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QT n. 5, maggio 2019 L’editoriale

“Resistere”? Non basta

Dopo il 25 aprile: si “resiste” per rimediare ad una sconfitta; ma dove abbiamo perso? E perché? Non dovrebbe sorgere il dubbio che in questi anni si sia governato male?

Sono state particolarmente partecipate le manifestazioni del 25 aprile quest’anno. E si capisce: con il montare di sentimenti di destra profonda, quando non apertamente fascisti, coperti e legittimati dall’alto, ossia dall’uomo forte del governo, Matteo Salvini. Analoga partecipazione è prevedibile, oltre che auspicabile, alle manifestazioni per il primo maggio, in corso mentre stiamo chiudendo il giornale.

Eppure in questa partecipazione bella, ricca, segnata da un convinto concorso di giovani, che ne testimonia il carattere non residuale né convenzionale, c’è qualcosa che non ci convince. È il concetto stesso di resistenza: con la “r” minuscola, non quindi il momento storico fondante della Repubblica, ma l’atteggiamento attuale. Bisogna “resistere”: alla destra montante, al sovranismo, alla xenofobia, al razzismo. Giusto, anzi sacrosanto. Eppure: come mai siamo chiamati a resistere? Si resiste per rimediare a una sconfitta; e allora, dove abbiamo perso? E soprattutto, perché? In seguito a quali errori? Cosa dobbiamo cambiare per non essere ciclicamente chiamati a “resistere” a nemici sempre più insidiosi e biechi?

Su questo c’è il vuoto, il nulla. Per il timore della cacofonia, dell’esplodere degli ennesimi litigi: è colpa di Renzi, di Bersani, di Blair, di... Ci si concentra sugli errori dei singoli (che ci sono stati, e grossolani) perché si è persa di vista la discussione sulle idee. Anche a livello di cittadini, la politica è soprattutto vissuta come teatrino tra personaggi più o meno carismatici, come gioco delle poltrone, non come confronto e scontro di visioni della società.

Concordiamo pienamente con la scelta di Repubblica, che nei giorni del primo maggio ha dedicato le aperture del giornale al tema del lavoro: come in questi anni è stato deprezzato, precarizzato, svilito. Questo è il tema vero (assieme a quello del welfare, che solo per ora ancora tiene, almeno in Italia).

Come ci scrive da Strasburgo dagli ambienti dell’Unione Europea Matteo Angeli, il problema in tutta Europa è la tenuta della società, quando un 40% della popolazione vive un peggioramento delle proprie condizioni di vita. E per la prima volta da diversi decenni, la maggioranza dei giovani non può ragionevolmente sperare di vivere in condizioni migliori di quelle dei propri genitori. Tutto questo a fronte di una ricchezza globale che continua a crescere, ma sempre più concentrata.

In questo quadro, Casa Pound non è più il problema, anzi: è una fasulla e aberrante soluzione per giovani ignoranti, ma a problemi veri. “Resistere” quindi, prendere cioè a calci nel sedere (metaforici) i nuovi nazi-fascisti, abbattere il Salvini di turno, è certamente doveroso, può essere anche gratificante, ma non è assolutamente risolutivo. È la società che bisogna riformare, l’economia. Dobbiamo assolutamente rimettere al centro - finalmente! - la giustizia sociale.