti più o meno espliciti con gli Stati Uniti. Un cristianesimo integralista di ultra destra, impersonato in politica dal nuovo presidente Jair Bolsonaro. Che di secondo nome fa “Messias”.

Il messia brasiliano è tutto un programma: sessista, xenofobo, nostalgico della dittatura, nemico giurato dell’ambiente, tutto armi, sicurezza, repressione. Amico di Trump, amico di Salvini. Appartenente a una delle tante chiese pentecostali, anch’esse fondate sull’integralismo anti diritti civili, anti minoranze (per esempio in nome della “natura” contro i movimenti LGBT), sul culto della ricchezza (vista come benedizione di Dio) e su una giustizia vendicativa basata sul “Chi sbaglia deve pagare” (quindi sì alla pena di morte). Paradossalmente queste chiese vengono riempite da poveri che sperano nel miracolo, sempre presente nel marketing dei vari predicatori. Le loro comunità sono stracolme, così come le urne premiano Bolsonaro, mentre i cattolici arrancano.

Cambiando scenario, in Ucraina si è consumato uno scisma tra la Chiesa ortodossa di Mosca e quella di Costantinopoli. Sono questioni intricatissime che, all’apparenza, riguarderebbero un clero ermetico e pochi fedeli. Non è così. Da sempre l’ortodossia cristiana è legata a doppio filo al potere. Non c’è un Vaticano ma tante chiese “autocefale”, cioè nazionali, se non nazionaliste.

Cosa è accaduto negli ultimi mesi? È nata un’unica Chiesa ortodossa ucraina, che si è staccata da Mosca con pesantissime conseguenze politiche. Il nazionalista presidente ucraino Petro Poroshenko ha salutato l’avvenimento come “il giorno dell’indipendenza finale dalla Federazione russa”. Inutile descrivere la furiosa reazione del patriarcato di Mosca. Così, mentre in Serbia dedicano una chiesa a Vladimir Putin, ritornano le guerre di religione. Non è un’esagerazione, perché in Ucraina c’è una guerra vera.

In Italia...

Questi avvenimenti ci riguardano, eccome. Basti pensare alle badanti che vengono da quei territori: sono presenze quasi invisibili, ma invece fanno cultura. Non votano, ma ci sono. Magari appartengono a chiese ora in lotta tra di loro. In Italia e in Trentino si diffondono gruppi pentecostali. Sono comunità in crescita, unitissime (gli episodi di aiuto reciproco sono concreti e a volte commoventi); non hanno alle spalle il peso della storia o della gerarchia. Ma non conoscono neanche la lenta ma reale evoluzione della Chiesa cattolica: non conoscono l’ecumenismo o il dialogo con le altre religioni: per i diversi è pronto l’inferno.

Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro

In Italia non c’è ancora la possibilità di una rilevanza pubblica dei “diversamente cristiani”. A parole bisogna essere cattolici e basta. Volere il crocifisso nei luoghi pubblici, fare il presepe, presentarsi con il rosario o con l’immaginetta di padre Pio. Oltre queste apparenze si scopre però un quadro dipinto con incontrovertibili influenze globali.

Salvini studia dettagliatamente i suoi gesti. Si ricollega direttamente a Bolsonaro, Trump, Duterte (presidente delle Filippine): tutti cristiani e criticati dalla Chiesa cattolica di papa Francesco. Finché ci sarà lui, la battaglia interna divamperà. Forse un suo successore conservatore rimetterà le cose a posto, ma ora tra i cattolici è guerra. Sorda, mediatica, senza esclusione di colpi.

In politica i cosiddetti cattolici non seguono gli orientamenti della gerarchia. Anzi li criticano apertamente. Quando Umberto Bossi, notoriamente anticlericale, sbeffeggiava i vescovi, tutti si indignavano e la Lega perdeva voti; oggi Salvini attacca il Papa e i cattolici lo votano in massa. E, stando ai sondaggi, sempre di più. Ovviamente il leader leghista dirà sempre di essere cattolico, ma la sua postura è quella dei suddetti politici che si definiscono cristiani con varie denominazioni. E il “popolo” li segue.

Abbiamo già dedicato (nel numero 4 del 2018) un articolo al tema del risultato delle politiche riguardo ai cattolici. In questi mesi l’analisi che facevamo si è corroborata. Il solco tra cattolici è aumentato. La loro ininfluenza politica pure, trasformata in slogan da Salvini. La minoranza dei credenti impegnati è incredula, stralunata, oscillante tra resistenza e impotenza. Terrorizzata letteralmente dal “dopo Francesco”. La maggioranza dei vescovi vuole una svolta conservatrice. Una rivolta contro l’élite impersonata dal pontefice e dai cardinali a lui vicini che “farebbero meglio a smetterla di parlare di migranti”. E l’opposizione non riguarda soltanto le questioni più sensibili: aborto, famiglia, piaga degli abusi sessuali. Riguarda aspetti più profondi: la natura stessa della Chiesa e quindi il suo rapporto con la politica.

Questo tipo di cattolicesimo identitario non è nuovo per la storia italiana. Non bisogna quindi sorprendersi troppo. Di solito però la gerarchia era dalla parte conservatrice. La stragrande maggioranza dei fedeli seguiva. Ora i fedeli sono drasticamente diminuiti e invecchiati, esiste una massa vagamente cattolica che volta le spalle persino al Papa. E nelle urne dove “il Papa non ti vede ma probabilmente Salvini sì” puoi fare quello che vuoi, sancendo con il voto il no a una Chiesa che pensa agli stranieri e non agli italiani.

Qualcuno crede ancora che il Trentino sia esente da queste dinamiche. Qualcuno non comprende perché la tradizione cattolica del Trentino sociale, cooperativistica e aperta al mondo (anche qui però bisognerebbe fare qualche distinguo storico), abbia generato il clima favorevole per una Lega più estremista rispetto a quella di Veneto o Lombardia. Qualcuno spera infine di risvegliarsi presto da questo incubo. Non è così. Come avviene in Italia, poi, i cattolici “democratici” o “progressisti” cercano di farsi sentire, ma di certo non riescono a recuperare terreno sui presunti loro “fratelli nella fede”. La divisione invece si sta accentuando, quasi che ci fossero universi cattolici paralleli, formalmente tenuti uniti da una gerarchia che non sa più che fare.

Così avviene in Trentino. L’arcivescovo Tisi – sicuramente vicino all’impostazione di Francesco – non può però prendere posizioni troppo nette perché rischierebbe di spaccare ulteriormente la Diocesi. È la visione ecclesiale sintetizzata in maniera fulminante da Francesco Guccini che fa dire a Dio in una sua canzone: “Non sono forse social democratico anch’io? Avanti al centro contro gli opposti estremismi”. Ma questo Dio lo poteva dire negli anni ‘70. Oggi i socialdemocratici sono in crisi, il centro è evaporato e gli estremismi si diffondono.